Tempo di Passione: dalla velatura delle immagini alla svelata pasquale. Teologia e tradizione di un rito antico

Pubblichiamo un accurato studio sulle origini e sul significato teologico e spirituale di un rito antichissimo, che caratterizza le ultime due settimane di Quaresima, dette “Tempo di Passione”.

di Alessandro Scaccianoce

Con la quinta domenica di Quaresima si entra nel “Tempo di Passione“, caratterizzato da una marcata attenzione al mistero della Passione e Morte del Signore Gesù.

In origine limitata alla sola Settimana Santa, che si apriva con la Domenica delle Palme, detta appunto “De Passione Domini”, nel tempo la contemplazione della Passione del Signore, culmine della Redenzione e fonte di vitalità spirituale, venne anticipata e celebrata anche nella settimana precedente.

Questo tempo speciale, che si inserisce nel già propizio tempo di Quaresima, viene sottolineato con alcune specifiche regole cultuali. Tra queste la più caratteristica è la “Velatio”, ovvero la velatura delle croci e delle immagini della chiesa esposte alla venerazione dei fedeli. A norma del Messale tridentino, nel sabato che precede la I domenica di Passione, (quindi il sabato della IV settimana di Quaresima), «finita la Messa e prima dei Vespri si coprono le croci e le immagini della chiesa con veli violacei; le croci restano coperte fino al termine dell’adorazione della croce da parte del celebrante il Venerdì Santo, le immagini fino all’intonazione del Gloria nella Messa della Vigilia Pasquale». In tale periodo solo le immagini della Via Crucis restano senza velo. Il giovedì santo la croce dell’altare maggiore, per il tempo della Messa, si copre con un velo bianco.

Si tratta di un rito molto antico risalente addirittura al sec. IX, forse un retaggio della separazione dei penitenti pubblici nella chiesa. I penitenti pubblici erano i fedeli che si erano resi colpevoli di gravi peccati dopo il Battesimo. Questi, dopo un periodo di penitenza, nel periodo precedente la Pasqua, venivano riammessi alla comunione la mattina del Giovedì Santo, con un apposito rito. Nel tempo, poi, tutti i cristiani furono assimilati ai penitenti pubblici, nella consapevolezza della necessità per tutti di un tempo di penitenza in preparazione alla Pasqua del Signore. Così cominciò a diffondersi l’abitudine di nascondere ai fedeli l’altare maggiore, per mostrare visivamente gli effetti del peccato, che rompe la comunione con il Signore e ne oscura la visione.




Da sempre, infatti, la liturgia si esprime in una ricchezza di segni che rendono manifesta la realtà dei Misteri celebrati sull’altare. Salvo qualche tentazione iconoclasta, che periodicamente riemerge nella storia della Chiesa.

Il Concilio di Trento, riferendosi in particolare alla S. Messa, motiva questa consuetudine ricordando che «la natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questa ragione la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti […] per introdurre i fedeli con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo Sacrificio» (DS 1746).

E così, come per la liturgia è importante la presenza dell’immagine, altrettanto rilevante è la sua assenza. Il nascondimento dei Santi e di Cristo stesso aiuta ad alimentare l’attesa del giorno di Pasqua, giorno in cui quei volti si offrono nuovamente al nostro sguardo.

Al di là della sua origine, il rito della “Velatio” conserva ancora oggi un profondo significato e una intensa capacità catechetica ed emotiva: nascondere alla vista le immagini dei Santi aiuta a concentrarsi su Colui che è l’origine di ogni santità. Egli è colui che rende accessibile il cielo agli uomini. Senza di lui la nostra vita non avrebbe più una dimensione trascendente, sarebbe un vagare nelle tenebre del peccato e “nell’ombra della morte”. La velatura delle croci sottolinea anche fisicamente la privazione di Cristo, il “venir meno dello sposo”: “Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi” dice il profeta Isaia (53,8).

Quei veli che nascondono il Cristo alla nostra vista stanno a ricordare che quell’evento riaccade ancora oggi. Che anche noi siamo “tra gli uccisori di Cristo”, tra quelli che lo volevano gettare dal precipizio della città di Nazaret, o lapidarlo nel tempio di Gerusalemme. Si tratta, dunque, di un segno efficace che aiuta a meditare, riflettere e pregare sulla tragicità della condizione umana senza la presenza del Dio redentore.

Si capisce, allora, che nella I Domenica di Passione – secondo il calendario tridentino – venga proclamato il Vangelo di Giovanni che fa esplicito riferimento al nascondimento di Gesù di fronte ai suoi nemici: “Iesus autem abscondit se et exivit de templo” (Gesù si nascose e uscì dal tempio, Gv 8,59). Sembrerebbe che, in passato, la velatura del Crocifisso avvenisse proprio mentre il Diacono cantava questo versetto.

Nella sua ricchezza di significati il segno della “Velatio” rimanda anche alla velatura della Divinità di Nostro Signore, che possiamo illustrare con queste splendide parole di Sant’Agostino sulla passione del Signore: “Dio era nascosto; si vedeva la debolezza, la maestà era nascosta; si vedeva la carne, il Verbo era nascosto. Pativa la carne; dov’era il Verbo, quando la carne pativa? Eppure neanche il Verbo taceva, perché c’insegnava la pazienza”. La gloria di Cristo, dunque, è eclissata sotto le ignominie della Passione.

Lo scenario delle nostre chiese, con immagini, dipinti e simulacri velati, ci ripropone l’esperienza del “Deus absconditus” (Dio nascosto), su cui molta teologia ha scritto. In tale contesto, Dio va cercato nel proprio cuore, è lì che deve risorgere. Risulta particolarmente efficace al riguardo questa citazione di B. Pascal: “Gli uomini sono nelle tenebre e nella lontananza da Dio, che è nascosto alla loro coscienza. Egli non sarà colto che da quelli che lo cercano anzitutto nel cuore”. Questi sentimenti sono particolarmente accentuati alla sera del Giovedì Santo, in cui si fa memoria del “rapimento di Gesù” da parte delle guardie del tempio. Da quel momento egli è in balìa della loro ferocia. “E’ l’impero delle tenebre” (Lc 22,4), come afferma Gesù stesso.

Questa atmosfera in antico culminava nel caratteristico “Ufficio delle tenebre”, ovvero nella celebrazione del mattutino e delle lodi del Giovedì, del Venerdì e del Sabato Santo.
Ad ogni salmo veniva spento uno dei 15 ceri posti su un apposito candeliere (la “Saetta o Tenebrarium”) a forma di triangolo. Tutta la chiesa veniva così gradualmente immersa nel buio. Rimaneva accesa la candela più alta  (simbolo della fede di Maria, che è rimasta viva anche nel silenzio della morte di Cristo).

Dopo la riforma liturgica la pratica della “Velatio”, è stata pressoché universalmente abbandonata, sulla scorta di un malinteso “spirito conciliare”. In realtà, questo rito, di cui abbiamo cercato di spiegare la profondità e la ricchezza, conserva tutta la sua attualità. Si rese necessario, pertanto,  un intervento chiarificatore della Congregazione per il Culto Divino circa l’opportunità di conservare o recuperare questa usanza, come indicato nella lettera circolare Paschalis sollemnitatis del 16 gennaio 1988:
«L’uso di coprire le croci e le immagini nella chiesa dalla domenica V di Quaresima può essere utilmente conservato secondo il giudizio della conferenza episcopale. Le croci rimangono coperte fino al termine della celebrazione della passione del Signore il Venerdì Santo; le immagini fino all’inizio della Veglia Pasquale» ( n. 26). La Conferenza Episcopale Italiana, dal canto suo, ha sempre fatto rinvio agli usi locali.


La stessa circolare specifica nel capitolo IV a proposito della Messa Vespertina del Giovedì Santo nella Cena del Signore: “Terminata la Messa [in Cena Domini] viene spogliato l’Altare della Celebrazione. E’ bene coprire le Croci della Chiesa con un velo di colore rosso o violaceo, a meno che non siano state già coperte il sabato prima della Domenica V di Quaresima. Non possono accendersi le luci davanti alle Immagini dei Santi”.

Nel rito ambrosiano tale pratica è estesa addirittura a tutta la Quaresima, in cui la forte meditazione sulla passione del Signore è sottolineata dai venerdì a-liturgici, in cui cioè non si celebra l’Eucaristia, e dall’uso del colore nero per tutte le ferie del tempo. A norma del Sinodo XLI n° 513 “nel pomeriggio del sabato precedente la prima Domenica di Quaresima nelle Chiese ed Oratori si devono coprire tutte le immagini sacre, siano dipinte o siano scolpite, che sono poste in venerazione, non quelle di ornamento”.

Significativa, poi, è la svelatura delle immagini, che – come abbiamo visto – avviene in due momenti diversi:  il Venerdì Santo viene scoperto il crocifisso, mentre tutte le altre immagini al gloria del Sabato Santo. Dopo il tempo in cui Cristo è stato sottratto ai nostri sguardi, ci viene restituito innanzitutto nell’immagine del “trafitto”. E’ questa la prima immagine che ci consegna la passione del Signore: un cuore aperto, donato fino all’ultima goccia di sangue e acqua. “Velum templi scissum est”, dicono i Vangeli. Quel velo che separava il Sancta Sanctorum (ovvero la parte più sacra del tempio di Gerusalemme) dal resto del Tempio, in cui  poteva accedere (una volta all’anno) il Sommo Sacerdote, viene lacerato alla morte di Cristo. In quel momento si “ri-vela” universalmente l’intima natura di Dio stesso nel cuore trafitto di Cristo. Il significato di questo velo è, come è stato ben scritto da autorevoli commentatori ed esegeti, che gli uomini sono separati da Dio a causa del peccato. La lacerazione del velo del Tempio, pertanto, sta a significare l’unione della terra con il cielo, rendendone l’accesso aperto ad ogni uomo. Ed ecco che la sapienza della Chiesa offre tutto questo alla nostra contemplazione attraverso il rito dell’adorazione della Croce che – secondo la forma più antica – viene svelata solennemente di fronte ai fedeli. In questo giorno si rendono evidenti le parole di Gesù: Questa generazione cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona” (Lc 11,29).




 

A questa prima “ri-velazione” del Venerdì Santo, fa seguito, nella Veglia Pasquale, la definitiva liberazione delle immagini di tutti i Santi. Il Cristo risorto, infatti, associa alla sua gloria quanti lo hanno seguito da vicino, testimoni della Sua redenzione. Penso all’efficace iconografia bizantina che raffigura la risurrezione di Cristo nell’atto di trarre dagli inferi Adamo ed Eva. Si capisce, allora, che le immagini dei Santi vengano svelate dopo che è stato dato l’annuncio della risurrezione di Cristo, al canto del “Gloria in esxcelsis”: “In lui risorto, tutta la vita risorge”, canta il Prefazio di Pasqua.

In Sicilia, tale prassi è molto ben documentata. Alla velatura delle immagini, infatti, la I Domenica di Passione, corrisponde lo svelamento dell’altare maggiore che ha luogo alla vigilia di Pasqua. Al canto del gloria, mentre si sciolgono le campane, il lungo telone scuro (vi sono esemplari alti  anche più di dieci metri) che ha nascosto il presbiterio nelle due settimane precedenti, viene lasciato precipitare giù, restituendo ai fedeli l’altare maggiore con il simulacro del Cristo risorto in bella vista: “a calata ’a tila” (calata della tela).  Tale rito si è conservato anche quando il rito liturgico è stato spostato dal mezzogiorno alla notte del Sabato Santo. A questo momento, detto anche “a risuscita”, si legavano poi varie tradizioni popolari e contadine: come quella di trarre auspici dal numero di candele che rimanevano accese nonostante il forte spostamento d’aria generato dal repentino precipitare giù del telo. Questa tradizione si conserva tutt’oggi in molti centri della Sicilia (da Adrano e Belpasso a Nicolosi, da  San Giovanni la Punta a Catenanuova, da Comiso a  Petralia Sottana, fino alla chiesa di San Domenico a Palermo).

Anche a Biancavilla la “Velatio” è attestata, come dimostrano, se non altro, molti teli violacei conservati nei più remoti angoli delle sacrestie delle chiese più antiche.

Nella Chiesa Madre, inoltre, vi era un grandissimo telone, di circa 10 metri di altezza per 6 metri di larghezza, riproducente la scena della deposizione del Signore dalla croce, che ricopriva tutta l’area presbiterale durante il tempo di Passsione. Questa “tela”, probabilmente settecentesca (come le tele superstiti di alcuni paesi vicini),  nel tempo andò deteriorandosi, fino ad essere ripartita intorno agli anni 60 in piccole parti e divisa tra alcuni fedeli che ne fecero gli usi più vari (qualcuno anche per raccogliere le olive!). Circa dieci anni fa, per iniziativa di alcuni giovani, tale usanza è stata ripristinata, con una nuova tela realizzata ex novo dal M° Giuseppe Santangelo, che ne ha fatto anche un bellissimo esemplare per la chiesa dell’Annunziata. Tuttavia, la tela non viene utilizzata tutti gli anni e l’incontro degli occhi con il Signore Risorto è affidato ad altre soluzioni.




Il telo che nella notte del Sabato Santo precipita rovinosamente ha un definitivo significato escatologico: esso sta ad indicare che al nostro orizzonte è restituita la visione dell’al di là. Possiamo guardare con fiducia oltre la morte, poiché il Vivente sta lì, “primogenito di molti fratelli”, ad assicurarci che il nostro destino è il cielo, ovvero la profondità delle cose. Con la sua risurrezione Cristo ha guarito la nostra “cataratta” spirituale. E il segno della tela lo esprime in modo eloquente.

Alla fine della Veglia Pasquale, quei teli raccattati alla svelta, accantonati in un angolo, ci ricordano la realtà “fisica” della risurrezione. Anche per noi si rende possibile l’esperienza dell’Apostolo Giovanni che “vide i teli per terra” ed entrato, “vide e credette” (Gv 20,13).

La Pasqua di Maria

Pensieri, sentimenti e riflessioni della scrittrice biancavillese, Alfia Milazzo, al fianco della Madre Addolorata, nella tradizionale processione della “Cerca”, tra le strade della cittadina etnea, la la mattina del Venerdì Santo.

di Alfia Milazzo

Esce all’alba Maria di Nazareth. Alle sei in punto. Il portone della chiesa del Purgatorio le si spalanca davanti. Tra mulinelli di polvere e dolci bagliori dorati si sposta la sua sacra pietra sepolcrale. E la tenue luce dell’aurora delicatamente le accarezza il volto di cera, dipingendolo di rosa. Strizza gli occhi, avanzando incerta verso il giorno che l’attende. Quello di una nuova Passione.

Un austero manto blu scuro quasi viola la ricopre dal capo ai piedi. La sua mano sostiene un pugnale che le si infligge al petto. Aha, è un cuore che sanguina il suo. Se ne va così, dolorosa, piangente, alla cerca del figlio. E dietro di lei il corteo solenne, la confraternita dei Bianchi, il clero, la banda, i devoti e le donne di Biancavilla.  (Tratto dal libro “Il paradiso siamo noi”).

C’è sempre un angolo nelle strade della vita, che noi percorriamo alla cieca: quell’angolo insegna a fidarci del buon Dio, a credere nella luce che incontreremo, pur essendo noi in quell’istante, immersi nell’incertezza delle tenebre. Nel mattino della “Cerca”, Maria mi ha preso per mano e mi ha aiutato a superare l’angolo del mio cammino. Aldilà di esso il dolore mi attendeva per dissolversi nel tratto chiaroscuro del passato.

Abbiamo tutti fame. Fame d’amore. La povertà più diffusa nel nostro tempo, l’indigenza (come la definisce Marìa Zambrano) più assoluta è quella dell’Amore. Non trova posto nella nostra mente, e se vi riesce, deve giustificarsi, o restare in incognito, o confondersi nelle pieghe tristi della libido, oppure ancora celarsi tra malattie e atti libertari. No, l’Amore, l’Amore vero, va liberato, incentivato, vissuto    pienamente, condiviso. L’Amore più autentico e libero conduce l’uomo fuori dalla caverna perché attrae alla vita. E’ Amore quella pietà che annienta l’invidia, il peggiore nemico. E’ Amore quella cura che solleva dal male. Quel silenzio di chi ascolta in pace. Quel calore di un viso che contiene in sé le lacrime altrui, che le serba e le custodisce per raccogliere acque di conforto e di verità. E’ Amore l’aurora di Maria che cerca suo figlio insieme a noi. Mentre noi raccogliamo molliche di pane lasciate dal suo passaggio. 

Viviamo un’esistenza fatta di frammenti. L’intero ci sfugge, si nasconde. Il tempo stesso è un coccio di anima che raccogliamo per non sparire. I bambini ne sono vittime più di noi. Li richiamiamo spesso all’urgenza di fare presto, sottraendoli al loro tempo, che è dilatato perché nell’infanzia tutto è e deve essere possibile. Freniamo il nostro ritmo, creiamo spazi di gratuità, soffermiamoci a chiedere il perché, il significato delle cose e delle parole che entrano nella nostra coscienza. Imparando dai bambini.

 Non fate che i bambini portino la Croce!

Donne sole con il loro pianto. Donne uccise dai loro mariti o compagni. Donne vittime di violenza, donne bambine abbandonate negli angoli del mondo, donne senza pace, senza amore, senza gioia. Donne in lutto nelle guerre, tristi nella fame, gravide della sofferenza dei propri figli. Donne Kamikaze. Donne vittime dell’odio. Donne che odiano. Donne che non piangono più. Donne che stanno alla porta, che non sperano, che non vivono. Donne alla televisione. Donne senza anima. Donne senza volto. Senza voce. Senza amore. E tu qui, per loro, Maria.

Nella cappella delle clarisse il silenzio di Dio muta in canto.

La Luce si fa suono. L’anima non ha più confini.

La vecchiaia ci appartiene come il solco nero di una lettera che scriviamo dalla nascita. Il tempo per chi è vecchio è un balcone dal quale si scorge l’abisso.

Ma nella rete della durata e del tempo, la tela della fede si dispone per accogliere e salvare.

E in essa, Maria fa da telaio.

dal blog http://nuke.mammablog.it/

10° SME: Ritiro Spirituale e Rinnovo della Professione di Fede

Domenica scorsa due significativi momenti ecclesiali sono stati vissuti nel decimo anniversario dell’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” di Biancavilla.

di Giuseppe Santangelo

Domenica scorsa l’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” ha vissuto un momento di intensa comunione nel 10° anniversario della sua fondazione, con una giornata di spiritualità e fraternità nell’ambito del Tempo di Quaresima estesa a tutta la comunità parrocchiale della Matrice. Presso il Complesso del Santuario della Madonna Addolorata dei PP. Passionisti di Mascalucia (Ct), i Soci si sono riuniti in ascolto della Parola di Dio tratta dal Vangelo di Giovanni “Se tu conoscessi il dono di Dio!” (Gv 4,10). A guidare la Lectio Divina è stato P. Angelico Savarino C. P. che si è soffermato sulla necessità di vivere sempre più intensamente il cammino della fede, evitando il rischio dell’abitudine e della “sedentarietà”. Un cammino che va sempre rivisto, rinnovato, contro il rischio di sedersi “al pozzo”, senza mettere in discussione abitudini e stili di vita che possono portarci lontano dal Signore. A partire dall’esperienza della donna di Samarìa, narrato nel brano evangelico, P. Angelico ha mostrato la straordinaria forza dell’incontro con il Signore Gesù, che è in grado di trasformare l’esistenza quotidiana.
La mattinata è stata scandita dalla preghiera liturgica, con la celebrazione delle Lodi e la S. Messa a mezzogiorno nella Cappella dell’Addolorata, dove riposano le spoglie del Ven.le passionista P. Generoso Fontanarosa. Ampio spazio è stato riservato alle Confessioni individuali. Dopo il pranzo, un momento di verifica e condivisione è stato guidato dall’Assistente Spirituale, Don Pino Salerno. Una bella occasione per crescere nella fede comunitaria, rafforzare il rapporto personale con Dio e rinnovare il senso di appartenenza alla Chiesa e, in essa, all’Associazione mariana stessa.
L’occasione del 10° anniversario ha inoltre visto i Soci impegnati nel pomeriggio in un pellegrinaggio alla Basilica Cattedrale di Catania, Chiesa Madre della Comunità diocesana, dove tutti i fedeli trovano le ragioni del proprio credo cattolico trasmesso dal Vescovo, successore degli Apostoli. Nell’intenso pomeriggio vissuto nella Basilica Metropolitana, intitolata alla Vergine e Martire Agata, i Soci hanno rinnovato la propria professione di fede personale e comunitaria presso il soglio episcopale nell’ambito di un rito liturgico presieduto dal Socio Don Ambrogio Monforte, dinanzi al SS. Sacramento.
Con tale gesto, l’Associazione, a distanza di dieci anni dalla sua fondazione, ha voluto manifestare il proprio radicamento nel Signore Gesù Cristo, riaffermando gli articoli del Simbolo Apostolico presso la sede del Vescovo, immagine del Cristo Buon pastore, garante della fede nella Chiesa particolare di Catania. Un appuntamento di grande significato spirituale, che manifesta l’imprescindibile carattere comunitario della fede, che viene generata, alimentata e vissuta nelle articolazioni della Chiesa.
La serata si è conclusa con la visita alla Basilica Collegiata di S. Maria dell’Elemosina, ove si venera una copia della Vergine dell’Elemosina custodita a Biancavilla; il gruppo dei pellegrini ha poi fatto tappa presso il Monastero delle Benedettine dell’Adorazione perpetua del SS. Sacramento di Via dei Crociferi, presso la cui comunità religiosa vive ed opera la biancavillese Sr. Maria Teresa Nicolosi.

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