Maria, non è ostacolo ma opportunità per il dialogo ecumenico

Riflessione a margine della “Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani”

di P. Mario Piatti icms

Una lettura della figura di Maria Santissima, indubbiamente interessante, per le ricche e articolate implicazioni che inevitabilmente suggerisce, è quella “ecclesiale”. Anche attenendoci strettamente al dato biblico, è evidente come la sua esperienza, unica, di Dio, il suo particolarissimo rapporto con l’Altissimo -la cui Parola, espressione della divina Volontà, diviene il criterio fondamentale della sua vita e delle sue scelte- non si risolvono mai soltanto nel mistero del suo Cuore, ma si dilatano, coinvolgendo il suo “prossimo”: si tratti dello sposo, San Giuseppe; di Elisabetta e della sua famiglia; dei Pastori; dei vegliardi Simeone e Anna; degli sposi di Cana.

Il “Vangelo dell’Infanzia”, come ci è narrato da Matteo e da Luca, insiste su questo carattere “ecclesiale” della Vergine, che, quasi per un istinto spirituale, per una particolare mozione dello Spirito, è portata sempre a creare unità, a cercare costantemente nuovi motivi e canali di dialogo nella Fede, estendendo i confini della sua carità a tutti coloro che Jahvé le fa incontrare sul suo cammino. È Donna di comunione, promotrice infaticabile di quei legami nello Spirito che non risalgono né alla carne né al sangue, ma che trovano solamente in Dio la loro origine e la loro sorgente (cfr. Gv 1,13).

La Madre di Dio, dovunque, favorisce il realizzarsi di quella dimensione nuova, inaugurata dalla Incarnazione e ufficialmente promossa da Cristo stesso, che chiama i suoi discepoli prima di tutto a stare con Lui (cfr. Mc 3,14), a condividere la sua vita in una sequela sempre più esigente e radicale. In questa nuova “generazione nello Spirito” si colloca la Vergine Santa. Ogni icona evangelica mariana offre proprio come una prospettiva nuova per comprendere il mistero di Cristo e della Chiesa, contemplato da angolature sempre diverse.

Nella Annunciazione lo sfondo non si restringe al pur straordinario colloquio con l’Angelo, ma subito si apre a dimensioni universali: Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio dell’Altissimo. Ciò che avviene nel segreto del Cuore e nella riservata cornice delle mura domestiche ha immediatamente un riflesso universale, che travalica i confini angusti della “privacy”, per divenire patrimonio di tutti, riferimento perenne e paradigma per il discepolo del Signore. Ogni gesto, ogni mozione, ogni desiderio del Cuore Immacolato sono per questo “ecclesiali”, contribuiscono a far crescere nella Fede il popolo di Dio, che, di generazione in generazione, avrebbe attinto luce e Grazia dai misteri vissuti dalla Vergine.

La Visitazione ci offre una immagine vivace, concreta e “famigliare”, di Chiesa, che sembra pienamente realizzare le parole stesse di Gesù: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (cfr. Mt 18,20). In mezzo, tra le due donne, vi è il Figlio di Dio, la cui presenza è percepita da Elisabetta – a che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? – e da Giovanni, che esulta di gioia messianica nel seno materno.

Non è certamente questo il luogo per passare in rassegna tutti i numerosi passi del Vangelo, che attestano, in una luce sempre nuova, il rapporto inscindibile tra il mistero della Vergine e il mistero della Chiesa: basti pensare a Cana, alla Croce, alla “vita pubblica” del Signore. Ogni riferimento evangelico –che identifica Maria come la discepola per eccellenza, la Figlia di Sion, l’Arca dell’Alleanza- conferma la sorprendente ricchezza di temi e di toni, che contribuiscono a chiarire e ad approfondire il nesso vitale e imprescindibile di Maria con la Comunità cristiana.

In base a queste semplici osservazioni, la persona di Maria Santissima, anziché rappresentare quasi un ostacolo al dialogo ecumenico, sembra al contrario aprire vie sempre nuove di coesione e di comunione tra i credenti in Cristo.

Un altro motivo pare confermare questa elementare “scoperta”: il riscontro, nel cuore e nella vita, di una sincera “passione ecumenica”, soprattutto in chi ha coltivato una particolare devozione mariana. Viene subito alla mente l’esempio di Giovanni Paolo II, infaticabile apostolo di dialogo, promotore di incontro e di confronto con tutte le Chiese e consacrato a Dio attraverso le mani di Maria Santissima. L’amore filiale per Lei ha acuito la sensibilità ecumenica del Pontefice, che ha percorso sentieri sempre nuovi di comunione e di riconciliazione, offrendo gesti di amicizia, di disponibilità, di perdono. L’espressione “Totus tuus” è significata la totale adesione ai desideri della Vergine, non ultimo la ritrovata unità di tutti i discepoli di Cristo, cioè di tutti i suoi figli.

Gli Atti degli Apostoli si aprono con la famosa icona di Maria Vergine, assidua nella preghiera con gli apostoli e con i “fratelli” di Gesù (cfr. Atti 1,14). Parafrasando l’espressione ed estendendola oltre i confini dello stretto “parentado” carnale di Cristo, possiamo assumerla come un rinnovato auspicio di piena comunione tra i credenti: seppure “separati”, essi rimangono fratelli del Signore, in virtù della medesima fede nel Risorto e di quella originaria appartenenza alla Chiesa nascente, in cui la Madre è presente, con la missione particolare di favorire la carità e di intercedere incessantemente il dono dello Spirito.

Certo, i passi da compiere sono tanti: ancora di più, per questo, confidiamo in quella materna intercessione, che riconduca la Chiesa alla primitiva unità e renda davvero i cristiani “un cuor solo e un’anima sola” (cfr. Atti 4,32), come la comunità di Gerusalemme di 2000 anni fa.

Il Tuo volto, Signore, io cerco

Sfigurato il volto di N. S. Gesù Cristo.

La persecuzione dei cristiani in tutto il mondo invita a riflettere.

A Milano in questi giorni è in programma uno spettacolo blasfemo!

Redazione SME

Di giorno in giorno facciamo i conti con una realtà minacciosa che si allarga nel mondo: il suo nome è cristianofobia.
La cronaca ci racconta delle continue persecuzioni cui sono sottoposti i cristiani in Nigeria e in altri Paesi in cui è forte il fondamentalismo islamico. Tuttavia, tali episodi di violenza  non sembrano sollevare l’interesse della politica internazionale, eppure è solo un episodio di un fenomeno più vasto, esteso ai cinque continenti. Anche l’Europa, infatti, non è immune da questa ondata persecutoria e anticristiana, come ha notato lo stesso Pontefice nel discorso al corpo diplomatico. Non esiste solo la persecuzione violenta dei cristiani attuata attraverso le bombe, le stragi, gli attentati, esiste anche una persecuzione incruenta, che tocca le anime e non i corpi, e che però è altrettanto violenta di quella sanguinaria.
Una delle ultime espressioni della cristianofobia europea – spiega Roberto De Mattei, storico e cattolico impegnato – è uno spettacolo blasfemo che dopo essere stato rappresentato in Francia andrà in scena a Milano dal 24 al 28 gennaio. Il titolo è Sul concetto di volto di Dio e l’autore è un italiano, il cui nome va consegnato alla vergogna della storia: Romeo Castellucci. La storia è quella di un ambiguo e morboso rapporto tra un padre, che per la vecchiaia diviene incontinente, e un figlio che ne ripulisce le feci. La scena è dominata da una gigantografia di Cristo, nella celebre raffigurazione del Salvator Mundi di Antonello da Messina, e il momento centrale è quello in cui il Volto di Gesù viene inondato di liquami ed escrementi. Si tratta di una rappresentazione blasfema e provocatoria, che aggredisce ciò che per i cattolici è di più sacro.
Bestemmia significa mescolare il sacro con il profano, il puro con l’impuro. Ma cosa c’è di più puro del Santo Volto di Cristo, tramandatoci dalla Sindone e dal velo della Veronica: il Volto di Dio che si è fatto uomo e che nella sua infinita bellezza esprime la sua divinità? E cosa c’è di più basso e impuro in un uomo delle sue feci? Insozzare il volto sublime di Cristo con la materia fecale è quanto di più blasfemo si possa immaginare: è un atto di violenza contro Gesù Cristo e contro tutti coloro che in Lui credono e sperano. Il regista nega che si tratti di escrementi, ma così è stato in Francia e non si capisce come, a Milano, gli escrementi possano trasformarsi in inchiostro, o in altro genere di liquame.
La realtà è che il laicismo vuole emancipare da Dio ogni aspetto della vita umana, ma poi questo sacro separato dal profano viene miscelato in modo oltraggioso e provocatorio. Tutto ciò ha una spiegazione: è la ideologia anticristiana
Non si può vilipendere il Presidente della Repubblica perché si viola la legge italiana; non si può insultare Maometto perché si cade sotto la legge vendicatrice della sharia musulmana. L’unico insulto permesso è quello al Dio dei cattolici.
“Il Tuo volto Signore io cerco” dicono i Salmi. Quel volto di insondabile profondità, di abbagliante maestà, di immensa bontà, in cui si rispecchia la Chiesa e la Creazione stessa, quel Volto che è stato e deve essere oggetto di culto e di devozione, è imbrattato pubblicamente . Cosa c’è di più blasfemo di questo?
La programmazione dello spettacolo a Milano ha generato un grande movimento popolare di protesta in tutta Italia. Da oggi e fino al 28 gennaio p.v. sono in programma molte iniziative di preghiera in riparazione dell’oltraggio che verrà perpetrato sull’immagine del nostro Salvatore. Anche noi, cattolici, abbiamo il diritto di essere indignati e di esprimere pubblicamente la nostra indignazione.
Nei giorni scorsi è stata resa nota anche una comunicazione della Segreteria di Stato Vaticano che dice” Sua Santità auspica una reazione composta ma ferma da parte dei Cristiani in difesa dei comuni simboli religiosi cristiani”.

Invitiamo, pertanto, tutti i nostri amici lettori ad unirsi al movimento di preghiera in riparazione delle offese al nostro Salvatore:

Mostraci, Signore il tuo volto! Quel volto che dopo duemila anni continua ancora ad essere offeso e oltraggiato. La tua passione continua, o Signore, nella nostra storia e nel nostro tempo. Ti preghiamo, affinché dalle tue sante piaghe siamo guariti!

(a.s.)

La famiglia è l'antidoto della crisi economica

Pubblichiamo di seguito alcune tra le più interessanti riflessioni che sono state fatte nell’ambito del convegno su “La famiglia come motore della crescita economica. Valori e prospettive”, svoltosi, ieri a Roma, nel contesto della giornata per il dialogo tra Cristiani e Ebrei..

“L’ebraismo e il cristianesimo sono le uniche due religioni che mettono la persona, la famiglia e i figli al centro”, ha detto il direttore dell’agenzia ZENIT, Antonio Gaspari. “Una famiglia unita conduce ad una società più coesa e solidale e l’economia e la politica devono proteggere questa cellula fondamentale”.

“I figli, che sono la vera speranza per il futuro, ormai sono visti solo come una minaccia ed una limitazione del presente. Questo porta l’uomo a favorire l’aborto, la sterilizzazione, la fecondazione in vitro e tutte quelle altre tecniche che lo rendono esperimento di se stesso e impoveriscono la vita”.

Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello IOR, ha dichiarato, invece, a gran voce che è stato proprio il crollo delle nascite, dagli anni ’70 fino ai giorni nostri, a portarci alla situazione attuale di crisi.

“Se noi sei relatori fossimo il Governo avremmo risolto subito il problema economico, perché sapremmo dove puntare: sulla famiglia!”, ha esclamato sarcasticamente. Presentando, poi, il breve schema dei cinque ‘NO’, il presidente IOR ha illustrato gli effetti negativi che si producono “nel momento in cui s’interrompono le nascite e s’ignorano famiglia e figli nel mondo occidentale”.

No crescita dell’economia: “Negli ultimi 30 anni non sono nati bambini, e il numero di abitanti che eravamo in Italia nel 1980, è rimasto invariato, quindi come fa a crescere il PIL che cresce solo quando si consuma di più?”.

No risparmio: “Uno dei fenomeni dei nostri giorni è che le banche non hanno liquidità – ha osservato – il motivo è che non si risparmia più da 25 anni.”.

“Nel 1975-80 il tasso di accumulazione del risparmio delle famiglie italiane era il 27%, oggi il 4.5! Su cento lire guadagnate, 27 venivano messe in banca, entravano nel ciclo degli investimenti e dell’intermediazione. Oggi tutto quello che si guadagna viene speso, consumato, non c’è risorsa per l’intermediazione finanziaria”.

No matrimonio: “Come mai oggi non c’è possibilità di sposarsi prima dei 32 anni? Perché una giovane coppia non può permettersi di comprare una casa, dovuto al fatto che, anche se professionisti, guadagnano la metà rispetto a trent’anni fa, conseguenza dell’aumento delle tasse dal 25% al 50%”.

No anziani: “I figli non nascono e la popolazione invecchia e va in pensione. Questo economicamente significa aumento di costi fissi: sanità e vecchiaia. La società non ha più soldi per mantenere gli anziani e si studia, perciò, la cosiddetta ‘morte subìta’”.

No lavoro: “Per poter consumare, abbiamo delocalizzato in Asia le produzioni più importanti. Il 50% di quello che prima era prodotto nel mondo occidentale, oggi viene importato perché costa meno. Spostando la produzione, si sono delocalizzati anche i posti di lavoro. Il lavoro quindi non c’è più e il 70-80 % sono solo servizi”.

Sullo stesso filone anche Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica di Roma, che ha definito la famiglia un “istituto fallimentare”, secondo quanto ci è presentato nelle prime pagine della Bibbia.

“E’ un paradosso – ha detto il rabbino – ma sin dalla Genesi ci vengono mostrate situazioni familiari negative: Caino e Abele; Giuseppe venduto dai fratelli; Esaù e Giacobbe e via dicendo. Questo però dimostra che la famiglia è il luogo della vita, dove si sbaglia, ci sono errori da parte dei genitori, ma senza di essa non si può vivere”.

È seguita poi la panoramica della crisi della famiglia, che in realtà, secondo Di Segni, non è altro che “trasformazione” di un “sistema sin dalle origini basato sulla famiglia” in un altro sistema “moderno” secondo il quale “la famiglia patriarcale è diventata famiglia mononucleare; il tasso di fecondità femminile si è ridotto all’1,3 %; le donne partoriscono dopo i 30 anni e non ci sono più matrimoni, ma nel migliore dei casi convivenze”.

“La legge economica ha preso il sopravvento su tutta la vita della società è diventata ‘anima’, tralasciando la sua identità di ‘corpo’, di qualcosa cioè di strumentale”. “Se vogliamo riportare l’economia al suo vero ruolo – ha dichiarato mons. Leuzzi , in conclusione della conferenza – se vogliamo superare l’idea che la società non cresce solo se produce di più, dobbiamo recuperare l’amore coniugale, prima comunità dove l’uomo impara non solo a produrre, ma a costruire”.

Le Quarantore: storia e spiritualità di una pratica antica e sempre nuova

Redazione SME

Le Quarantore sono una delle forme di esposizione eucaristica, come ve ne erano tante e varie dal tardo Medioevo in poi. Si può dire che esse furono la forma tipica che l’adorazione solenne del Sacramento prese in Italia verso il principio del sec. XVI. Esse si richiamano in particolare alle 40 ore che Nostro Signore passò nel sepolcro, e forse traggono la loro origine nell’adorazione che si faceva tra il Giovedì santo e il Venerdì Santo davanti alla “Reposizione” del Sacramento, che appunto veniva tradizionalmente chiamata Sepolcro. Si cominciò a praticarle a Milano nel 1527, come pio esercizio per scongiurare le calamità belliche del momento, dietro la spinta di Gian Antonio Bellotti, che ottenne che venissero praticate quattro volte in un anno. In tale occasione però il SS. Sacramento non veniva esposto, poiché l’adorazione avveniva davanti al tabernacolo chiuso. È controverso chi abbia per primo incominciato ad esporre per l’occasione il Sacramento, tra speciale rilievo di luci e di addobbi. Sembra che la cosa sia ad ogni modo cominciata a Milano, o nel 1534 per opera di P. Bono da Cremona, barnabita, o nel 1537 per opera del cappuccino P. Giuseppe da Fermo, al quale ad ogni modo va soprattutto il merito, oltre che di aver diffuso la pratica in altre importanti città italiane, di aver disposto che l’esposizione e l’adorazione del Sacramento passasse da una chiesa all’altra nella stessa città, in modo da creare un ciclo completo di adorazione durante tutto un anno (Adorazione perpetua).
A questa pratica furono assegnate le prime indulgenze da Papa Paolo III, ed essa ricevette la prima organizzazione stabile per Milano da S. Carlo Borromeo, nel I Conc. Provinciale del 1565.
A Roma ebbe un grande fautore in S. Filippo Neri, che la prese come una delle principali pratiche di devozione per la sua Confraternita, e la solenne festa esteriore con cui accompagnava la pratica contribuì a fare di lui il padre degli oratori musicali, che tanto decoro artistico diedero alla musica del tempo.
Il Papa Clemente VIII, nel 1592, diede una prima regolamentazione, disponendo che con l’esposizione delle Quarantore, “una catena ininterrotta di preghiere…”, ad ogni ora del giorno e della notte, in tutto l’anno” si creasse a Roma. Finalmente Clemente XII, nel 1731, stabilì tutto il cerimoniale con cui si devono praticare le Quarantore con una istruzione che porta il nome di Instusctio Clementina.
Le Quarantore previste dalla Instructio Clementina si devono praticare naturalmente solo in quelle città che hanno molte chiese. La pratica però non tardò ad estendersi anche nei centri minori, almeno come esercizio annuale, specialmente dopo l’avvio che la cosa prese a Macerata nel 1556, per opera di due missionari gesuiti, che volendo ritrarre la gente da uno spettacolo immorale, organizzarono l’esposizione delle Quarantore con particolare solennità. La cosa non solo riuscì, ma contribuì a dare all’esercizio quel carattere di espiazione che riveste particolarmente nei luoghi dove si fa una volta all’anno, e precisamente nel periodo del Carnevale.
Il Papa Leone XIII, nel 1897, estese a tutte le chiese del mondo le indulgenze che alla pia pratica erano state concesse nella città di Roma.
“Dizionario pratico di Liturgia Romana” (ed. Studium)

Biancavilla aderì alla pratica eucaristica delle Quarantore grazie alle indicazioni liturgiche trasmesse a tutte le Comunità ecclesiali della Diocesi di Catania dall’Arcivescovo Card. Giuseppe Francica Nava (1895-1928). Ancora oggi, sostanzialmente con le stesse modalità rituali di un tempo (S. Messa, Ufficio divino, predicazione), nelle parrocchie e comunità religiose della città, la presenza eucaristica del Dio vivo e vero continua a presentarsi solennemente negli altari delle chiese per dare all’uomo speranza e occasione di salvezza.

La famiglia rende felici: uno studio conferma l'insegnamento della Chiesa

Durante l’incontro con gli ambasciatori del 9/1/12, Benedetto XVI ha parlato della famiglia, fondata sul matrimonio di un uomo con una donna, la quale «non è una semplice convenzione sociale, bensì la cellula fondamentale di ogni società. Pertanto, le politiche lesive della famiglia minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità. Il contesto familiare è fondamentale nel percorso educativo e per lo sviluppo stesso degli individui e degli Stati; di conseguenza occorrono politiche che lo valorizzino e aiutino così la coesione sociale e il dialogo. È nella famiglia che ci si apre al mondo e alla vita e l’apertura alla vita è segno di apertura al futuro».

Tutto questo è stato confermato da un recente studio dal quale è emersa proprio l’importanza della famiglia in una società in piena crisi economica e identitaria. Il Barómetro di dicembre del Centro spagnolo de Investigaciones Sociológicas (CIS) ha infatti confermato che la vita familiare è oggi l’aspetto più soddisfacente per i cittadini spagnoli. La pensa così il 74,8% degli intervistati, a seguire (molto distaccati) la salute o forma fisica, che rende felice il 28,7% e le relazioni secondo l’opinione del 20,7 per cento. Lo stesso accade in Francia, come qui indicato (http://www.uccronline.it/2011/10/10/sondaggio-ipsos-il-77-dei-francesi-e-molto-attaccato-alla-famiglia-tradizionale/).

Purtroppo è proprio la sfida della secolarizzazione a minare la stabilità della famiglia (e quindi alla felicità degli individui), e lo si nota nella gioia dei laicisti per ogni divorzio in più. Tuttavia, come ha insegnato Louis Dumont, antropologo francese docente alla Oxford University, «tutte le società che hanno proposto soluzioni collettivistiche miranti alla distruzione della famiglia, dalla città platonica al modello marxista-leninista passando per la severa eugenica “Città del Sole” di Tommaso Campanella (1637) sono state destinate al fallimento. Rileggendo “Il mondo nuovo” pubblicato da Aldous Huxley nel 1932 ci si accorge dove può condurre la volontà di distruzione dei sentimenti paterni e materni».

L'astro del ciel che guidò i Magi è veramente esistito?

la Prof.ssa Flavia Marcacci spiega i fenomeni astronomici del tempo

di Antonio Gaspari

E’ vero che la nascita di Gesù coincise con il passaggio nel cielo di una Stella cometa? Oppure si trattò della coincidenza di astri luminosi? Altri parlano di una stella di spettacolare luminosità.

E’ vero che i magi seguirono la stella per arrivare alla nascita di Gesù? Che cosa dicono al riguardo le fonti storiche? e quella astronomiche? Chi suggerì a Giotto di dipingere la stella cometa?

Sono innumerevoli le domande sulla veridicità del fenomeno astronomico che si sarebbe verificato alla nascita di quel bambino che si diceva figlio di Dio e che diede vita al Cristianesimo.

Per cercare di chiarire il mistero viene intervistata la professoressa Flavia Marcacci Docente di Storia del pensiero scientifico presso la Pontificia Università Lateranense.

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Il Protovangelo di Giacomo e Origene parlano di una stella cometa o qualcosa di simile. Alcuni parlano della cometa di Halley che sembra fu visibile nel 12 a.C., anche se la maggior parte degli storici, datano la nascita di Gesù tra il 7 e il 4 a.C. Lei che ne pensa?

Marcacci: Il Protovangelo di Giacomo parla di una “stella” al capitolo 21. Questa stella avrebbe preceduto i Magi nel loro itinerario fino a fermarsi sopra la grotta della Sacra Famiglia. Rispetto al Vangelo di Matteo (cap. 2), che è l’unico in cui si menziona la stella, il Protovangelo aggiunge un dettaglio: si trattava di una “stella grandissima”, di notevole splendore, tale da offuscare le altre stelle del cielo. Gli altri Vangeli non citano l’astro né i Magi. In compenso Luca parla di un angelo che sorprese con la sua luce i pastori (2,9) e della moltitudine dell’esercito celeste che glorificava Dio (2,13-14). Ora, la luce in generale ha un valore simbolico importantissimo – si pensi anche al prologo del Vangelo di Giovanni. Si potrebbe allora dire subito che la stella dei Magi ha sicuramente un significato simbolico anch’essa, tanto più che nella tradizione giudaica essa rappresentava un segno messianico: tale lettura è ad oggi ampiamente condivisa dagli esegeti. Origene svolge invece un ruolo particolare proprio se guardiamo alla storia dell’esegesi del brano di Matteo: prima di lui si guardava alle stelle come a vere e proprie personificazioni, per motivi che potremmo definire culturali. La fisica, la filosofia della natura antica considerava i cieli abitati da intelligenze organizzate in sfere successive, secondo un uso e una sensibilità che potremmo dire di stampo pitagorico-platonico – correndo il rischio di scivolare in semplificazioni ingenue. Anche Aristotele risente di questa impostazione, ma addebitando il ripetersi identico dei moti dei cieli non ad una intelligenza personale, bensì ad una impersonale Causa Prima (il Motore Immobile, appunto). Nell’antichità, però, era presente anche un’altra linea di pensiero, una vera e propria astrolatria. Già la sapienza del vicino Oriente associava in maniera diretta l’idea di “dio” all’immagine della stella. Così i Greci, ad esempio, mutuarono da qui l’uso di associare nella nomenclatura dei e pianeti, sebbene entro un rapporto storicamente così articolato per cui non fu per nulla immediata l’identificazione tra gli dei e gli astri; i Romani, d’altra parte, continuano ad usare queste corrispondenze, come si evince in autori come Macrobio (V secolo). Ma potremmo continuare citando la Gnosi che costruisce una sorta di geocentrismo divinizzato. In questo quadro così interessante e variegato Origene (185-254) sembra alludere all’evento celeste di Betlemme come ad un fatto naturale, ordinario.

In questo quadro così interessante e variegato Origene (185-254) sembra alludere all’evento celeste di Betlemme come ad un fatto naturale, ordinario

Nel 1977 un gruppo di ricercatori inglesi (Clark, Parkinson e Stephenson) hanno rilevato che gli annali astronomici cinesi registrano nel marzo del 5 a.C. l’apparizione di un oggetto brillante, probabilmente una nova, che rimase visibile per circa 70 giorni tra le costellazioni dell’Aquila e del Capricorno. E’ possibile?

Marcacci: Non è certamente la cometa di Halley, i cui passaggi sono stati puntualmente elencati dall’astronomo Paolo Maffei in un libro interamente dedicato alla questione (La cometa di Halley dal passato al presente, Milano 1987). Il passaggio della cometa più prossimo alla nascita di Cristo dovette essere del 12 a.C. Anche se teniamo conto delle correzioni da apportare alla datazione della nascita di Cristo, che erroneamente Dionigi il Piccolo posticipò di 5-7 anni, c’è comunque un certo scarto temporale. In realtà la cometa di Halley è quella che Giotto rappresentò nella Cappella degli Scrovegni rappresentando l’adorazione dei Magi: aveva assistito all’apparizione della cometa nel 1301, secondo gli studi di R.J.M. Olson, e ne dovette ricevere grande suggestione tanto da volerla rappresentare nel suo ciclo pittorico. Da lì in poi la cometa si configurò come un vero e proprio simbolo del Natale, in realtà particolarmente adatto essendo un oggetto mobile e dunque capace di “anticipare” il percorso dei Magi nell’immaginario collettivo.

Keplero ed altri sostengono che nel 7 a.C. vi fu una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C nella costellazione dei Pesci. Gli astronomi caldei, lo avevano previsto sin dall’anno precedente e la tavoletta con la previsione del fenomeno, datata 8 a. C., è stata trovata in ben quattro copie in siti diversi. Qual è il suo parere in proposito?

Marcacci: Molti dati possono giungerci anche dalle tavole dell’astronomia cinese, ricchissime e numerose. Per comprendere l’importanza di queste osservazioni basta tener conto di un dato molto semplice: mentre in Europa in duemila anni si è di fatto prodotta una sola riforma del calendario (quella gregoriana del 1582), in Cina ce ne furono una cinquantina. Non è il caso ora di soffermarsi sui motivi che determinarono tale spiccato interesse, basta un breve cenno all’importanza delle osservazioni celesti (in senso lato, dunque relative a tutti i fenomeni che comparivano in cielo) nell’amministrazione dello stato. L’interesse verso questa astronomia doveva essere notevole se già agli inizi del XVII secolo il gesuita P. Schreck, allievo di Galileo, interpellò il maestro e Kepler perché lo aiutassero a riformare il calendario cinese. In effetti l’organizzazione del cielo cinese risentiva di un’altra concezione astrologica ed era priva di una base teorica solida. I Gesuiti, dotati di una astronomia teorica solida, sebbene ancora divisa tra Copernico e Tolomeo, ottennero la fiducia dell’imperatore sugli astronomi arabi e cinesi per la riforma del calendario, prevedendo con maggior precisione degli altri concorrenti l’eclissi parziale del 21 giugno 1629 (Maffei, cit., pag. 105). Negli anni ’70 si accese un certo dibattito proprio in occasione della lettura delle tavole cinesi: in particolare sollevarono il problema proprio il gruppo di ricercatori inglesi – Clark, Parkinson e Stephenson – rilevando che gli annali astronomici cinesi avevano registrato nel marzo del 5 a.C. l’apparizione di un oggetto brillante, probabilmente una nova, che rimase visibile per circa 70 giorni tra le costellazioni dell’Aquila e del Capricorno. Sempre in quegli anni ci fu Hughes con un intero volume dedicato alla questione “stella di Betlemme” (The Star of Bethlem Mistery, London 1979). Seguirono alcuni articoli di altri studiosi e le ipotesi si articolarono, fino a che oggi sono molteplici: se la stella di Betlemme fosse un oggetto (cometa, nova, supernova) o un fenomeno (congiunzione planetaria, configurazione astrologica, levata eliaca, osservazioni legate alla precessione degli equinozi). Ad oggi la bibliografia sull’argomento continua ad essere nutrita e aggiornata, tale da coinvolgere studiosi importanti. La persistenza dell’interesse verso la questione gode di un illustre precedente risalente sempre al XVII secolo, quando proprio Keplero calcolò che nel 7 a.C. vi fu una triplice congiunzione di Giove e Saturno verificatasi nel 7 a.C nella costellazione dei Pesci (ricca di significati particolari), rievocando un’anticipazione dell’astronomia dei Caldei.

Insomma è plausibile che si sia verificato un fenomeno astronomico particolare in occasione della nascita di Gesù?

Marcacci: Occorre tener conto che in sede storica la scienza può certamente venire in aiuto, ma non dovrebbe costituire una prova in senso stretto. Un po’ come nel caso della famosa eclisse di Talete: non si può pretendere di ottenere una datazione precisa degli eventi della vita di questo Milesio partendo dalla datazione dell’eclisse, perché si rischierebbero fastidiose imprecisioni. Analogamente, non possiamo usare una data – ottenuta da pur validissime considerazioni scientifiche – come surrogato alla carenza di documenti. Né usare un dato scientifico per un qualche concordismo in sede di esegesi. Insomma, al momento non si possono trarre conclusioni definitive ed occorre cautela: resta la valida significazione simbolica della stella, che già può dire quanto serve in relazione al Vangelo di Matteo. Nonostante questo non è escluso che in futuro potremmo avere indicazioni più precise: è importante che la ricerca sulla “cometa di Betlemme” continui. Come sta in realtà sta continuando, dando spazio a molte voci alternative. E resta indubbio che la comprensione scientifica degli oggetti celesti osservabili anche al tempo di Gesù può dare maggior vigore alla percezione della bellezza infinita del creato intorno a noi: noi come i Magi siamo ancora affascinati dal cielo, e guardare in alto è fuor di metafora l’istinto più profondo di ogni cuore e di ogni intelligenza.