Cristiani perseguitati e uccisi in Pakistan. Questa è la storia di Asia Bibi, una povera donna cristiana condannata per aver bevuto un sorso d’acqua da un pozzo riservato ai musulmani. Ma le violenze continuano. Lo scorso 28 febbraio un’altra giovane donna cristiana è stata accusata di blasfemia, Shamim, 26 anni, madre di una bambina di cinque mesi, per “insulti al profeta Maometto”. Secondo la famiglia, Shamim è stata accusata perché avrebbe rifiutato di convertirsi all’islam. La resistenza opposta ha spinto un gruppo di parenti – che di recente hanno abbracciato la fede di Maometto – a denunciarla in base alla “legge nera”.

di Domenico Bonvegna

Da tempo è calata l’attenzione sulla povera donna pakistana Asia Bibi condannata a morte per blasfemia e da oltre due anni prigioniera in una cella del carcere di Sheikhupura in Pakistan. Naturalmente questo non fa onore al nostro Occidente, in particolare a noi cristiani. Del resto non è una novità, nonostante Benedetto XVI spesso lanci appelli in difesa dei cristiani perseguitati, l’apatia cronica dei cristiani è ancora troppo forte di fronte a questo grave problema.

Asia Bibi vive con il marito Ashiq e i cinque figli in un piccolo villaggio del Punjab, una ragione del Pakistan orientale. E’ analfabeta e per dare un futuro migliore ai propri figli, accetta di svolgere lavori umili e pesanti, come custodire il bestiame di ricchi possidenti o partecipare a raccolte stagionali nei campi. Proprio qui accade l’episodio che sconvolgerà la propria esistenza e quella della sua famiglia. In un pomeriggio, sotto un sole rovente, Asia beve un bicchiere d’acqua proveniente da un pozzo dove bevevano anche le sue compagne musulmane, lei cristiana, ha contaminato l’acqua che spetta di diritto alle donne musulmane che per questo si scatenano contro. Le donne l’hanno denunciata alle autorità musulmane e così all’improvviso Asia Bibi diventa Blasfema, per aver offeso la religione musulmana. In Pakistan questa accusa significa morte certa. Così la povera donna il 14 giugno 2009 viene buttata in una cella senza finestre, dove non può vedere né il sole, né le stelle, una vera e propria tomba, “qua dentro ho imparato a morire restando viva”. Dopo un mese Asia Bibi viene condannata dal tribunale all’impiccagione per aver offeso il profeta Maometto. Nello stesso tempo anche la sua stessa famiglia, minacciata dai fondamentalisti, è costretta a lasciare il villaggio.

Asia Bibi attraverso un libro che in questi giorni mi è capitato leggere ha voluto spiegare “gridare la verità, oggi sono in condizione di scrivervi, dalla cella in cui mi hanno sepolta viva. Lo faccio per chiedervi di aiutarmi, di non abbandonarmi”. E così è nato libro curato da Anne-Isabelle Tollet, corrispondente di France 24 in Pakistan. Il libro è uscito prima dell’estate del 2011 pubblicato da Mondadori, Blasfema. Condannata a morte per un sorso d’acqua. Il testo racconta la morte terribilmente lenta di Asia Bibi. “Sono vittima di una crudele ingiustizia collettiva. Incarcerata, legata, incatenata da due anni, esiliata dal mondo, in attesa della morte (…) Condannata a morte perché avevo sete”. Continua Asia: “voglio che la mia povera voce, che da questa lurida prigione denuncia tanta ingiustizia e tanta barbarie, trovi ascolto”. In attesa dell’appello, dopo la condanna a morte, Asia Bibi rischia ogni giorno la vita in carcere. Per evitare avvelenamenti si cucina da sola; la sua cella è umida e fredda, così piccola che stendendo le braccia si tocca la parete contraria. Dappertutto c’è odore di grasso, sudore, urina, insopportabile anche per una donna cresciuta in campagna. Asia Bibi confessa ad Anne-Isabelle Tollet, che ha raccolto la sua testimonianza parlando con il marito e l’avvocato – gli unici ammessi a incontrarla – di aver pensato al suicidio, per salvare i suoi figli dalla vendetta. La sola cosa che mi permette di resistere – conclude la martire pachistana – malgrado tutte le privazioni, le vessazioni e questa angoscia che non mi da tregua, è la certezza della mia innocenza. La certezza di essere vittima di una ingiustizia. E la volontà di testimoniare, di fare in modo che la mia lotta possa aiutare altre persone. Vorrei tanto che i miei aguzzini aprissero gli occhi, che la situazione del mio paese cambiasse… fatelo sapere. credo che sia la mia unica speranza di non morire in fondo a questa fossa”. Asia Bibi è stata sostenuta coraggiosamente dal governatore del Punjab, Salman Taseer e dal ministro cristiano per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, che sono andati in carcere a visitarla. Entrambi si sono opposti pubblicamente alla legge antiquata della blasfemia, una legge che in sé è una bestemmia, visto che semina oppressione e morte in nome di Dio. Per aver denunciato tanta ingiustizia sia Taseer che Bhatti, due uomini coraggiosi, uno musulmano, l’altro cristiano, sono stati brutalmente assassinati in mezzo alla strada. “Tutti e due sapevano che stavano rischiando la vita, perché i fanatici religiosi avevano minacciato di ucciderli. Malgrado ciò, questi uomini pieni di virtù e di umanità non hanno rinunciato a battersi per la libertà religiosa, affinché in terra islamica cristiani, musulmani e indù possano vivere in pace, mano nella mano”. Come ha potuto Famiglia Cristiana proporre il presidente Napolitano uomo dell’anno, di fronte a due campioni di eroicità, strenui difensori dei diritti umani e morti proprio per questo, come questi due politici pakistani. “Un musulmano e un cristiano che versano il loro sangue per la stessa causa: forse in questo c’è un messaggio di speranza”. Il libro della Mondadori vuole proporre questo messaggio di speranza, attraverso la storia di Asia Bibi, un simbolo, non solo per il Pakistan, ma per tutto il mondo intero, per tutti quelli che lottano contro la violenza esercitata in nome della religione.

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