La Visita Pastorale dell’Arcivescovo, S. E. Mons. Salvatore Gristina alla Comunità diocesana di Catania.

A colloquio con Monsignor Gristina.

Sappiamo che è già in pieno ritmo la Visita Pastorale: può parlarcene?
“E’ l’impegno principale che viviamo nella Diocesi. Abbiamo scelto di presentarla come dono del Padre per la nostra Chiesa. Questa visita nelle parrocchie diocesane serve, oltreché per farci conoscere meglio il territorio, per cercare di fare il punto della situazione. Proprio su questo concetto stiamo insistendo molto: visita e verifica pastorale. Io sono qui a Catania da otto anni e pertanto anche per me è importante verificare come abbiamo camminato in questo tempo. La visita, anzitutto, è un evento ecclesiale e come tale è legato alla chiesa, al territorio e alla popolazione. Tra l’altro dire che il vescovo visita le parrocchie, dimostra proprio questa forte attenzione verso il territorio. L’etimologia della parola parrocchia è, infatti, vicino le case, vicino le abitazioni, dal greco parà e oikeo”.

E come è suddiviso il territorio diocesano?
“La Diocesi è divisa in quindici vicariati, cioè raggruppamenti di parrocchie. Ho iniziato col primo e il secondo vicariato, quindi l’area vicino la cattedrale e poi la zona di San Cristoforo. Successivamente ho vistato l’ottavo vicariato, Misterbianco e Motta. Adesso sto iniziando a visitare il decimo, Belpasso, San Pietro Clarenza e Mascalucia; a questo seguiranno secondo programma altri due vicariati in centro città. Essendo quindici e avendone fatte tre in un anno, posso ipotizzare che impiegherò un totale di cinque anni per visitare tutte le parrocchie, che sono circa centosessanta. Il fine di tutto ciò è la creazione di quel senso di comunione necessario all’interno della Diocesi”.

Come sono organizzate le sue visite?
“Abbiamo impostate queste visite con modalità univoche, per poter sottolineare alcuni elementi chiave. Il primo è il coinvolgimento degli organismi di partecipazione a livello parrocchiale e a livello vicariale. Ogni parrocchia, infatti, ha il Consiglio pastorale parrocchiale, così come in ogni vicariato c’è un Consiglio pastorale del vicariato. Questi organismi, coinvolti pienamente nella visita pastorale, sono composti fondamentalmente da laici, con il parroco responsabile. Poi c’è il Consiglio per gli affari economici. La preparazione della visita, dunque, non viene organizzata dal parroco in prima persona, ma è il Consiglio pastorale che prepara un programma”.

In questa maniera conosce direttamente ogni singola realtà parrocchiale?
“Durante l’anno capita di visitare alcune parrocchie per vivere momenti particolari. Tuttavia la visita pastorale è cosa ben diversa: la mia presenza dura più a lungo, parlo con i fedeli, mi metto a disposizione per le confessioni. Tutto questo viene molto apprezzato dalle persone, così come per me rappresenta l’opportunità di conoscere maggiormente la comunità. C’è, inoltre, un questionario che il Consiglio pastorale parrocchiale deve compilare per dare un quadro generale della singola realtà. Sempre in quest’ottica, prima della mia visita, si svolge la cosiddetta visita reale: gli uffici di Curia coordinati dal Vicario generale e dal Vicario per l’amministrazione fanno una accertamento amministrativo e poi mettono per iscritto il risultato. Un altro obbligo che hanno le parrocchie riguarda il Consiglio per gli affari economici, questo deve rilasciare il parere sulle scelte riguardanti le spese di manutenzione, ordinaria e straordinaria”.

Come affrontate la tematica della comunicazione? Esiste un indirizzo per guidare i sacerdoti nel dialogo con i fedeli?
“Ci possono essere tantissimi mezzi, ma bisogna chiedersi quanta comunicazione effettiva c’è. Uno degli impegni che stiamo cercando di promuovere è quello della lectio divina, per creare un reale contatto tra i fedeli e il vangelo. La traduzione del testo biblico, benché aggiornata continuamente, contiene un linguaggio diverso perché si rivolge tendenzialmente ad un mondo contadino. Il linguaggio di Gesù era qualcosa di straordinario, infatti, tutte le parabole riescono ed essere immediate. Nel decennio scorso si è portato avanti il programma denominato Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, che significa: il Vangelo è sempre lì, conserva la sua attualità, ma bisogna fare in modo che questo venga percepito”.

L’attuale crisi educativa riguarda anche gli adulti. Quali problematiche le sembrano urgenti in questo momento nel nostro territorio?
“Vi porto un esempio. Sono stato a San Cristoforo, ne sentivo parlare, qualche volta lo avevo visitato superficialmente, tuttavia nei giorni della visita pastorale, guidato dal parroco, ho avuto la possibilità di conoscere la zona più in dettaglio. L’idea precisa di come vivono molte persone in queste aree difficili, non puoi averla se non la vedi. Il punto è che girando per le parrocchie emergono sempre le tematiche sociali che preoccupano maggiormente le famiglie. Molti temi legati ai giovani, le droghe, lo spaccio, la violenza, tutte realtà che la visita pastorale permette di affrontare con più elementi. Un altro problema rilevante è la solitudine: quante persone anziane, sole, sono costrette in condizioni di ristrettezza? Perciò, stiamo cercando di coinvolgere sempre più volontari in questo tipo di servizio. Ed è una delle realtà nella quale i ragazzi potrebbero essere coinvolti, perché offrire ai giovani la possibilità di un impegno è un dovere che noi adulti abbiamo. Le parrocchie, in questo senso, possono fare ancor di più: offriamo qualcosa a questi ragazzi. E non è vero che i giovani non si fanno coinvolgere, dobbiamo pero saperlo fare. Si parla della crisi educativa dei giovani, ma la crisi educativa riguarda innanzitutto noi adulti. Quali modelli diamo alle nuove generazioni? Quale testimonianza? La Conferenza episcopale italiana, in questo decennio ha preso un impegno educativo e c’è, a questo proposito, un documento: Educare alla vita buona del Vangelo. Certamente dobbiamo continuare a lavorare in questo senso. Il primo passo è offrire il nostro esempio”.

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