Uno studio rivela: il divorzio fa male ai figli

di Padre John Flynn, LC

Negli Stati Uniti ogni anno oltre un milione di bambini sono vittime innocenti del divorzio dei loro genitori. Il divorzio fa male ai genitori, ma sono soprattutto i bambini a soffrirne di più, come rivelato da ricerche recenti.

I risultati sono contenuti in uno studio “The Effects of Divorce on Children”, di Patrick F. Fagan e Aaron Churchill, pubblicato a gennaio dal Marriage and Religion Research Institute.

Come c’era da aspettarsi, il divorzio influisce negativamente sulla capacità dei genitori di relazionarsi con i propri figli.

Uno studio ha scoperto che lo stress causato dal divorzio danneggia il rapporto madre-figli nel 40% delle madri divorziate. Questa carenza è più marcata quando i figli sono al liceo e all’università.

In termini pratici, questo significa che dopo il divorzio, i bambini ricevono meno sostegno emotivo, assistenza finanziaria ed aiuto dai loro genitori. C’è anche una diminuzione dello stimolo accademico, dell’orgoglio, dell’affetto e dell’incoraggiamento alla maturità sociale. Meno giocattoli e più punizioni corporali è un’altra conseguenza per i bambini di genitori divorziati.

Lo studio rivela che la maggioranza – circa il 90% – dei bambini rimane con la madre dopo il divorzio. Diventa quindi difficile per il padre mantenere legami stretti con i figli.

Un altro aspetto analizzato dallo studio di Fagan e Churchill è l’effetto del divorzio sulla pratica religiosa dei bambini. “Dopo il divorzio – così emerge dalla ricerca – sono più propensi a smettere di praticare la loro fede”. Una diminuzione della pratica religiosa impedisce ai bambini di conoscere e interiorizzare gli effetti benefici dell’insegnamento religioso e cioè: la stabilità matrimoniale, l’educazione, la capacità di  produrre reddito, la salute fisica e mentale.

Una parte dello studio ha esaminato come influisce il divorzio sulle attività educative. A livello della scuola elementare, per esempio, si registra un calo immediato del rendimento scolastico. A livello della scuola secondaria, i figli di famiglie solide hanno risultati significativamente migliori rispetto ai loro coetanei di genitori divorziati. All’età di 13 anni ad esempio c’è in media una differenza di mezzo anno nella capacità di leggere tra i figli di genitori divorziati rispetto a quelli di famiglie stabili.

Da un’altra ricerca contemplata nello studio emerge che i figli di coppie divorziate hanno il 26% di probabilità in più di abbandonare la scuola secondaria rispetto ai bambini cresciuti in famiglie stabili. Anche se un genitore divorziato si risposa, questo fatto non riduce l’impatto negativo del divorzio iniziale sui risultati scolastici dei bambini.

L’impatto negativo del divorzio si estende fino all’università. Fagan e Churchill riportano uno studio secondo il quale solo il 33% degli studenti provenienti da famiglie divorziate prendono la laurea, rispetto al 40% dei loro coetanei provenienti da famiglie stabili.

Secondo gli autori dello Studio, il divorzio ha un costo economico non solo per le famiglie, ma anche per il governo e per la società. Le statistiche mostrano che i figli di famiglie divorziate sono molto più propensi ad essere coinvolti in comportamenti delinquenziali, in risse, rapine e nel’abuso di sostanze alcoliche e/o droghe.

Inoltre “Il divorzio scombussola la stabilità psicologica di molti bambini”. Nello studio in questione si riporta una ricerca condotta su studenti della settima e dell’ottava classe, secondo la quale il divorzio dei genitori era il terzo evento più stressante in un elenco di 125 eventi. Solo la morte di un genitore o di un parente stretto è più stressante del divorzio.

C’è da aggiungere che l’impatto psicologico non è passeggero. Persino da adulti, chi ha sofferto il divorzio da bambino, sperimenta un numero maggiore di problemi emotivi e psicologici rispetto a chi proviene da una famiglia stabile.

Per Fagan e Churchill. “Il divorzio genera effetti che indeboliscono i bambini e tutte le cinque principali istituzioni della società, cioè la famiglia, la chiesa, la scuola, il mercato, e il governo stesso”.

Con l’alto numero di divorzi che si stanno verificando le conseguenze debilitanti continueranno a manifestarsi negli anni a venire. Non è un pensiero confortante, considerando anche la tendenza culturale che critica la famiglia naturale e cerca di  ridefinire il matrimonio. 

Luoghi comuni nella cultura imperante…di derivazione gramsciana

di Rino Cammilleri

Manca nella Chiesa, ed è per questo che ce ne occupiamo, un piano sistematico di riappropriazione della cultura. Ecco un elenco dei luoghi comuni diventati ormai mentalità corrente anche di molti cattolici, luoghi comuni che si sono impossessati dei cervelli grazie alla strategia gramsciana di conquista della cultura e, soprattutto, del significato delle parole:
1) le sinistre sono per il popolo e le destre per i padroni (in verità le sinistre, di cui fanno parte i cattolici “adulti”, sono solo stataliste);
2) ciò che è di interesse pubblico deve essere per sua natura statale;
3) il “progresso” sta a sinistra;
4) la sinistra è contro il Potere (invece, è la sinistra ad avere creato i poteri più assoluti della storia);
5) in Italia lo scopo del terrorismo brigatista negli “anni di piombo” era di fermare l’ascesa del Pci;
6) le sinistre sono l’antidoto naturale alla mafia;
7) se il nazismo era il male, il comunismo era a fin di bene (invece, erano cugini);
8) la lotta per la libertà è antifascista ma non anticomunista;
9) la Resistenza l’hanno fatta i comunisti;
10) il comunismo è di sua natura pacifista;
11) senza Usa e Israele ci sarebbe la pace nel mondo;
12) il terrorismo islamico è causato dalle ingiustizie presenti nel mondo;
13) esso è solo contro gli Usa ma non contro l’Europa;
14) il capitalismo è una mostruosità (e non la normale propensione di tutti gli uomini a risparmiare, investire ed espandersi);
15) il profitto è intrinsecamente perverso;
16) la povertà è causata dalla ricchezza;
17) l’Occidente è colpevole della povertà nel mondo;
18) le risorse per la solidarietà sociale sono una variabile indipendente dall’economia;
19) la causa dei problemi ambientali è lo sviluppo;
20) l’uomo è il cancro del pianeta;
21) la meritocrazia è classismo (invece, è l’unica chance per i poveri e i privi di raccomandazione);
22) la delinquenza è colpa della società;
23) i criminali devono essere recuperati, non puniti;
24) la scienza esclude la fede (invece, la religione comincia là dove la scienza non arriva);
25) la laicità esclude la religione (come se laicità fosse sinonimo di ateismo), che resta sempre un limite allo sviluppo;
26) la famiglia tradizionale è un concetto religioso, non di ordine naturale;
27) la famiglia è per sua natura oppressiva;
28) animali e piante hanno la stessa dignità dell’uomo.

Questo necessariamente sommario elenco (cui ho personalmente aggiunto qualcosina) discende dal plagio scolastico ed è ormai presente nei media a prescindere dall’orientamento ideologico. La scuola «pubblica» (cioè, di Stato), infatti, è frutto dell’appropriazione giacobina durante la Rivoluzione francese, poi esportata da Napoleone. Questo quadro cultural-psicologico è il brodo di coltura di ogni Tg o grande quotidiano nazionale, dell’intrattenimento, dell’approfondimento e di moltissime omelie. Esso conferisce alla sinistra una forza enorme senza sforzo alcuno, sic et simpliciter, facendone il vero partito televisivo e di plastica. Per giunta, è proteiforme e capace di adattarsi a chiunque: passa disinvoltamente dal pacifismo alle mitologie rivoluzionarie, dal socialismo reale al progressismo liberaI, dal cattolicesimo fascinato dal marxismo al neo-post-comunismo, al noglobal, al terzomondismo, al libertarismo, perfino dal materialismo al moralismo. E ciò perché la strategia gramsciana ha vinto, come anticipato, la battaglia delle parole.
Termini come profitto, ricchezza, Occidente, persona, impresa, educazione, libertà, ecologia, responsabilità, risorse, famiglia, immigrazione, tasse, Stato sono ormai parole totemiche che hanno perso il loro vero significato e sono diventate cavalli di Troia per scardinare il buonsenso. Di esse si serve ogni giorno «l’egemonia filo-postmarxista» e che impera ormai in tutti gli ambiti: cultura, istruzione, enti pubblici, giustizia, media, case editrici, ecologia, economia, volontariato, chiese, sanità, urbanistica.
Questa constatazione riguarda anche l’universo cattolico, che di complessivo e strategico ha ormai solo i discorsi del Papa. L’incidenza culturale di gran parte delle valanghe di carta e delle parole prodotte da congressi, convegni, piani pastorali, tavole rotonde dialogiche, periodici, agenzie, radio, tivu e internet è gravemente insufficiente.
Ed è già tanto quando non vi compaiono i luoghi comuni che abbiamo elencato.

“Senza il sacrificio per gli altri la società si suicida”

Redazione SME

Il Cardinale Angelo Bagnasco nell’omelia durante la Messa celebrata per la Giornata Mondiale del Malato.

«Una civiltà, una cultura, una vita che, per difendere se stessa, illusoriamente, si taglia fuori dalla dedizione, dal sacrificio, dalla generosità di servire gli altri è suicida». Ad affermarlo è l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco, nell’omelia pronunciata oggi pomeriggio nella Cattedrale di San Lorenzo durante la Messa celebrata in occasione della festa della Madonna di Lourdes e della 20esima Giornata Mondiale del Malato.

«L’uomo moderno – ha detto ancora il cardinale – rischia di essere strangolato dalle sue stesse mani, dalla preoccupazione di sè del proprio benessere, che è sempre irraggiungibile; rischia di essere strangolato dal proprio egoismo, dal proprio io». «Per coprire, difendere sostenere affermare il proprio io – ha proseguito – l’uomo dimentica gli altri, si rinchiude in sé stesso, si preclude, si nega agli altri e quindi al servizio».

«Il mondo moderno – ha concluso il cardinale – ha bisogno estremo di riscoprire il servizio per uscire da sé stesso». Nell’omelia il cardinale, ha parlato di Lourdes come luogo di «preghiera, servizio, fraternità e gioia».

La Chiesa, ad ogni livello, raccomanda la pratica dell’Adorazione Eucaristica.

Contemplando il Cristo Eucaristico solennemente esposto in Basilica Santuario a Biancavilla, in occasione delle Sacre Quarantore 2012

Redazione SME

Nel Nuovo Testamento (vangeli sinottici, San Paolo, San Giovanni) e nella tradizione dei primi cristiani, l’eucarestia è il cibo da mangiare e il sangue da bere: «prendete e mangiate….prendete e bevete…». Questo è e rimane lo scopo primo e fondamentale dell’Eucarestia.

Un celebre passo di San Giustino, nella sua prima apologia (secondo secolo d.C) ci dice come veniva celebrata la Messa da questi primi cristiani. Dal testo emerge chiaramente la fede nella reale presenza, come dirà in seguito la teologia scolastica medievale, del Signore Gesù nel pane e nel vino eucaristicizzati e che tale presenza-significato non è limitata al momento della celebrazione, poiché viene portata agli assenti, senza limiti di tempo. Le testimonianze al riguardo sono innumerevoli: chi non ricorda la figura di san Tarcisio, esaltata dai distici di papa Damaso (366-384), che difese con la vita dalla profanazione dei pagani l’eucaristia che portava ai malati?

L’archeologia e la pittura ci testimoniano le prime custodie eucaristiche: scatolette di avorio, di metallo da portare al collo per portarla ai malati, in viaggio. Nelle Costituzioni Apostoliche, una raccolta di leggi, di preghiere, di usanze liturgiche nata nell’ambiente antiocheno nel quarto secolo, si legge alla fine della descrizione della Messa: «Dopo che tutti e tutte abbiano comunicato, i diaconi, raccolti i resti, li portino nel pastoforio» (Libro VIII, 13) un luogo particolare per conservarla che possiamo considerare l’antenato del nostro tabernacolo.

Non finiremmo più di citare Padri della chiesa, testi liturgici, usanze particolari al riguardo. Lungi dall’essere confinata sull’altare, l’eucaristia parte da lì, va nelle case dei fedeli, li segue nella loro vita quotidiana, nei loro viaggi, soprattutto nell’ultimo viaggio, il viatico. Questa presenza della Eucaristia nei luoghi più disparati, è per noi impensabile: Novaziano (morto intorno al 258) si lamenta che ci siano cristiani che dopo la celebrazione vadano tranquillamente con l’eucarestia allo stadio! invece di portarla a casa secondo l’uso. (De spectaculis III)

Il passo dalla custodia alla venerazione, anche pubblica, è breve e anche comprensibile. Nel medioevo si accentua con riti e preghiere la fede nella reale presenza del Signore nel pane e nel vino consacrati: processioni, benedizioni eucaristiche, la stessa festa del Corpus Domini (istituita nel 1264) celebrano questa Presenza. Nascono in questo periodo celebri preghiere che fanno parte anche oggi del patrimonio eucologico della chiesa, dalla sapienza di San Tommaso D’Aquino: «adoro te devote» e «ave verum corpus» e «pange lingua»… Il concilio di Trento (1545-1563) respinge la dottrina protestante sulla Messa e sul suo significato, ribadendo il valore sacrificale della stessa e la reale presenza di Cristo negli elementi consacrati. Nel 1800 si assiste ad un ulteriore sviluppo dell’adorazione con la fondazione di congregazioni eucaristiche, di congressi, unioni per l’adorazione notturna ecc… che si muovono nella prospettiva della riparazione delle offese al Signore presente, della consolazione al Signore nascosto nel tabernacolo (il divin prigioniero…). Agli inizi del 1900 san Pio X inizia un cammino di riunione tra la celebrazione e l’adorazione con i decreti sulla comunione frequente, sulla comunione ai bambini ecc.

Da quanto detto, appaiono allora chiare le ragioni della adorazione eucaristica come prolungamento della celebrazone-comunione eucaristica e che ad essa rimanda.

La giornata del malato: da Lourdes fede e speranza

 La festa liturgica della Madonna di Lourdes, che si celebrerà sabato 11 febbraio, coincide con la Giornata Mondiale del Malato. In questa intervista a Mons. Jacques Perrier, vescovo di Tarbes-Lourdes, le ragioni della celerazione e il messaggio del Santo Padre Benedetto XVI.

Giovanni Paolo II ha scelto che la Giornata Mondiale del Malato coincidesse con la festa di Nostra Signora di Lourdes: perché questa Giornata e perché Lourdes?

Mons. Perrier: Il Santo Padre Giovanni Paolo II impiegò molto tempo prima di tornare all’attività normale dopo l’attentato del 13 maggio 1981, i cui postumi ha conservato per sempre. Ma non è l’unica ragione. Egli era convinto che la preghiera e l’offerta dei malati giocano un ruolo importante nella santificazione della Chiesa e nell’evangelizzazione. Il titolo della sua Lettera Apostolica Salvifici doloris è altrettanto rivelatore del suo pensiero, quanto provocatorio per l’opinione.

Per quanto riguarda la scelta di Lourdes, che è nota per le sue guarigioni, essa dimostra che Dio è promessa di vita, che il desiderio di guarire è perfettamente legittimo e che l’attività del personale curante deve essere apprezzato e sostenuto dalla Chiesa. Bernadette, diventata suora, è stata un’ottima infermiera, nonostante la sua debole formazione iniziale.

Quest’anno, il messaggio di Benedetto XVI insiste sui sacramenti di guarigione: può raccontarci di più?

Mons. Perrier: Il “sacramento degli infermi”, non è l’unico sacramento adatto alla situazione dei malati: anche la Riconciliazione e l’Eucaristia lo sono. L’Eucaristia non è il pegno della vita eterna? “Chi mangia di questo pane vivrà in eterno”. Dice il Santo Padre Benede: «Dio guarisce tutte le tue infermità. Non temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite… Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi respingere le sue mani» (S. Agostino sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l’importanza dell’Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all’offerta che Egli ha fatto di Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L’intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in particolare, prestino attenzione nell’assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo, a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto, partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa. In questa prospettiva, è importante che i sacerdoti che prestano la loro delicata opera negli ospedali, nelle case di cura e presso le abitazioni dei malati si sentano veri «”ministri degli infermi”, segno e strumento della compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza»

A Lourdes non c’è solo la grotta, ci sono gli ospedali e i cappellani. Quale il messaggio che viene da quiesto luogo?

Mons. Perrier: La sfida principale nella nostra cultura attuale è quella di dare un senso alla sofferenza che i progressi della medicina hanno permesso di ridurre ma non eliminare. Questa sofferenza è molteplice, non solo fisica. L’iter che porta all’offerta di sé è un cammino arduo. È un vero e proprio cammino di conversione: la preghiera della comunità cristiana e della comunione dei santi deve essere sollecitata.

Conclude Benedetto XVI: Il tema di questo Messaggio per la XX Giornata Mondiale del Malato, «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!», guarda anche al prossimo «Anno della fede», che inizierà l’11 ottobre 2012. (…) Desidero incoraggiare i malati e i sofferenti a trovare sempre un’ancora sicura nella fede, alimentata dall’ascolto della Parola di Dio, dalla preghiera personale e dai Sacramenti, mentre invito i Pastori ad essere sempre più disponibili alla loro celebrazione per gli infermi. Sull’esempio del Buon Pastore e come guide del gregge loro affidato, i sacerdoti siano pieni di gioia, premurosi verso i più deboli, i semplici, i peccatori, manifestando l’infinita misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr S. Agostino, Lettera 95, 1: PL 33, 351-352).

A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente.

A Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, eleviamo il nostro sguardo fiducioso e la nostra orazione; la sua materna compassione, vissuta accanto al Figlio morente sulla Croce, accompagni e sostenga la fede e la speranza di ogni persona ammalata e sofferente nel cammino di guarigione dalle ferite del corpo e dello spirito.

L’amore guarisce: riflessioni sull’esperienza di Carmelo Mazzaglia

Il dono della vita è più grande del “diritto alla morte”. A 3 anni esatti dalla morte di Eluana Englaro riflessioni sulla vita a partire dall’esperienza di fede di Carmelo Mazzaglia e da quanto egli stesso scrive nel suo libro di prossima pubblicazione.

di Alessandro Scaccianoce*

Caro Carmelo,

vorrei ringraziarti per la tua testimonianza.

Mi ha impressionato subito il titolo da te scelto per il tuo lavoro: “Il dono più grande”. Mi sono subito chiesto: qual è il dono più grande che hai ricevuto? La vita? La fede? O la malattia? Credo di poter rispondere – senza tradire il tuo pensiero – senz’altro tutte queste cose insieme. Non si può capire la tua vita, infatti, senza accostarsi alla tua fede, né può comprendere appieno la tua fede chi volesse leggerla al di fuori della tua esperienza di vita. Il dono più grande sei tu, Carmelo, Vangelo vivente, in carne e ossa, che viaggia su quella sedia a rotelle, prova sublime della salvezza di Cristo offerta ad ogni uomo.

Mentre tu canti la grandezza dei doni ricevuti nella tua vita, quasi mi vergogno di tutte le volte che ho disprezzato la vita,  provandone noia, fastidio, invidiando l’esistenza degli altri, guardando a tutto quello che non avevo, piuttosto che a tutto ciò che avevo in abbondanza.

Questo tuo sublime canto alla vita impone una riflessione: che cosa fa di un uomo un “vero uomo”? L’efficienza!, sembra essere la parola d’ordine. Chi non è utile, non vale! La sottile e subdola tentazione che si insinua nel nostro modo di pensare, e che certi media ci propinano anche con malcelata prepotenza, è quella di fuggire dalla sofferenza e da una vita che in termini industriali non sia “produttiva”. Tutto questo in nome di un presunto diritto a disporre della vita e della morte, a poter decidere che ad un certo punto possa anche valere la pena di “staccare la spina” (in nome di queste convinzioni il 9 gebbraio 2009 a Eluana Englaro veniva letteralmente staccata la spina).

Con voce flebile, ma decisa, in queste pagine tu esprimi il segreto della vita, e della vita felice: “l’amore è la ragione più profonda”.

Di nient’altro l’uomo ha bisogno per essere felice, che dell’amore. L’inganno del positivismo è ormai stato svelato: il benessere non garantisce la felicità dell’uomo. L’occidente opulento e triste ne è la conferma più evidente: “la peggiore malattia oggi è il non sentirsi desiderati né amati, il sentirsi abbandonati” (Beata Madre Teresa). Perciò, mi pare di poter affermare come sintesi del tuo lavoro, che davvero l’amore guarisce. Guarisce lo spirito e, di riflesso, anche il corpo. L’amore di cui tu parli non è un generico sentimento effimero, ma una decisione ragionata e volontaria che si muove lungo due direttrici ben chiare: il perdono delle offese ricevute e la benevolenza verso tutti.

A partire da questa premessa, dalla consapevolezza di essere amato, tu dici di più: né le ricchezze, né gli onori, ma neanche la salute o la malattia, possono rendere una vita piena di senso. Il significato, la gioia di vivere stanno altrove: nel sapersi amati prima di ogni merito personale e nel rispondere con amore all’amore. Mi pare molto sapiente, quindi, lo sviluppo del tuo pamphlet: l’amore prima di tutto, poi la vita, e infine la salute e la malattia. La carità è la dimensione che dà senso all’esistenza e consente di relativizzare concezioni materialistiche ed utilitaristiche, tanto da poter arrivare a ringraziare, come fai tu, anche per il dono della malattia. Con San Paolo tu affermi: “Niente potrà mai separarci dall’amore di Cristo” (cfr Romani 8, 31-39)

Grazie per la tua capacità di lottare, di non arrenderti alla malattia, per la forza straordinaria che riesci a trovare nell’affrontare le tue battaglie quotidiane. Qual è il tuo segreto? Tu hai dimostrato che la forza non viene dal corpo, ma dalla volontà.

Vorrei che  potessero ascoltare la tua esperienza quegli adolescenti che trascorrono annoiati le loro giornate, o si disperano per non essere piacenti come i modelli dell’ultimo serial tv; vorrei che potessero ascoltarti gli “ideologi dei diritti umani”, che invocano il diritto di morire, proprio e altrui, e di poter decidere della propria esistenza quando il corpo non risponde più, quando la vita si fa “vegetativa” o diventa “inutile” (sono trascorsi 3 anni dalla vicenda di Eluana, e il tema resta di bruciante attualità). A costoro tu rispondi: “la diversità non è qualcosa di cui avere paura, ma una fonte inesauribile di scoperte e di ricchezza”.

Caro Carmelo, tu hai colto la grande capacità di poter trasformare un limite in una risorsa per te e per gli altri. Vorrei che queste tue parole le leggessero tanti genitori, che si trovano a convivere con la realtà e la fatica di dover assistere un figlio “diverso”.  Due immagini mi vengono in mente: l’emozione di tuo padre che in braccio ti portava vestito di bianco a ricevere la tua Prima Comunione; la luce che splende negli occhi di tua madre ogni volta che ti ascolta, mentre stai seduto all’organo a intonare i canti sacri per la Messa.

Qualche anno fa mi confidasti del tuo desiderio di diventare sacerdote. Personalmente, posso dirti che stai già svolgendo un ministero a tutti gli effetti “sacerdotale”: immedesimato nella vita e nella passione redentrice di Cristo, con la tua testimonianza tu già conduci chiunque ti incontri al Signore. La tua serenità, il tuo sorriso gentile, sono per tutti noi una certezza: Dio esiste!

* brani scelti dal libro “Il dono più grande” di Carmelo Mazzaglia.