La festa della Candelora

Il 2 febbraio la Chiesa Cattolica celebra la Festa della Presentazione di Gesù, anche detta “Festa delle luci“. Quaranta giorni dopo il Natale, infatti, Gesù fu condotto da Maria e Giuseppe al Tempio, sia per adempiere quanto prescritto dalla legge mosaica, sia soprattutto per incontrare il suo popolo credente ed esultante. Al Tempio Maria e Giuseppe incontrano Simeone e Anna. Simeone, nel suo celebre “Cantico” riportato dal Vangelo di Luca, definisce Gesù “luce per illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele” (cfr Lc 2,30-32). Da qui, la festa del 2 febbraio assume il senso di “festa della luce” ed è tradizionalmente celebrata con il rito della processione e benedizione delle candele (da cui il termine “candelora”). Secondo la liturgia Cattolica, la formula prevista per l’annuncio della processione e benedizione delle candele è la seguente:

Il Signore nostro Dio verrà con potenza, e illuminerà il suo popolo. Alleluia. Fratelli carissimi, sono passati quaranta giorni dalla solennità del Natale. Anche oggi la Chiesa è in festa, celebrando il giorno in cui Maria e Giuseppe presentarono Gesù al tempio. Con quel rito il Signore si assoggettava alle prescrizioni della legge antica, ma in realtà veniva incontro al suo popolo, che l’attendeva nella fede. Guidati dallo Spirito Santo, vennero nel tempio i santi vegliardi Simeone e Anna; illuminati dallo stesso Spirito riconobbero il Signore e pieni di gioia gli resero testimonianza. Anche noi qui riuniti dallo Spirito Santo andiamo incontro al Cristo nella casa di Dio, dove lo troveremo e lo riconosceremo nello spezzare il pane, nell’attesa che egli venga e si manifesti nella sua gloria.

 La “Festa delle luci” ebbe origine in Oriente con il nome di ‘Ipapante’, cioè ‘Incontro’. La prima testimonianza storicamente accertata di questa festa si ha nel secolo IV a Gerusalemme. Una importante e antica testimonianza di questa festa ci è data da Egeria (scrittrice romana del IV-V secolo) nel suo Itinerarium Egeriae (in cui descrive un viaggio nei luoghi della cristianità). Egeria ci parla di un certo “rito del Lucernare” così descrivendolo: “Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima” (Itinerarium 24, 4). Questo rito del lucernare pare essere una evoluzione dell’antica festa romana dei Lupercali, che si celebrava proprio verso metà febbraio. A partire dal VI secolo la festa della Candelora si estese anche in Occidente: a Roma con carattere più penitenziale e in Gallia con carattere più festoso, grazie alla processione delle candele (candelora). Fino alla recente riforma del calendario liturgico, tuttavia, questa festa si chiamava “festa della Purificazione della SS. Vergine Maria“, poichè si poneva l’accento sulla tradizione ebraica secondo la quale una donna era considerata “impura” (nel senso liturgico del tempo) per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva pertanto recarsi al Tempio per purificarsi. La festa della presentazione del Signore chiude il periodo delle celebrazioni natalizie e apre il cammino verso la Pasqua.

Presentazione di Gesù al Tempio

Il male nella Chiesa si combatte con la santità

Riportiamo di seguito una lucida analisi circa le ultime inchieste giornalistiche che hanno evidenziato alcuni intrighi in Vaticano. Non vacilla la fede dei credenti, ma una riflessione sul male che attanaglia anche la Chiesa va fatta.

di Riccardo Cascioli

 In questi giorni in molti avranno provato sconcerto nel leggere documenti che parlano di furti e corruzione in Vaticano sullo sfondo di una battaglia tra vescovi per controllare posizioni di potere. Parliamo soprattutto di due lettere inviate nei primi mesi del 2011 al segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, da monsignor Carlo Maria Viganò, allora segretario del Governatorato della Città del Vaticano, in cui vengono forniti dati e nomi di personaggi vaticani responsabili di un malaffare che ha provocato alle finanze vaticane ammanchi per decine e decine di milioni di euro. Monsignor Viganò è stato poi “promosso” a nunzio apostolico a Washington. Il quadro che emerge – tra furti, tendenze sessuali varie e losche trame – è senza dubbio desolante: se si considera che in meno di un anno – dal 2009 al 2010 – monsignor Viganò ha portato le finanze del Governatorato da un passivo di 9 milioni di euro a un attivo di circa 30 milioni, si può avere l’idea di quanto denaro è finito in precedenza nelle tasche di personaggi che certamente non avevano a cuore la missione universale della Chiesa. Eppure, per quanto sia dolorosa, questa situazione non deve scandalizzare: il limite, la miseria umana, il peccato sono esperienza condivisa di tutti gli uomini, anche se occupano importanti posizioni nella Chiesa. Non solo, sappiamo che è attraverso la nostra debolezza che si manifesta la potenza di Cristo, come avverte San Paolo (2 Cor 12, 7-10). Il nostro limite, dunque, non è un ostacolo ma lo strumento necessario perché risalti la potenza di Dio. Questo non deve essere in alcun modo inteso come un tentativo di giustificare il furto e l’avidità di potere, ma è uno sguardo realistico sulla realtà della Chiesa. Giustamente tempo fa, a un giornalista che gli chiedeva di queste cose, il cardinale Attilio Nicora ricordava che addirittura il primo “economo” della Chiesa, era un ladro, come dice l’evangelista Giovanni a proposito di Giuda Iscariota: «”Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”. Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 12, 5-6). Questo peraltro dovrebbe mettere in guardia da tanti moralizzatori che parlano in nome dei poveri. Detto questo, però, è chiaro che non si può restare indifferenti e tirare avanti come se niente fosse o, peggio, con una sorta di fatalismo. Ha certo ragione il portavoce vaticano padre Federico Lombardi quando dice che il programma tv che si è occupato della vicenda ha messo in rilievo soltanto la parte negativa dell’amministrazione vaticana, dandone così un’immagine fuorviante; ma allo stesso tempo non si può sminuire la gravità di quanto accaduto. E bisogna porvi rimedio, perché i milioni di euro “spariti” sono tutte risorse tolte alla missione evangelizzatrice della Chiesa e non è tollerabile che questo andazzo continui come se niente fosse. Padre Lombardi ha affermato che la “promozione” di monsignor Viganò – le cui lettere hanno provocato immediatamente una inchiesta interna, già conclusa – non ha fermato l’opera di risanamento del Governatorato e questo è certamente un dato positivo. Ma il problema non è soltanto economico: è evidente che sono sempre attuali le tensioni profonde tra diverse “cordate” in Vaticano, di cui anche l’episodio della pubblicazione delle lettere di monsignor Viganò è un esempio. E sono un ostacolo oggettivo per il Papa, anche lui vittima in questi anni di incidenti causati dal protagonismo di alcuni collaboratori, più attenti alle loro carriere che non alla missione della Chiesa. Qual è la strada per uscire da questa situazione? Difficile dirlo, e non tocca a noi, ma un brano letto in questi giorni offre uno spunto. E’ tratto dal libro di Jan Dobraczynski, L’invincibile armata, ambientato alla fine del 1500 quando il re di Spagna Filippo II si appresta a lanciare l’attacco contro l’Inghilterra. Un giovane gesuita, incaricato di una missione difficile che lo angustia, a un certo punto ricorda ciò che il suo venerando insegnante aveva detto una volta e che gli era rimasto particolarmente impresso: “Il cattolicesimo oggi deve lottare così disperatamente contro le eresie, perché ha troppo pochi santi. I santi, soltanto i santi sono decisivi per la vittoria!”.

Le Crociate: una pacata riflessione storica

di Massimo Viglione

Cosa furono le Crociate? La Crociata era un “pellegrinaggio armato” fatto da cristiani che conduceva al combattimento contro gli infedeli. Possiamo credere in una formale condanna della Crociata in sé a prescindere? Proviamo a fare alcune precisazioni.

La Prima Crociata è del 1096-1099, ma in realtà spedizioni crociate sono state pensate, organizzate, e, a volte, anche effettuate, via terra e via mare, fino agli inizi del XVIII secolo. Questa plurisecolare guerra fra religioni non avveniva perché i cristiani erano brutti e cattivi e volevano trucidare tutti i musulmani, che erano buoni e indifesi; né perché i cristiani non avessero altro a cui pensare; né perché non avessero altre guerre interne in cui dare sfogo alla propria violenza innata. In realtà, questa plurisecolare guerra – occorre ricordarlo – inizia 450 anni prima circa. Senza ombra di dubbio storico possibile, chi ha portato la guerra alla Cristianità è stato l’Islam nascente e trionfante. Sono stati i musulmani, vivente ancora Maometto, che conquistarono prima l’Arabia, ancora in gran parte pagana, ma poi anche Gerusalemme e i Luoghi Santi, divenendo così i padroni del Santo Sepolcro; e quindi, dividendosi in due grandi tronconi militari, portarono la guerra a tutta la Cristianità. Dopodiché assalirono e occuparono la Sicilia e le grandi isole del Mediterraneo, e, nei secoli successivi, invasero varie zone dell’Italia, della Francia (fino a Lione), perfino della Svizzera. Montecassino venne distrutta, Roma assalita e le basiliche costantiniane di San Paolo e san Pietro date al fuoco (per tal ragione fu costruita la Città Leonina intorno a San Pietro da Papa Leone IV). Roma viveva sotto continuo attacco e rischiò di cadere preda dell’Islam (come per altro il Profeta aveva, appunto, “profetizzato”), venendo salvata proprio dalla ripetuta azione militare di vari Pontefici. Per secoli l’Europa mediterranea ha subito le scorrerie dei pirati barbareschi (“mammaliturchi”, la celebre battuta del dialetto romano, nasceva da un tragico grido di terrore ripetuto chissà quante volte nel corso dei secoli): uomini uccisi, donne violate e portate negli harem, bambini rapiti e venduti come schiavi (nei secoli moderni, poi, con i turchi invece venivano fatti crescere musulmani e molti di loro divenivano giannizzeri). Per secoli i pellegrini in Terra Santa vennero massacrati, soprattutto con l’arrivo dei turchi selgiuchidi. Con l’arrivo dei turchi ottomani, che conquistarono ciò che rimaneva dell’Impero Bizantino nel XV secolo e da allora, fino agli inizi del XVIII secolo, i musulmani puntarono a più riprese sull’Europa, conquistando gran parte dei Balcani, assediando Vienna per ben due volte, conquistando Cipro, Rodi, e portando l’assedio a Malta (dove vennero respinti dall’eroismo dei Cavalieri, guidati da Jean de la Vallette). Quanti cristiani vennero assassinati? Quante donne violate e deportate negli harem? Quante città distrutte, vite spezzate, anime costrette all’abiura religiosa? Chi potrà mai farne il conto? Chi potrà mai calcolare l’immenso dolore di questi mille anni? Esso evidentemente è la chiave di volta per comprendere un’intera epoca millenaria.

Non solo uno scontro militare fra due religioni, ma fra due concezioni del mondo e civiltà. Il concetto di fondo appare ora evidente: si chiama “legittima difesa”. Alla fine dell’XI secolo i cristiani poterono reagire e riconquistarono Gerusalemme. Ciò significa che le crociate furono fatte con 3 scopi essenziali tutti legittimi: 1) la riconquista cristiana dei Luoghi Santi; 2) la difesa della vita dei pellegrini; 3) la risposta militare a cinque secoli di guerra. Da notare, per inciso, che dopo la fine delle 7 crociate ufficiali, cioè dal XIV secolo in poi, tutte le ulteriori spedizioni crociate pensate ed effettuate avevano come scopo concreto la difesa dell’Europa dai turchi, e non più (se non idealmente) la riconquista del Santo Sepolcro. Non solo: non è solo questione di Papi e di magistero pontificio. Tutti i più grandi santi e teologi medievali e moderni hanno legittimato la Crociata: san Bernardo di Chiaravalle, san Tommaso d’Aquino, santa Caterina da Siena, san Pio V, il beato Innocenzo XI. Non erano creature assetate di sangue, furono difensori supremi della nostra civiltà e della libertà. Mi permetto di ricordare che ancora agli inizi del secolo scorso, una santa carmelitana giovanissima nei suoi scritti diceva che avrebbe tanto voluto essere un crociato per dare la vita per la difesa della Chiesa dai suoi nemici: si chiamava Teresina del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa Cattolica, proclamata tale da Giovanni Paolo II. E questo solo per fare alcuni esempi. Occorre stare attenti quando si ci si accosta ad un evento della storia lontano che va ben contestualizzato. Se per mille anni i cristiani hanno combattuto con l’Islam, se per secoli Papi, teologi, Santi, Dottori della Chiesa, sovrani, militari, interi popoli, hanno predicato la crociata o preso direttamente le armi, non sarà stato forse perché ce n’era bisogno?

Certamente, come cristiani, dobbiamo provare vergogna per le violenze, come ha ricordato Benedetto XVI ad Assisi il 28 ottobre scorso (senza tuttavia fare riferimento a nessun evento storico), ma non si può fare ideologia. E se ogni tanto dicessimo una preghiera per chi è morto anche per noi, forse daremmo prova di maggior buon senso e civiltà. Un’ultima questione: siamo proprio così sicuri che un giorno, magari neanche troppo lontano, non potremmo trovarci pure noi nella stessa situazione in cui si trovarono per mille anni i nostri antenati?

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