La Santità nella malattia: l'esperienza di Chiara Badano

Redazione SME

Chiara Badano, nasce a Sassello, nell’entroterra ligure, il 29 ottobre 1971 da Ruggero e Teresa Caviglia, dopo una gravidanza difficile e un parto complicato. Nulla di speciale si segnala nella prima infanzia. Recalcitrante  alle preghiere, a donare i giocattoli che non usa più ai bambini poveri o ad aiutare la mamma ad apparecchiare la tavola. In quarta elementare Chiara e i suoi genitori entrano in contatto con il Movimento dei Focolari. Dopo le scuole medie decide di iscriversi al liceo classico di Savona, ma la quarta ginnasio è molto dura. Non la supera. E’ il primo dolore, che diventa l’occasione per vivere uno dei cardini della spiritualità di Chiara Lubich, l’amore a Gesù Abbandonato. Nella semplice giovinezza di Chiara tutto è serenità e vigore, anche il breve flirt con Luca, un ragazzo di Sassello. L’autunno del 1988 è decisivo: Chiara avverte i primi insistenti dolori a una spalla. Gli esami rivelano la presenza di un tumore alle ossa. Viene ricoverata a Torino, ma la gravità della sua malattia non le viene rivelata, anche in occasione dell’intervento che rimuove il tumore. Lei è serena e convinta di potercela fare. L’intervento riesce, ma aggiunge nuovi dolori fisici.

Comincia la chemioterapia a Torino, in un piccolo appartamento che il movimento dei Focolari ha messo a disposizione per evitare i lunghi viaggi da Sassello. Entrando in ospedale, Chiara legge la scritta “Reparto oncologico” e capisce. Per accettare la volontà di Dio ha bisogno di un po’ di tempo, come quando era bambina. Sono venticinque minuti di solitudine: il suo orto degli ulivi? Sua madre Teresa, testimone della lotta nel cuore della figlia, coglie nello sguardo il segno del sì. Poi anche altri, i medici, gli infermieri, gli amici, soprattutto l’amica del cuore Chicca vedono la tranquillità e la fortezza con cui sopporta dolori spesso lancinanti.

Quando può continua a studiare, a incontrare i suoi amici. Poi un nuovo progresso della malattia le toglie l’uso delle gambe. Dona a un amico impegnato in Benin tutti i soldi ricevuti in dono per i suoi diciott’anni: così si compie il suo sogno di dedizione all’Africa.

In uno dei tanti ricoveri incontra il cardinal Saldarini, in visita agli ammalati. “Come fai a essere così serena?”, le chiede notando lo sguardo luminoso. “Cerco di amare Gesù”.

La malattia precipita nell’estate e Chiara rivela all’amica Chicca e alla mamma il desiderio che il suo funerale sia una festa. Chiede di essere vestita di bianco, indica le canzoni da eseguire. Pochi giorni prima della morte Chiara sente la misteriosa presenza del Maligno che vuole sprofondarla. L’aiuto della mamma la rincuora. La notte del 7 ottobre 1990, festa della Madonna del Rosario, muore. Le sue ultime parole sono per Teresa: “Mamma, ciao. Sii felice perché io lo sono”.

E’ stata beatificata a Roma il 25 settembre 2010.

* * *

Fin qui il racconto della sua storia. Desidero, tuttavia, aggiungere un ricordo personale. L’anno scorso, ho avuto l’opportunità di incontrarmi con l’esperienza di Chiara, assistendo alla testimonianza offerta dai suoi genitori a Milano, nella Chiesa di Sant’Ambrogio. Dopo aver ascoltato il racconto commosso ma pieno di grande serenità e fiducia di mamma e papà Badano ho fatto le seguenti riflessioni:

1 ) davvero la santità è bella ed è desiderabile! essa è in grado di dare una luce nuova alla vita;

2) la santità è feconda: quello che i genitori di Chiara hanno fatto per lei, in termini di assistenza e cura personale, non è minimamente paragonabile a tutto quello che Chiara ha donato alla sua famiglia, infondendo ai suoi cari coraggio e forza;

3)  la felicità non è una condizione utopistica; non consiste nell’evasione dalla nostra storia, ma nell’immergersi in essa fino in fondo, entrando in sintonia con la volontà di Dio.

Alessandro Scaccianoce

A Lourdes con i Social Media

In occasione dell’anniversario della prima apparizione della Vergine Maria a Lourdes sarà possibile inviare intenzioni di preghiera direttamente alla grotta di Massabielle.

Redazione SME

Un solenne Atto di Affidamento alla Madre di Dio di tutti i pellegrini italiani presenti al Santuario si svolgerà a Lourdes, sabato 11 febbraio, in occasione del pellegrinaggio per l’anniversario della prima apparizione della Vergine Maria a Bernadette Soubirous.

Alla preghiera di affidamento, in programma alle ore 18.30 alla Grotta di Massabielle, seguirà subito dopo il Santo Rosario, a cui potranno partecipare tutti, anche coloro che a Lourdes non potranno essere fisicamente. Scrivendo infatti la propria breve intenzione sul muro della pagina dei Jospers, la comunità virtuale di Facebook  http://www.facebook.com/#!/JospersItalia – con la hashtag #lourdesaffidamento – oppure inviando una mail a socialmedia@orpnet.org, ognuno potrà affidare la propria preghiera alla Madre di Dio.

Le intenzioni verranno infatti stampate e portate materialmente alla Grotta di Lourdes durante il momento dell’affidamento che potrà essere seguito in diretta sul sito del Santuario: http://it.lourdes-france.org/tv-lourdes/.

“Vogliamo con questo gesto affidare le nostre difficoltà, le nostre preoccupazioni e anche le nostre necessità e speranze alla Madre di Dio – spiega padre Caesar Atuire, dell’Opera Romana Pellegrinaggi. Desideriamo fortemente che questo momento sia vissuto anche da chi non potrà essere fisicamente a Lourdes con noi e che insieme a noi si unirà spiritualmente ai piedi della Vergine Maria”.

Il pellegrinaggio, che si aprirà venerdì 10 con la fiaccolata serale, proseguirà il sabato con la messa internazionale e la preghiera di affidamento, per poi concludersi domenica con la celebrazione eucaristica alla Grotta.

In Quaresima riscopriamo la correzione fraterna

Il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2012

di Massimo Introvigne

Oggi 7 febbraio Benedetto XVI ha reso pubblico il suo Messaggio per la Quaresima 2012. Quest’anno il Papa propone una meditazione su un testo biblico tratto dalla Lettera agli Ebrei: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (10,24). Il contesto, spiega il Pontefice, è «una pericope dove lo scrittore sacro esorta a confidare in Gesù Cristo come sommo sacerdote, che ci ha ottenuto il perdono e l’accesso a Dio. Il frutto dell’accoglienza di Cristo è una vita dispiegata secondo le tre virtù teologali»: fede, speranza e carità. San Paolo «afferma pure che per sostenere questa condotta evangelica è importante partecipare agli incontri liturgici e di preghiera della comunità, guardando alla meta escatologica: la comunione piena in Dio».

Ma quelli che stanno a cuore al Papa sono i tre aspetti della carità descritti nel versetto 24: l’attenzione all’altro, la reciprocità e la santità personale. Il primo elemento, dunque, è l’invito a «fare attenzione»: «il verbo greco usato è katanoein,che significa osservare bene, essere attenti, guardare con consapevolezza, accorgersi di una realtà». È un verbo che ricorre spesso nel Vangelo. Qui lo stesso verbo «invita a fissare lo sguardo sull’altro, prima di tutto su Gesù, e ad essere attenti gli uni verso gli altri, a non mostrarsi estranei, indifferenti alla sorte dei fratelli». L’invito è attuale, perché oggi «spesso, invece, prevale l’atteggiamento contrario: l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la “sfera privata”». Così, anche oggi occorre richiamare l’attenzione sul «grande comandamento dell’amore del prossimo, [il quale] esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio: l’essere fratelli in umanità e, in molti casi, anche nella fede, deve portarci a vedere nell’altro un vero alter ego, amato in modo infinito dal Signore. Se coltiviamo questo sguardo di fraternità, la solidarietà, la giustizia, così come la misericordia e la compassione, scaturiranno naturalmente dal nostro cuore».

Benedetto XVI cita Il servo di Dio Paolo VI (1897-1978), il quale affermava: «Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli» (Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], n. 66). Ma che cosa significa essere attenti all’altro? Un certo buonismo rischia di portarci a un’interpretazione puramente sentimentale della fraternità. Invece, «l’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è “buono e fa il bene” (Sal 119,68)».

E la nozione di bene è oggettiva. «Il bene è ciò che suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione». La Scrittura – nelle parabole del Samaritano e del povero Lazzaro contrapposto al ricco Epulone – ci mostra tragici esempi di disinteresse verso i fratelli in difficoltà. Ma «che cosa impedisce questo sguardo umano e amorevole verso il fratello? Sono spesso la ricchezza materiale e la sazietà, ma è anche l’anteporre a tutto i propri interessi e le proprie preoccupazioni. Mai dobbiamo essere incapaci di “avere misericordia” verso chi soffre; mai il nostro cuore deve essere talmente assorbito dalle nostre cose e dai nostri problemi da risultare sordo al grido del povero. Invece proprio l’umiltà di cuore e l’esperienza personale della sofferenza possono rivelarsi fonte di risveglio interiore alla compassione e all’empatia». Chi fa il bene all’altro lo fa nel contempo anche a se stesso. Ma attenzione: la carità non è solo quella materiale. Il «prestare attenzione» al fratello «comprende altresì la premura per il suo bene spirituale».

E qui il Papa insiste nel «richiamare un aspetto della vita cristiana che mi pare caduto in oblio: la correzione fraterna in vista della salvezza eterna. Oggi, in generale, si è assai sensibili al discorso della cura e della carità per il bene fisico e materiale degli altri, ma si tace quasi del tutto sulla responsabilità spirituale verso i fratelli. Non così nella Chiesa dei primi tempi e nelle comunità veramente mature nella fede, in cui ci si prende a cuore non solo la salute corporale del fratello, ma anche quella della sua anima per il suo destino ultimo». Nella Sacra Scrittura leggiamo: «Rimprovera il saggio ed egli ti sarà grato. Dà consigli al saggio e diventerà ancora più saggio; istruisci il giusto ed egli aumenterà il sapere» (Pr 9,8s). Cristo stesso, ricorda il Papa, «comanda di riprendere il fratello che sta commettendo un peccato (cfr Mt 18,15). Il verbo usato per definire la correzione fraterna – elenchein – è il medesimo che indica la missione profetica di denuncia propria dei cristiani verso una generazione che indulge al male (cfr Ef 5,11)». Sì, la correzione fraterna va riscoperta, perché è stata dimenticata. «La tradizione della Chiesa – continua il Pontefice – ha annoverato tra le opere di misericordia spirituale quella di “ammonire i peccatori”. È importante recuperare questa dimensione della carità cristiana. Non bisogna tacere di fronte al male. Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice comodità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fratelli dai modi di pensare e di agire che contraddicono la verità e non seguono la via del bene».

In questa Quaresima dobbiamo dunque tornare ad abituarci a parlare con franchezza. Ma senza zelo amaro. «Il rimprovero cristiano, però, non è mai animato da spirito di condanna o recriminazione; è mosso sempre dall’amore e dalla misericordia e sgorga da vera sollecitudine per il bene del fratello». L’apostolo Paolo afferma: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu» (Gal 6,1). «Nel nostro mondo impregnato di individualismo, è necessario riscoprire l’importanza della correzione fraterna, per camminare insieme verso la santità». Non si tratta d’invadenza. Al contrario, «è un grande servizio quindi aiutare e lasciarsi aiutare a leggere con verità se stessi, per migliorare la propria vita e camminare più rettamente nella via del Signore. C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona (cfr Lc 22,61), come ha fatto e fa Dio con ciascuno di noi».

La seconda dimensione della carità su cui il Papa, sulla scia del brano di Ebrei 10,24, vuole invitarci a riflettere è la reciprocità. La vera carità «contrasta con una mentalità che, riducendo la vita alla sola dimensione terrena, non la considera in prospettiva escatologica e accetta qualsiasi scelta morale in nome della libertà individuale». Anche questo rischio è particolarmente grave oggi. «Una società come quella attuale può diventare sorda sia alle sofferenze fisiche, sia alle esigenze spirituali e morali della vita. Non così deve essere nella comunità cristiana!». Reciprocità «significa che l’altro mi appartiene, la sua vita, la sua salvezza riguardano la mia vita e la mia salvezza». Tocchiamo qui «un elemento molto profondo della comunione: la nostra esistenza è correlata con quella degli altri, sia nel bene che nel male; sia il peccato, sia le opere di amore hanno anche una dimensione sociale. Nella Chiesa, corpo mistico di Cristo, si verifica tale reciprocità: la comunità non cessa di fare penitenza e di invocare perdono per i peccati dei suoi figli, ma si rallegra anche di continuo e con giubilo per le testimonianze di virtù e di carità che in essa si dispiegano». È il mistero del Corpo Mistico di Cristo.

La terza dimensione della carità di Ebrei 10,24 è «la chiamata universale alla santità, il cammino costante nella vita spirituale, ad aspirare ai carismi più grandi e a una carità sempre più alta e più feconda». Carità significa anche «stimolarci reciprocamente per giungere alla pienezza dell’amore e delle buone opere». È necessario, perché «è sempre presente la tentazione della tiepidezza, del soffocare lo Spirito, del rifiuto di “trafficare i talenti” che ci sono donati per il bene nostro e altrui (cfr Mt 25,25s)». Non basta stare fermi. «I maestri spirituali ricordano che nella vita di fede chi non avanza retrocede».

Ricordando l’indicazione del beato Giovanni Paolo II (1920-2005) secondo cui dobbiamo sempre aspirare alla «misura alta della vita cristiana», Benedetto XVI si augura che in questa Quaresima, «di fronte ad un mondo che esige dai cristiani una testimonianza rinnovata di amore e di fedeltà al Signore, tutti sentano l’urgenza di adoperarsi per gareggiare nella carità, nel servizio e nelle opere buone».

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