IL ‘BRIO’ DI BIANCAVILLA

Riflessioni sulle feste patronali di Biancavilla, a partire da alcuni documenti messi a disposizione dall’Archivio personale di GIUSEPPE MARCHESE, cultore di storia locale.

Le feste patronali mostrano il meglio della nostra città. Tra bancarelle e luminarie, Biancavilla diventa bellissima. La festa ci consente infatti di riappropriarci della città, di suoi spazi e angoli a cui durante il resto dell’anno neppure facciamo caso. Le lunghe passeggiate, tra ali di folla, ci mostrano un centro vivo, colorato e dinamico.

Di questo “brio” che percorre le strade del nostro paese ci parla un inno a San Placido del 5 ottobre 1881, che Giuseppe Marchese mette a disposizione dei suoi concittadini, in quest’occasione. Si tratta di un inno dedicato al compatrono di Biancavilla, che – a ben vedere – celebra la città stessa. Allegria, splendore, progresso, bellezza e brio sono attribuiti alla città personificata:

“Biancavilla sorgi al brio, che in te Placido ridesta… L’allegria tua natìa torni dunque al suo splendor… e per esso – di progresso – il tuo genie mai mancò… Biancavilla avventurosa, Tua bellezza mai cadrà. E il sorriso – sul tuo viso – pur piangendo, splenderà… il brio – tuo natìo – mai tramonto aver potrà”.

Questo testo declama le peculiarità di una cittadina, briosa, frizzante, sempre aperta al progresso e all’innovazione. Una bellissima descrizione dell’indole dei biancavillesi, che nei giorni di festa viene fuori ancora con più evidenza. Basta scorrere la storia di Biancavilla per trovare conferma di questo “brio”, che dice tante cose, soprattutto dell’intraprendenza e della laboriosità della nostra gente.

Ecco allora che quella che chiamiamo comunemente “Festa di san Placido” è proprio la festa dei biancavillesi, del loro talento e del loro genio, del loro orgoglio di appartenenza. È la festa di un’identità da riscoprire e da tenere viva.

Che cos’è quel “brio” di cui parla l’autore del testo citato? Per scoprirlo, basta fare una passeggiata in questi giorni di festa, e assaporare tutta la creatività, il talento e l’originalità di questo popolo che vive ai piedi dell’Etna. Un brio da coltivare e da alimentare. Per far sì che non si spenga insieme con le luci delle luminarie.

Giuseppe Marchese ci offre ancora due documenti inediti fino ad oggi. Innanzitutto un documento datato 5 settembre del 1952, a firma del Sindaco Minissale che scrive ad un ente identificato con le sigle I.N.G.I.C. (il poco tempo non ci consente di indagare di più  e meglio sui dettagli) comunicando che, per sostenere le spese della festa, “la Commissione per la festa di S. Placido ha deciso di applicare un sopraprezzo-balzello di lire dieci al Kg. sul baccalà e pesce salato. Il documento ci fa simpaticamente sorridere e ci impone una domanda ironica: stante l’aumento di tasse per il periodo compreso della festa, avranno i biancavillesi aumentato il consumo di baccalà, per sostenere gli introiti, o si saranno  piuttosto dedicati ad altre pietanze? Sarà per questo che a San Placido aumentava il consumo di salsiccia? 😉

Facendo un piccolo passo innanzi, Marchese ci offre in visione una foto dei primi anni 60 della bancarella di un noto venditore di crispelle, che ancora oggi viene a Biancavilla per la fiera. Nella foto si vede come la bancarella fosse situata sulla parete di sinistra della chiesa del Rosario. Un po’ di cartacce a terra non mancano, ma l’impressione complessiva è quella di una intrinseca eleganza e dignità del lavoro manuale, sottolineata dalla linda veste bianca dell’artigiano, ed evidenziato da un cappello che evoca i migliori chef.

Brevi squarci di una storia lunga, che racconta e documenta il ‘brio’ di un popolo, frizzante e creativo, che ha sempre saputo reinventarsi, pur nel rispetto delle sue tradizioni.

LA FEDE CHE CAMBIA LA STORIA: IL MESSAGGIO DI FATIMA CENT’ANNI DOPO

Tra le celebrazioni di quest’anno in onore della Madonna dell’Elemosina, ha assunto un ruolo significativo il ricordo dei primi cento anni delle apparizioni della Madonna a Fatima, una delle più importanti mariofanie che ha segnato le vicende storiche del secolo scorso e che ancora è capace di interpretare profeticamente il nostro tempo.

Promossa dall’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina”, la conferenza di venerdì 25 agosto è stata introdotta da Alessandro Scaccianoce, responsabile attività culturali dell’aggregazione mariana, e condotta dal prof. Nino Grasso, docente di mariologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Catania.

Perché la Madonna appare? Qual è il messaggio per noi contemporanei? Qual è il valore profetico del terzo segreto? Con queste domande Scaccianoce ha avviato la riflessione, sottolineando come Fatima sia la dimostrazione della capacità della fede di incidere nella storia. “La fede – ha detto Scaccianoce – non è solo un rapporto intimo e personale con Dio, ma è principio di rinnovamento della vita. La preghiera e la penitenza, tra le consegne più importanti delle rivelazioni di Fatima, possono davvero modificare il male della storia”.

Nel suo intervento il prof. Grasso ha ripercorso le tappe delle apparizioni, avvenute tra il 13 maggio e il 13 ottobre 1917, e ha spiegato in dettaglio il contenuto dei tre segreti, o meglio, delle tre parti dell’unico segreto rivelato dalla Vergine ai tre fanciulli portoghesi. Ha detto Grasso:
“La visione dell’inferno, la possibilità di una nuova e più grande guerra e la persecuzione della Chiesa, con la visione del Vescovo vestito di bianco che cade sotto colpi di armi da fuoco ai piedi di una grande croce, sono i tre grandi segreti. A queste visioni drammatiche però la Vergine accompagna sempre dei messaggi di speranza. L’inferno può essere evitato, come anche il male della guerra, attraverso la consacrazione al cuore immacolato di Maria, con quel che significa questo atto, come adesione e fiducia all’intera persona della Madre di Dio.
Anche Giovanni Paolo II, che vide applicata a sé la profezia del Vescovo colpito con armi da fuoco, riconobbe che fu la Vergine a deviare con la sua mano il proiettile che lo colpì nell’attentato in piazza San Pietro il 13 maggio 1981”.
Grasso ha anche ricordato l’interpretazione dei segreti offerta da Joseph Ratzinger nel 2000, come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e l’omelia che tenne a Fatima, come Papa, in cui precisò che il valore profetico delle rivelazioni non è affatto esaurito:
la persecuzione dei cristiani, infatti, e il sangue versato da vescovi, preti, religiosi e religiose, e da tanti cristiani laici è sotto gli occhi di tutti.
“La Madonna – ha concluso Grasso – appare perché ci è madre, per richiamarci specifici aspetti della rivelazione evangelica e per confermarci la verità del cielo e della risurrezione”.

A chiudere la serata è stato l’intervento del Vescovo Paolo Urso che ha presieduto la Celebrazione eucaristica, con la partecipazione degli ammalati e dei volontari delle associazioni che operano nel territorio.

“Noi siciliani – ha detto Mons. Urso – invochiamo Maria come ‘a Bedda Matri’ non solo per far riferimento alla sua bellezza fisica, ma per sottolineare la sua bellezza spirituale. Lei che è davvero vicinissima a noi è anche la donna vestita di cielo e di sole, luminosa perché brilla della grazia di Dio. Le rivelazioni di Fatima ci confermano che lei è sempre attenta alle nostre vicende umane e per noi desidera la felicità più grande: il paradiso. Un paradiso che inizia già su questa terra. Fatima ci conferma che non esiste un destino immutabile, ma al contrario che con il nostro contributo possiamo rendere questo nostro passaggio sulla terra migliore, per noi e per i nostri fratelli”.

Il prevosto don Pino Salerno ha ringraziato i presenti e ha esortato a vivere le celebrazioni con la ricchezza di queste splendide verità di fede, evidenziando l’importanza di queste riflessioni per il Santuario mariano di Biancavilla che venera Maria come Madre di Misericordia.

LA FESTA DELLA MADONNA DELL’ELEMOSINA OTTANT’ANNI FA

Documenti d’archivio del 1937 raccontano la città e la devozione.

di Giuseppe Santangelo

Due inediti documenti d’archivio privato datati “1937 – anno XV dell’era fascista”, raccontano attraverso un “programma” dattiloscritto, e un “registro rendiconto” redatto a penna, la festa d’agosto della Madonna dell’Elemosina, svelandone tutti i suoi particolari rituali e sociali di ottant’anni fa (1937-2017).

Il “programma” riporta momento per momento gli appuntamenti previsti per la giornata di domenica 29 agosto, ultima del mese del suddetto anno 1937. La festa iniziava all’alba. Ad aprire i festeggiamenti, come si evince dal documento, sono i colpi di cannone a salve, che a partire dalle ore 4,30 si protraggono fino all’ora successiva. Di seguito, alle 6 del mattino, la banda musicale di Trecastagni, inizia il giro per alcune vie della città, animando la mattinata della festa biancavillese, ancora accompagnata dallo sparo di mortaretti. Come vedremo, la banda ha un ruolo molto importante nella festa. Gli appuntamenti religiosi prevedono la celebrazione delle Sante Messe in Chiesa Madre, dalle 5 del mattino fino alle 13, con la cadenza di circa un’ora, presso la Cappella della Madonna dell’Elemosina. Otto messe in tutto, per dare la possibilità ai fedeli di accostarsi alla comunione e di trovare lo spazio più adatto per l’omaggio di fede all’amata Protettrice. Il programma precisa che si tratta di Sante Messe “Lette”, poi corretto a penna con il sinonimo “Piane”, e cioè in forma semplice e senza parti cantate, così come previsto dal rito romano antico, che veniva unicamente celebrato prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Alle 10,15 si tiene la Messa “Cantata”, quella cioè in cui tutte le parti dell’Ordinario sono cantate in forma solenne. A questa celebrazione ufficiale, oltre ai sacerdoti del Capitolo, sono presenti le autorità civiche. Alle 11, terminata la Messa, torna di scena la banda musicale, con una passeggiata per il corso principale della città. La festa riprende poi alle 19,30, come spiega l’inedito volantino, con l’ “Uscita trionfale” della “Sacra Effigie” della Vergine Santissima dell’Elemosina. A questo momento intervengono le autorità civili e militari e “tutti i Sodalizi”, ovvero i circoli culturali e ricreativi della città, come certamente le locali confraternite, avendo tale festa annoverata tra le presenze statutarie annuali. Il programma non specifica altro per un momento che doveva essere molto ben noto ai fedeli con il “Giro dei Santi” e l’accompagnamento musicale della banda e lo sparo dei fuochi. A fare la differenza, allora come oggi, la partecipazione popolare e il modo di agghindare, abbellire e illuminare le strade del corteo. Finita la processione, il programma prevede dalle ore 21,30 ben due ore di musica con la banda trecastagnese che esegue un “programma sceltissimo”. E così i musicisti potevano concludere una giornata lunga e impegnativa. Bisogna ricordare che, a quell’epoca, erano assai rare le occasioni per ascoltare musica per i cittadini (la tv non esisteva ancora, alcuni avevano delle radio a transistor, pochissimi potevano permettersi il lusso di un grammofono). Questo spiega l’importanza attribuita alla banda, come elemento fondamentale della festa stessa. Alle 23,45, a conclusione della giornata, era previsto un “piccolo trattenimento pirotecnico”.
Risulta interessante notare che per la realizzazione concreta di questo programma era interessata l’intera cittadinanza che partecipava attivamente offrendo il proprio contributo. Un apposito comitato, raccoglieva oblazioni prevalentemente in natura, come si evince dal dettagliato documento degli introiti e delle uscite “Incasso/Esito” in cui i fedeli offerenti devolvevano a favore della buona organizzazione e riuscita della festa “grano e grano tenero”, nelle unità di misura di “tumoli” e “mondelli”. Per la cronaca, il donatore più generoso della festa del ’37, risulta essere il Sig. Antonino Ricceri di Giuseppe, con i suoi 16 tumoli di grano. Altre offerte in denaro venivano raccolte durante la processione. Il bilancio della festa del ‘37, tra ricavato e spese, ha un preciso pareggio (impiegata la somma di Lire 2.282,70 cent, che corrisponderebbe a circa 3.500 euro). Alla voce “Esiti” possiamo notare l’impiego di somme per fuochi artificiali vari, addirittura per l’“entrata del mese”, oltre che per i giorni feriali (Novenario) e il giorno della festa con la caratteristica preparazione delle cosiddette “ruote mariuole”; ma soprattutto il pranzo per tre componenti della banda (Maestro, suo figlio e capobanda), che come abbiamo visto erano impegnati dalle 6 del mattino fino alla mezzanotte. Tra le altre voci di spesa: biglietti inneggiati alla Madonna (W Maria SS…), stoffa per confezionamento abitini votivi, lampade e varie. È interessante sottolineare questo metodo di finanziamento della festa affidato alla buona volontà dei cittadini, che esprimeva l’importanza della festa per la comunità, anche per i suoi risvolti sociali. In tempi di crisi finanziarie e di tagli delle risorse pubbliche, potrebbe essere ipotizzabile un ritorno a questo sistema?

A distanza di ottant’anni, la festa della Madonna dell’Elemosina di fine agosto resta un appuntamento significativo per la comunità di Biancavilla. La nostra fede di oggi possa alimentare l’entusiasmo e la buona volontà di chi verrà dopo di noi, e di chi, magari tra ottant’anni, si troverà a raccontare la nostra devozione e la nostra voglia di far festa con Maria, madre di Dio e madre di ogni credente.

UN’AQUILA BICIPITE NELLA BASILICA DI BIANCAVILLA.

Simbolo di una Chiesa che abbraccia l’Oriente e l’Occidente.

Redazione SME

Aquila bicipite rivenuta ed esposta nella basilica biancavillese.

Un’aquila bicipite coronata, un prezioso dipinto a tempera del sec. XV, è stato portato alla luce (vedi foto inedita) dagli scorsi interventi di restauro che hanno interessato la statua lignea rinvenuta all’interno di quella secentesca di San Biagio vescovo e martire.

Struttura perimetrale muraria della Basilica con l’aquila bicefala.

Il dipinto, prelevato (con una tecnica simile a quella dello “strappo” degli affreschi) dallo schienale del seggio del santo “ritrovato”, è stato sapientemente ricostruito in laboratorio e incastonato nella grande lesena della parete sinistra della Basilica di Biancavilla, che da oggi è possibile ammirare nella struttura muraria perimetrale parzialmente messa a nudo e formata da grossi blocchi di pietra lavica.

Emblema dell’Eparchia Greco-Cattolica di Piana degli Albanesi di Sicilia.

L’aquila a due teste, adottata come stemma imperiale per la prima volta dall’imperatore Costantino I, detto il Grande, fu il simbolo dell’Impero Romano fino all’ultima dinastia di imperatori bizantini: quella dei Paleologi. Oggi la Chiesa ortodossa greca usa l’aquila bicipite come suo segno identificativo, in richiamo all’eredità dei bizantini.

G. Castriora “Scanderbeg” con bandiera albanese. Icona sec. XIX.

A questa tradizione si ispira anche l’Eparchia greco-cattolica di Piana degli Albanesi di Sicilia. Nei secoli, infatti, i re di Serbia, i principi di Montenegro, e l’eroe albanese della resistenza contro i turchi ottomani, Giorgio Castriota “Scanderbeg”, adottò l’aquila bicipite come proprio emblema.

Francobollo albanese con aquila bicefala e G. C. “Scanderbeg”.

Secondo diverse fonti, una testa rappresenta l’Occidente e l’altra l’Oriente, ovvero le due metà dell’Impero bizantino, una in Europa e una in Asia. La scoperta di tale dipinto nella Basilica Santuario di Biancavilla testimonia ancora di più l’origine albanese della comunità etnea che riconduce la sua genesi allo stanziamento della comunità greco-albanese avvenuto intorno alla fine del 1400.

Attuale bandiera della Repubblica d’Albania. 

ECCO L’AUTORE DELL’ANNUNZIATA DELLA “PACI”

Non si tratta di Manzo, ma di un altro artista, leccese, che operò negli stessi anni e diede vita ad una Ditta che realizzava opere di cartapesta, vendute in tutta Europa. 

di Alessandro Scaccianoce

La Veronica di Gozo (Malta) e la Vergine Annunziata di Biancavilla (a confronto).

Lo studio e la curiosità suscitati dal ritrovamento di inediti documenti d’archivio, ad opera di Giuseppe Marchese, ha dato vita ad alcune ricerche che consentono di identificare l’autore della statua della Madonna che il mattino di Pasqua a Biancavilla fa coppia con il simulacro del Cristo Risorto nell’incontro festoso della Pace, cuore e culmine delle tradizionali manifestazioni “pasqualine” del centro etneo.

Il carteggio portato alla luce da Giuseppe Marchese fa riferimento alla ditta Arturo Troso di Lecce, ma non dice nulla circa l’autore del simulacro. Dalle carte emerge chiaramente che fu il canonico Antonino Distefano a curare la commissione dei lavori e ad intrattenere i rapporti con la ditta Troso, che commerciava le opere in cartapesta. Altrettanto interessante è leggere la delibera unanime del Consiglio Comunale per il finanziamento dei lavori, con buona “pace” dei sostenitori del laicismo-indifferentismo oggi a-la-page.

In un primo momento, lo stesso Marchese, sulla base di alcune congetture ragionate e per il fatto che Manzo era uno degli artisti che commerciava le sue opere tramite la ditta Troso, ha ritenuto di poter identificare l’autore nell’artista Giuseppe Manzo (1849-1942). Altri, seguendo le sue orme, hanno ripetuto che il fino ad oggi misterioso autore della Madonna Annunziata è Giuseppe Manzo.

Tuttavia, la nostra Redazione, avendo preso contatti con maestri cartapestai leccesi contemporanei, continuatori di quella famosa scuola di artisti, che dal 1700 onora il Salento, è in grado di affermare con esattezza il nome dell’autore della scultura biancavillese.

A rivelarlo è Antonio Papa, scultore di statue sacre di cartapesta di fama internazionale, già ospite a Biancavilla per manifestazioni legate alla Madonna dell’Elemosina, considerato il discepolo e l’erede di Giuseppe Manzo. Egli esclude categoricamente che l’Annunziata di Biancavilla possa attribuirsi al Manzo: “sarebbe come attribuire il giudizio universale della Cappella Sistina a Raffaello” ha commentato. I tratti del simulacro nostro, infatti, appartengono inconfondibilmente ad un altro artista leccese, che operò negli stessi anni di Manzo.

Si tratta di Luigi Guacci, che operò singolarmente e come caposcuola di un’organizzazione industriale e commerciale pianificata che gli permise di produrre statue eccellenti a prezzi concorrenziali e di apparire su prestigiose riviste come “L’Osservatore Romano” con inserzioni pubblicitarie che promuovevano la “Ditta Luigi Guacci”. L’attività del Guacci raggiunse l’apice dell’industrializzazione intorno al 1930.

Proprio per questo non è possibile affermare, in questa sede, se la Madonna sia stata realizzata direttamente da Guacci o da qualche allievo della sua scuola, che utilizzò calchi del maestro. Ma certamente risulta evidente e inconfondibile il tratto caratteristico del Guacci, che si ritrova in altre sue opere, di certa attribuzione, sparse variamente, come dimostra anche l’accurata ricerca fotografica e documentaria condotta da Giuseppe Santangelo (di seguito in parte riportata).

Tra le foto proposte, sorprende in modo particolare, la somiglianza del volto dell’Annunziata con quello della Santa Veronica che si trova a Gozo (Malta).

Se quanto detto finora non bastasse, si consideri che nel 1922 Giuseppe Manzo aveva 73 anni (era nato nel 1849), ed è difficile ipotizzare che continuasse a lavorare o, perlomeno, essendo già ampiamente affermato come artista, non si preoccupasse di firmare le sue opere.

Nel 1922 Luigi Guacci, nato nel 1871, aveva 51 anni.

Chi era Luigi Guacci?

Di seguito un breve profilo biografico, ampiamente riscontrabile su Internet.

Nacque a Lecce l’8 gennaio 1871. Il padre era muratore, la madre casalinga. Frequentò la scuola comunale di disegno, ove studiò con Vincenzo Conte e Raffaele Maccagnani e apprese l’arte dell’intaglio con Giuseppe De Cupertinis. Nel 1888 vinse una borsa di studio bandita dall’amministrazione provinciale di Lecce e andò a Roma dove frequentò l’Accademia di belle arti. Agli anni romani del G. scultore risalgono il gruppo di Saffo e Faone, esposto presso la Galleria dell’Accademia di S. Luca a Roma, e un Adone morente in marmo. Nonostante il successo ottenuto, intorno al 1898-99 tornò a Lecce, ove diede vita a un grande laboratorio della cartapesta, riuscendo a unificare molte botteghe artigiane locali in una organizzazione cooperativa con la stessa direzione artistica.

Nel grande stabilimento, battezzato Istituto di arti plastiche, lavoravano ottanta cartapestai, discepoli delle migliori botteghe del tempo (L’Ordine cattolico). Il lavoro era articolato in settori di alta specializzazione: vi erano i decoratori, dediti esclusivamente alla coloritura, i modellatori di calchi, gli artigiani specialisti nel panneggio o nei soli volti delle statue. Le forme più importanti erano ricavate da modelli del Guacci, che provvedeva anche al controllo delle rifiniture finali. Lo stabilimento riceveva numerosissime commesse da enti ecclesiastici pugliesi, da altre regioni italiane e dall’estero. A Milano si trovano un Ecce Homo, una Madonna Addolorata, un S. Antonio; a Lione, un S. Espedito; a Salerno, un’Apparizione del Cuore di Gesù alla beata Margherita Alacoque (cfr. Corriere meridionale [Lecce], 1902, n. 38). La produzione mantenne sempre un alto livello qualitativo caratterizzandosi per intensità di espressione e armonia compositiva. Alla morte del Guacci l’azienda fu ereditata dal figlio Gaetano e poco dopo chiusa definitivamente.

Veronica, particolare. Gozo, Malta

Luigi Guacci è noto anche per aver introdotto una novità nell’artigianato leccese: le bambole di cartapesta. Di ottima fattura, infrangibili, con occhi di cristallo, furono premiate in diverse esposizioni: a Venezia nel 1917 (Foscarini, p. 132), a Tripoli nel 1927 con medaglia d’oro e a Milano nel 1929 con il primo premio al Concorso del giocattolo italiano (Contenti, p. 354). Tale dato è ancora più rilevante tenendo presente che le bambole in cartapesta in precedenza venivano importate dall’estero, mentre in seguito quelle del Guacci vennero richieste e diffuse in diversi paesi europei. L’artista fu insignito dell’onorificenza di cavaliere al merito del lavoro.

Egli continuò parallelamente la sua attività di scultore che raggiunse il suo apice tra il 1890 e il 1928. Fra i monumenti di rilievo si citano il grande busto in marmo di S. Carlo Borromeo (1896) nell’atrio del palazzo vescovile di Oria; la statua in argento di S. Eraclio a Providence, Rhode Island; il busto in bronzo di Giosuè Carducci a Gallarate e quello in marmo, inaugurato il 19 giugno 1908 a

Madonna Annunziata, particolare. Biancavilla, Chiesa dell’Annunziata

Lecce nella piazzetta degli Studi; la Venere di Milo (1891) donata all’amministrazione provinciale di Lecce; il busto del Senatore Achille Tamborino (1896); il Crocifisso in legno della collegiata di Campi Salentina (1913); il busto in marmo diFrancesco Rubichi, inaugurato il 16 maggio 1920 nel tribunale di Lecce; i monumenti ai caduti di Mesagne (1921) e di Latiano, inaugurato nel 1928; la monumentale lapide marmorea con figura in altorilievo di Monsignor Luigi M. Zolavescovo di Lecce, nella cattedrale della città; i busti in gesso di Camillo Cavour e di Sigismondo Castromediano e il medaglione a Giacomo Leopardi, nel Museo provinciale di Lecce; la Madonna di Montevergine (in travertino, alta circa 4 metri) nel santuario di Montevergine presso Otranto. In Uruguay, a Villa Colón fu inaugurato nel novembre 1915 nella piazza principale il monumento in marmo a Monsignor L. Lasagna.

Partecipò anche a diverse esposizioni e mostre d’arte: nel 1893, all’Esposizione nazionale di Roma; nel 1895-96, alla LXVI Esposizione nazionale di belle arti della Società amatori e cultori di belle arti di Roma; nel 1923, alla Fiera di Milano (in cui fu presente con un’opera in cartapesta); nel 1925, alla III Biennale d’arte moderna in Gallipoli; nel 1926, alla I Mostra d’artisti pugliesi a Roma (palazzo Salviati), alla Mostra regionale d’arte di Lecce e alla II Biennale leccese; nel 1930, alla Mostra regionale di pittura e scultura del Sindacato pugliese delle belle arti di Bari (Foscarini, p. 133).

Morì a Lecce il 12 giugno 1934.

S. Martino di Tours. Maglie (Lecce)

Bibliografia: Necr. in L’Ordine cattolico, giugno 1934, p. 3; A. Franco, I nostri artisti. L. G., in Numero unico per le feste inaugurali nel giugno 1898, Lecce s.d., p. 129; E. Giannelli, Artisti napoletani viventi, Napoli 1916, pp. 601 s.; A. Contenti, Nel regno della cartapesta del barocco, in B. Tragni, Artigiani di Puglia, Bari 1986, pp. 344-354; P. Sorrenti, Pittori, scultori, architetti pugliesi, Bari 1990, pp. 247 s.; A. Foscarini, Arte ed artisti di Terra d’Otranto, a cura di P.A. Vetrugno, Lecce 2000, pp. 132 s.; A. Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento, I, Torino 1994.

La “Pace” nel primo ‘900. Antecedente all’avvento delle nuove statue in cartapesta.

La simpatica vicenda che è venuta fuori in questi giorni, sul tema dell’identificazione dell’autore dell’Annunziata di Biancavilla, non è casuale, ma è frutto probabilmente della scarsa considerazione che la scultura in cartapesta ha avuto in passato. Celebrati nel Salento, gli scultori della cartapesta sono stati sempre giudicati con sufficienza dalla critica, poiché si trattava di un materiale povero e di scarso prestigio.

Eppure, la storia ha dimostrato che, nonostante la povertà del materiale utilizzato, veri e propri artisti hanno realizzato capolavori di altissimo livello, di grande plasticità e bellezza, capaci di parlare ancora oggi al cuore dell’osservatore.

Ringraziamo ancora una volta Giuseppe Marchese che con la sua curiosità intelligente ha consentito di sollevare un piccolo velo su una pagina delle nostre tradizioni locali. Siamo certi che il suo studio non si ferma qui, ma ben presto avremo modo di leggere impensabili notizie su altri aspetti della suggestiva e fascinosa “biancavillota Paci”.

 

“A PACI” IERI E OGGI

Un giovane appassionato di storia locale è venuto in possesso di alcuni documenti inediti sulla tradizionale manifestazione religiosa che si svolge a Biancavilla il mattino del giorno di Pasqua.
Un piccolo estratto delle sue ricerche.


di Giuseppe Marchese

A Biancavilla (CT), il giorno più caratteristico dei festeggiamenti pasquali cade proprio il giorno di Pasqua, con la rappresentazione denominata “A Paci“, cioè l’incontro festoso tra il Cristo risorto, la Madonna, e l’Arcangelo Gabriele “che balla”. L’incontro ha luogo nelle piazze Collegiata ed Annunziata. Anticamente ”’A Paci” era caratterizzata dal bacio della Madonna sul costato del Figlio, anziché sulle labbra del Risorto, come si vede oggi. L’antica statua lignea dell’ Arcangelo Gabriele fa parte dell’antico gruppo statuario settecentesco rappresentante l’Annunciazione, mentre le altre due, il Cristo Risorto e la Madre Annunziata, furono sostituite nel 1922 perché reputate non in condizioni idonee, come scriveva il decano mons. Antonino Distefano al comune di Biancavilla.

L’attuale statua del Cristo Risorto è opera dell’artista biancavillese Giovambattista SANGIORGIO , mentre la statua della Madonna Annunziata, opera dell’artista leccese Giuseppe MANZO proviene dalla ditta leccese di Arte Sacra di Arturo Troso, non più esistente dalla morte di Giuseppe Manzo.

Quest’ultima notizia ho potuto apprenderla consultando un antico documento conservato presso l’archivio del Comune di Biancavilla.

Finora, infatti, l’autore della statua della Madonna era sconosciuto.

In questa foto allegata è possibile vedere una piccola statua della Madonna, opera di MANZO, conservata nel museo leccese, in cui risultano evidenti i lineamenti dell’Annunziata biancavillese.

Dalle carte emerge proprio la scelta delle allora autorità comunali di conferire il mandato per la realizzazione del simulacro della Madonna alla ditta leccese.

Questo mio piccolo ritrovamento fa luce su alcuni aspetti della nostra storia locale e ci permette di ricostruire l’entusiasmo che sempre ha caratterizzato la comunità civile e religiosa insieme attorno alle celebrazioni pasquali.

Le statue vecchie, raffiguravano la Madonna Annunziata inginocchiata con le mani giunte, mentre il Cristo era nudo, ricoperto solo di un perizoma.

Gli interventi degli anni venti del secolo scorso hanno alterato la composizione del gruppo dell’Annunziata preoccupati piuttosto di creare maggiore armonia tra il simulacro del Risorto e della Madonna, entrambi in cartapesta.

L’arcangelo, invece, resta oggi isolato nel suo stile settecentesco, con i suoi vivaci colori siciliani.

Questa scoperta, se fa luce su alcuni aspetti, ci pone ulteriori interrogativi, sul ruolo del biancavillese Sangiorgio e sul perché, l’autore del Risorto non abbia realizzato anche il simulacro della Madonna.

Tutto attesta, in ogni caso, il contributo che maestranze e artigiani locali hanno dato in passato alla crescita della comunità locale.

Rimandando ulteriori dettagli ad un futuro intervento scientifico, in questo contesto voglio ricordare inoltre che, in alcuni anni passati, risulta documentata il giorno della Resurrezione la declamazione in piazza Collegiata delle poesie sulla Resurrezione scritte dal poeta Cavallaro, oggi purtroppo perdute.