Sabato la presentazione del libro di Carmelo Mazzaglia: "Il Dono più grande"

“Vivrò con la convinzione di essere nato per gli altri, ricambiando così la natura per avermi generato: quale dono più grande, infatti, avrebbe potuto farmi? Ha donato me solo a tutti gli altri, e tutti gli altri a me solo”.

(Lucio Anneo Seneca, La Felicità)

Redazione SME


Sarà presentato sabato prossimo, alle 11, nell’aula magna del Liceo delle Scienze Umane di Biancavilla,  il libro “Il dono più grande” di Carmelo Mazzaglia
. Il testo racconta l’esperienza umana di Carmelo, che da anni convive con una malattia che, consumando i suoi muscoli, lo costringe a vivere in simbiosi con la sua sedia a rotelle. Ma questo è solo il pretesto che ha dato vita ad un racconto vibrante della sua storia, del suo modo di vedere la vita, gli uomini, il dolore e la malattia. Pagine intensissime, dense di vita vera, vissuta fino all’ultima goccia in sincerità e verità. E soprattutto la grandiosa affermazione che si può amare la vita anche nella malattia. Pagine intrise di gioia cristinana e di speranza. Si tratta di un miracolo? Più semplicemente è il frutto della sua fede, che si è nutrita giorno dopo giorno di Eucaristia e di ascolto della Parola del Vangelo, di meditazioni e riflessioni personali. Oggi Carmelo ha 19 anni, è catechista, animatore di gruppi giovanili e ogni domenica suona l’organo alla Messa dei fanciull nella chiesa parrocchiale dell’Annunziata.  Inoltre, promuove alcuni gruppi su Facebook in cui condivide quotidianamente le sue riflessioni: “Parole di vita” e “Amici Annunziata”.

I libro è stato scritto nell’ultimo anno di frequentazione del Liceo psico-pedagogico ed è corredato da una prefazione di P. Giovanni Zappalà e una presentazione di Alessandro Scaccianoce.

“Il dono più grande” viene ora pubblicato con il contributo del Comune di Biancavilla. Alla presentazione interverranno:  il Sindaco di Biancavilla Giuseppe Glorioso, il preside Vittorio Galvani, la Prof.ssa Piera D’Agate, P. Giovanni Zappalà e, ovviamente, l’autore, Carmelo Mazzaglia, che tornando in quella che fu la sua scuola parlerà ai suoi ex compagni per dire che credere in Gesù è bello e può cambiare davvero la vita. Anche nella malattia. Per fare questo sarà accompagnato al pianoforte dal fratello Alfio Mazzaglia.

Domenica 27 maggio, poi, il libro verrà presentato presso la chiesa dell’Annunziata.

Ai presenti verrà distribuita copia omaggio del testo. Chi fosse interessato a ricevere copia del libro può scrivere alla nostra Redazione che provvederà a metterlo in contatto con l’autore.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda ai nostri precedenti post:

http://santamariaelemosina.wordpress.com/2012/02/09/carmelo-mazzaglia-accettare-la-sofferenza-come-un-dono-di-dio/

http://santamariaelemosina.wordpress.com/2012/02/09/lamore-guarisce-riflessioni-sullesperienza-di-carmelo-mazaglia/

http://santamariaelemosina.wordpress.com/2012/02/09/carmelo-mazzaglia-la-malattia-copme-dono/

Auguri al Prevosto Salerno per i suoi 50 anni!

Associazione “Maria SS. dell’Elemosina”
Biancavilla

Il Presidente,
il Consiglio direttivo,
i Soci
e la Redazione del Sito

formulano al carissimo
Prev. Agrippino Salerno,
ASSISTENTE SPIRITUALE DELL’ASSOCIAZIONE

 l’augurio più fervido per il raggiungimento

 dei suoi primi 50 anni di età,

 mentre invocano dal Padre celeste prosperità di vita,

 gioia ed efficacia pastorale.

 ad multos annos!

Don Pino è nato in Australia, a Williamstown, l’8 maggio 1962 da genitori italiani.  Il 14 settembre 1989 ha ricevuto l’Ordinazione presbiterale dall’Arcivescovo di Catania  Mons. Luigi Bommarito. Dal 1° novembre 2007 è Prevosto-Parroco della Basilica Collegiata Santuario “S. Maria dell’Elemosina” di Biancavilla, assumendo contestualmente il ruolo di Assistente Spirituale dell’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” che zela il culto del Santuario.

In questo giorno, tanto caro alla devozione alla Madre di Dio, invocata come Regina del Rosario di Pompei, affidiamo il suo lavoro e la sua persona alla Madonna, di cui è tanto devoto, perché gli dia la forza e la luce necessaria per lo svolgimento del suo ministero.

"Maggio mariano"

Presidenza SME

A tutti i soci dell’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina”

Carissimi consociati,
il mese di maggio appena inaugurato, per noi cattolici è tradizionalmente caratterizzato dalla devozione popolare dalla Beata Vergine Maria. Come figli e devoti della Vergine SS.ma ci vedrà impegnati a testimoniare la nostra fede alla luce dell’esempio evangelico della Madre del Signore che ci ricorda di compiere quotidianamente la volontà del Padre amando e servendo Dio e i fratelli con prontezza e coerenza di vita; pertanto come associati vivremo i seguenti momenti personali e comunitari:

Individualmente:
– Rinsalderemo i legami col Padre celeste attraverso la partecipazione all’Eucarestia quotidiana, nelle nostre comunità cristiane, quando sarà possibile (in Basilica SS. Messe ore 8,30, 19,30), la recita del Santo Rosario e ad offrire per amore del Signore preghiere per i fratelli lontani dalla grazia di Dio,
– Pregheremo per l’intenzione del Papa per il mese di Maggio 2012:
“Perché siano promosse nella società iniziative che difendono e rafforzino il ruolo della famiglia.”
Pregheremo perché la nostra Associazione, nel 10° anniversario della sua fondazione, sia sempre più nella Chiesa e nella società immagine del Cristo Risorto che continua a donare ai suoi figli grazia e misericordia.

Comunitariamente:
–  Parteciperemo alla S. Messa del primo sabato di mese, 5 maggio,
– Parteciperemo all’Incontro formativo del primo sabato avente per tema: “Gesù Cristo discese agli inferi, risuscitò da morte il terzo giorno” (dal Catechismo della Chiesa Cattolica). In questa stessa occasione sarà presentata ai Soci la “Rosa Mystica”, il prezioso gioiello che l’Associazione donerà alla Madonna nel 10° della sua fondazione,
– Prenderemo parte alle attività di apostolato unitamente alla Comunità parrocchiale della Matrice per la “Peregrinatio Mariae” nei quartieri e nelle famiglie.
– Vivremo il pellegrinaggio mariano associativo (Domenica 13) al Santuario della Madonna dei Miracoli di Mussomeli (CL),
– Saremo presenti in Basilica Santuario alla conclusione del mese con la partecipazione all’Eucarestia e alla breve processione dell’Icona della Vergine dell’Elemosina nelle piazze Roma e Collegiata.

Il Mese di Maggio: primavera dell'anima

Redazione SME

“Ecco tornato il mese della nostra mamma del cielo” cosi’ scrisse una volta San Pio da Pietrelcina all’inizio del mese di maggio.
Da secoli il mese di maggio è dedicato per eccellenza alla devozione a Maria Santissima. E’ il mese piu’ bello dell’anno per lo splendore primaverile che lo riveste, e per questo consacrato a Colei che la Chiesa canta e loda come la “Tota pulchra” (Tutta bella).
E’ il mese in cui sbocciano fraganti le rose nel tepore della ridente natura, per questo viene consacrato a colei che la Chiesa invoca come “Rosa mystica” (Rosa mistica).

In passato, in molte città e paesini era diffusa l’abitudine dei bambini di portare fiori per l’altare della Madonna: “lumi, canti, preghiere e fioretti davano gioconda espressione alla devozione verso Maria Santissima, che ci appariva allora come la Regina della primavera, primavera della natura e primavera dell’anima” (Paolo VI).




Insieme con i fiori veri possiamo offrire ogni giorno alla Madonna anche i “fioretti”: regali spirituali, piccoli sacrifici o gesti di carità, che non solo Le dicono il nostro filiale affetto, ma anche il nostro desiderio di essere più intimamente legati a Lei, più che ad ogni altra cosa.

Ecco che cosa sono i “fioretti”: regali piccoli che vanno dritti al cuore della Madonna  e la fanno sorridere di gioia mentre ascolta e benedice i suoi devoti figli. Sono piccole cose, piccole offerte, ma che se fatte bene, ci ottengono molte grazie.




Anche per questo Maggio è chiamato anche il mese delle grazie e delle glorie di Maria, perché in questo mese si ricevono copiose grazie, celebrando le glorie della Madre e Regina universale. Anzi, soprattutto per i frutti spirituali che produce, il mese di maggio canta le più alte glorie di Maria corredentrice e mediatrice di ogni grazie.
Sono grazie di ogni sorta che Ella dona amorosamente a chi celebra questo mese. Grazie di progresso spirituale, di rinnovamento di vita, di conversione, grazie temporali per la salute, per il lavoro, per gli studi, per la sistemazione per la famiglia.




Quante grazie in questo mese benedetto!Tanto più che esso si chiude con la festa della Madonna delle Grazie (31 maggio, festa della Visitazione della Vergine Maria alla cugina S. Elisabetta) che infonde in noi la certezza di essere accompagnati dalla presenza amorevole materna e premusora della Madre del cielo. Chi di noi non ha bisogno di grazie?

San Massimiliano M. Kolbe, per aiutare il fratello travagliato da pericolose angustie spirituali e materiali non trovò rimedio più efficace che raccomandargli con premura di fare il Mese di Maggio, e gli mandò libretti utili a fargli seguire il mese mariano giorno per giorno.

Fare il mese di Maggio, quindi, è accumulare grazie, risolvere problemi o situazioni dolorose, ottenere il patrocinio della Divina Madre.
Ricorriamo alla Madonna ogni giorno di questo mese con la recita devota del Santo Rosario.




A Biancavilla  diverse tradizioni vanno a comporre un complesso mosaico devozionale che attraversa le chiese, le case e i cortili della città. Mentre, infatti, vengono allestiti tradizionali altarini in onore della Vergine Maria, ci si riunisce in casa per recitare comunitariamente il Santo Rosario.

Le parrocchie organizzano la “Peregrinatio Mariae” recando in processione tra le case e le famiglie un’immagine della Madonna attorno alla quale il quartiere di turno di si mobilita per onorare la visita della Madre celeste. Nei cortili e nelle viuzze si montano piccoli dosselli, apparati di stoffe preziose, veri e propri altari fioriti. Ai piedi di Maria si radunano le famiglie, il vicinato e tutta la gente che è possibile invitare. Non di rado la Madonna va via dalla casa ospite in un piccolo corteo dopo l’offerta di dolci e bevande.

Il 31 Maggio, a conclusione del Mese mariano, per antica tradizione, in Chiesa Madre si svolge la processione della venerata icona della Madonna dell’Elemosina portata a spalla dalle donne, in un’atmosfera di grande ed intensa dvozione e preghiera. Ed è il preludio della Grande Festa Estiva che si celebra a Biancavilla l’ultima domenica di Agosto.

Incontro Mondiale delle Famiglie: a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012

Grandi preparativi per il VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano che si terrà dal 30 maggio al 3 giugno e che vedrà la straordinaria presenza del Santo Padre Benedetto XVI per tre giorni nel capoluogo lombardo. Per maggiori info sull’evento: www.family2012.com

Redazione SME

Intervista a mons. Paolo Mancini, segretario generale del Vicariato di Roma e responsabile della Pastorale Familiare.

Mons. Mancini, quanto è importante questo appuntamento di Milano per le Famiglie e la Chiesa?

Il centro di tutto sarà l’incontro con il Pontefice (che sarà presente dal 1° al 3 giugno, ndr). Ma ci saranno tante possibilità di approfondimento dei temi fondamentali riguardanti la famiglia. Questo crea, da parte nostra, una grande aspettativa, soprattutto di confronto e crescita con i rappresentanti della Pastorale Familiare di tutto il mondo. Avremo, infatti, occasione per ricevere spunti per impostare la nostra pastorale, che è da sempre un punto di riferimento, oltre che un grande desiderio del Santo Padre, il quale torna continuamente a parlare della famiglia come elemento essenziale della società e della Chiesa.

Certamente sarà un’occasione per approfondire alcuni argomenti fondamentali riguardanti la famiglia. Due, in particolare, sono stati scelti come slogan dell’incontro: il lavoro e la festa. Due temi che sembrano quasi una dicotomia…

È vero, apparentemente il lavoro e la festa risultano essere una contraddizione. Questo è un problema della nostra cultura: prima si dedicava molto più tempo a stare insieme con la propria famiglia, a vivere, cioè, un tempo separato dal lavoro. Adesso, con questi orari flessibili non c’è più un vero distacco tra lavoro e “festa”, intesa come il riposo, come lo stare insieme ai propri familiari e questo provoca anche una perdita della propria identità personale. Si può dire che non riusciamo a vivere bene il lavoro, forse perché non sappiamo vivere la festa.

Qual è il messaggio che si vuole dare puntando l’attenzione sul lavoro e sulla festa?

A mio avviso la scelta di questi due temi vuole far in modo che la famiglia recuperi il “senso del tempo”. La famiglia oggi non sa più gestire il lavoro, perché non ha orari, né la festa. Spesso oggi la famiglia non riesce a trovare neanche il momento di gioire nello stare insieme.

Quindi come vivere il tempo? Innanzitutto garantendosi la possibilità di fermarsi per vivere e godersi la propria famiglia, valorizzando il momento dello stare insieme come occasione di gioia, senza naturalmente tralasciare o sottovalutare i diversi impegni.

E le persone hanno questo desiderio di vivere insieme, con la propria famiglia e con le altre, un attimo di felicità, di comunione, di festa attraverso questo tipo di incontri: lo dimostrano le migliaia di persone che sono sempre accorse.

Il cardinale Scola, infatti, ha recentemente affermato che, nonostante la crisi e gli attacchi, “si ha ancora voglia di famiglia”…

È assolutamente vero! Io questo l’ho vissuto molto quando, da parroco, preparavo le coppie al matrimonio e toccavo con mano il loro desiderio di stabilità, di amore, affetto. Erano coppie che venivano da cammini differenti alle spalle, alcuni anche di lontananza dalla Chiesa. Dentro al loro cuore, però, c’era la volontà di instaurare qualcosa che fosse un punto di riferimento, di stabilire relazioni durature. Purtroppo si parla molto di crisi della famiglia, di separazione e divorzio, e si mette a tacere la buona notizia di tante persone che vogliono fare sul serio la loro scelta di vita.

E il VII Incontro Mondiale può essere, quindi, una spinta in questa direzione?

Certo, soprattutto perché vuole sottolineare come la Chiesa è attenta alla famiglia e a tutte le questioni che la riguardano, con particolare attenzione al ruolo che essa riveste nella società e nella Chiesa stessa.

Non dimentichiamo, infatti, che i primi catechisti sono i genitori. Fino a 50-60 anni fa, quando ancora non era stato organizzato un catechismo per i sacramenti, le nuove generazioni si formavano proprio attraverso la preghiera vissuta in famiglia. È un fattore importante questo, che purtroppo ora si è un po’ perduto, perché sembra che, proprio per le innumerevoli attività che vivono, le famiglie demandino ad altri la formazione della fede: questo non è possibile!

Questo evento, allora, può aiutare a capire come sia necessario far crescere all’interno della famiglia stessa dei testimoni che possano comunicare, con la vita e le parole, la bellezza di essere cristiani.

Qui l’inno ufficiale delle Giornate “La Tua famiglia Ti rende grazie”:

http://www.youtube.com/watch?v=Dwo3rZzCMBM

Il Card. Scola: l’Italia ha voglia di famiglia

Di seguito un’intervista al Card. Angelo Scola, Arcivescovo di Milano. Il cristiano deve promuovere il valore e la bellezza della famiglia, contro le tentazioni relativiste. E occorre recuperare il tempo perchè la famiglia si ritrovi insieme. Uno sguardo lucido e profondo, quello del Cardinale, sui temi caldi della nostra attualità: dal posto fisso, alle unioni di fatto, all’apertura domenicale dei negozi. Da leggere e rileggere!

«C’è ancora tanta voglia di famiglia. Niente è perduto, siamo nel tempo delle grandi scelte». Spiazza ancora una volta il cardinale Angelo Scola! E lo fa, stavolta, sui temi a lui cari del matrimonio e dell’unione familiare. All’arcivescovo di Milano, che è anche membro del Comitato di presidenza del Pontificio consiglio per la famiglia e già preside del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per lo studio su matrimonio e famiglia, nonché autore di vari saggi sul tema, la categoria di “crisi”, in questo caso, non piace, perché non spiega tutto, anzi talvolta può perfino forviare. Così mette la sordina alle tante Cassandre che hanno già cantato il De profundis per la famiglia, ricordando che già alcuni decenni fa c’era chi teorizzava, con la “morte del padre”, la fine di quest’istituzione ritenuta ormai fuori moda.

Eminenza, lei ama dire che «non è mai vero che tutto va male». Ma sostenere che, nonostante le difficoltà presenti, ci sia “voglia di famiglia” potrebbe, a prima vista, sembrare temerario. Non le pare?
«Non sono io a dirlo, lo dicono i numeri della quarta indagine European Values Studies sui valori in cui credono gli europei che evidenzia che la famiglia è ritenuta importantissima dall’84 per cento degli europei e dal 91 per cento degli italiani. In 46 Paesi su 47 viene messa al primo posto, precedendo aspetti centrali del vivere sociale come il lavoro, le relazioni amicali, la religione e la politica. A partire da questi dati, non ci è consentito parlare in termini assoluti di crisi della famiglia; dobbiamo piuttosto chiederci da dove deriva il travaglio che la sta attraversando».

Che ipotesi si possono fare?
«Mi pare che uno dei fattori più determinanti di questo disagio sia il modo in cui viene pensata e praticata la relazione di coppia, il rapporto uomo-donna. Molto è cambiato in quest’ambito negli ultimi decenni. Basti pensare alla cosiddetta “rivoluzione sessuale”, alla prassi della contraccezione e al cammino che ha portato all’emancipazione femminile. Persino la “differenza sessuale”, che è una dimensione intrinseca all’io, è stata messa in discussione. Come sempre capita quando si verificano fenomeni di forte e rapida mutazione, l’assestamento crea disagi, chiede tempo. Solo oggi, in certi ambiti del femminismo, si incomincia ad affrontare la questione in termini innovativi, proprio a partire dall’insuperabilità della “differenza sessuale”. Questo ripensamento potrebbe essere il punto di partenza per affrontare le contraddizioni e le “anomalie” che oggi si sono create nel rapporto uomo-donna e che, a mio avviso, stanno anche alla base del travaglio della famiglia. Intendiamoci: sto parlando di difficoltà che occuperanno i prossimi decenni, legate al grande smarrimento antropologico di questo inizio di millennio».

Non si tratta allora di una crisi irreversibile, ma di un disagio forte che preannuncia qualcosa di nuovo. Per dirla con il filosofo Massimo Cacciari, «si vive in una società che potrà dar vita ad aperture imprevedibili, a opportunità positive, o a catastrofi»?
«L’uomo del terzo millennio è esposto a una sorta di scommessa. Pervaso e travolto dal moltiplicarsi di fenomeni inediti come la globalizzazione, la civiltà della Rete, il progresso delle neuroscienze e delle biotecnologie, il meticciato delle culture, è chiamato a scegliere, e non può non farlo, che cosa vuole essere: un io in relazione, oppure, come sostiene qualcuno, il puro esperimento di sé stesso? La partita decisiva si gioca qui».

Da sempre la Chiesa ha proposto la “convenienza” e la bellezza del matrimonio cristiano, ma mai come oggi l’istituzione matrimonio è in crisi. Lo dicono i dati su separazioni e divorzi. Che fare, allora?
«Dovremmo essere tutti invitati e nobilmente provocati a riconoscere un fatto: la famiglia è “un universale sociale e culturale”. Un autorevolissimo antropologo, certamente non sospetto di cattolicesimo, come Claude Lévi-Strauss affermava che “un’unione socialmente approvata tra un uomo e una donna e i loro figli è un fenomeno universale presente in ogni e qualunque tipo di società”. A questo “universale” si addice propriamente il nome di famiglia: altre forme di convivenza potranno ricevere altri nomi, ma non si possono chiamare famiglia. Come in modo insuperabile ci ha ricordato la Redemptor hominis, il cristianesimo è il giocarsi di Dio con la nostra storia per svelare pienamente l’uomo all’uomo. Allora il sacramento del matrimonio è la realizzazione piena e “con-veniente” di questo “universale sociale”, per utilizzare l’azzeccata definizione dell’antropologo francese. In una società plurale come la nostra, i cristiani sono chiamati a documentare questa convenienza con la loro testimonianza compiuta. Ciò implica, tra l’altro, una capacità di abbracciare le famiglie ferite per condividere la loro prova».

Nel frattempo la politica detta i cambiamenti e le nuove regole anche rispetto al matrimonio e al suo eventuale scioglimento. Il nostro Parlamento, proprio in questi giorni, sta discutendo sul cosiddetto “divorzio breve”, che il Governo Zapatero, in Spagna, ha già approvato nel 2005…
«Mi sembra un passo decisamente sbagliato. “È dalla pazienza che si misura l’amore”, dice il poeta Milosz. Normalmente un matrimonio domanda ai coniugi molto coinvolgimento reciproco e tempo di preparazione. Quando va in crisi, pensare di eliminare il problema sbarazzandosene il prima possibile è, oltre che un’illusione, una mancanza di responsabilità verso sé stessi e, spesso, verso i figli. Seppellire frettolosamente una relazione, per quanto dolorosa possa essere, non è una buona premessa per costruire il futuro. Su questa delicatissima materia voglio aggiungere una considerazione: ogni istituzione deve attenersi rigorosamente a ciò che le compete e a ciò che è effettivamente in suo potere. Lo Stato, come istituzione, deve registrare l’orientamento prevalente che si manifesta all’interno della società civile. È questa, per esempio, la tesi di Habermas. Insomma, lo Stato non è chiamato a gestire la società civile, ma a governarla. Si tratta di una distinzione fondamentale, che viene troppo spesso dimenticata, con il grave rischio di imporre alla società scelte ideologiche».

Lo stesso discorso può valere anche nei confronti del “registro delle coppie di fatto”, già istituito in alcuni Comuni…
«Sì, ovviamente. Generare e riconoscere veri e propri diritti soggettivi non è oggetto proprio di provvedimenti amministrativi: questo è il compito del potere legislativo. Mi pare che operazioni di questo tipo possiedano una preoccupante connotazione ideologica che, nel caso in questione, contraddice la stessa Costituzione italiana, che all’articolo 29 afferma: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Viviamo in una società plurale, e ci confrontiamo con “mondovisioni” diverse, ma proprio per questo siamo chiamati tutti, come cittadini, a proporre il bene comune circa le questioni fondamentali del vivere. Così i cristiani, e anche molti non credenti, pienamente convinti della forza dell’“universale sociale” che è la famiglia, propongono a tutti questo dato e, in ogni caso, sostengono la necessità di chiamare ogni cosa con il proprio nome. Il nome famiglia non si addice ad altre forme di convivenza. Ostinarsi a utilizzarlo confonde e finisce con lo svuotare i preziosi fattori costitutivi della vera famiglia».

Nota forse un timore, un deficit di testimonianza in questo senso?
«Sì, anche tra i cristiani, in nome di un frainteso concetto di libertà, si accetta una posizione neutrale. Si dice: io tengo alla famiglia, ma lascio liberi gli altri di agire come meglio credono. Questo atteggiamento è la morte del dinamismo sociale. Infatti, più la società è plurale, più ho il dovere di proporre, sottolineo “proporre”, ciò che reputo decisivo per la vita buona – in questo caso il matrimonio e la famiglia – in vista di un confronto appassionato e di un possibile reciproco riconoscimento. A noi è chiesto di proporre il bene della famiglia e del matrimonio».

Da tempo i cattolici denunciano l’insufficienza di politiche di sostegno alla famiglia. Cambiano i Governi, ma il risultato è lo stesso. Perché in Italia è così difficile promuovere politiche sociali pro-famiglia?
«L’assenza di politiche sociali e culturali in favore del bene prezioso della famiglia è grave tanto quanto l’impegno disatteso nei confronti della libertà dell’educazione. Sono due grossi handicap che l’Italia si trascina da tempo».

E ora con la crisi dell’economia tutto è ancora più difficile…
«Certo. Ma una volta di più la famiglia sta dimostrando la centralità del suo ruolo sociale e anche economico, fungendo da ammortizzatore rispetto alla crisi in atto. Moltissime famiglie stanno affrontando con estrema dignità, e anche con maggiori sacrifici rispetto al passato, la grave situazione della mancanza di lavoro. C’è un senso di responsabilità nel nostro Paese che più in generale denota, contrariamente a quanto vanno dicendo alcuni, la grande nobiltà della nostra società civile. Per capacità di costruire relazioni, partecipazione e solidarietà, lo dico senza timore di essere smentito, siamo i primi d’Europa».

Una certezza di giudizio che proviene anche dall’esperienza pastorale?
«È così. Nella diocesi di Milano, come già mi era capitato a Venezia durante la Visita pastorale, incontro comunità con una grande vitalità che nasce dal basso, una straordinaria passione di donare tempo ed energie per gli altri. Un ricordo, per tutti: nella cittadina di Caorle, che in inverno ha sì e no 5 mila abitanti, si contano 70 diverse associazioni di volontariato. Certo, spesso una simile vitalità sociale coesiste con gli egoismi e le resistenze, per esempio, nei confronti del fenomeno degli immigrati che bussano alle nostre porte, ma c’è una ricchezza che la politica non ha ancora saputo interpretare».

La perdita del lavoro e la disoccupazione giovanile minano pesantemente la stabilità delle famiglie italiane. Quanto pesa la crisi nella paura di fare famiglia oggi?
«Sarebbe facile e demagogico rilevare solo questo dato, peraltro dolorosissimo. Penso che si debbano anche comprendere fino in fondo le trasformazioni radicali in atto nel mondo del lavoro, che ne intaccano la sua stessa concezione».

Allude alla fine del cosiddetto posto fisso?
«Anche. È fuori dubbio che la precarietà lavorativa sia distruttiva, e che la mancanza di prospettive incida sulla volontà di un giovane di fare famiglia, spingendolo a forme più precarie e disimpegnate di convivenza. Però l’idea del posto fisso com’era inteso dai nostri genitori, o dalla mia generazione, non esiste più. Oggi si deve parlare di “percorsi lavorativi”. In questa situazione occorre ripensare le garanzie di accompagnamento, riformare il sistema educativo prendendo sul serio un piano di scuola professionale. Si può fare l’idraulico o il costruttore di sedie in modo culturalmente avanzato e creativo. Invece che sfornare solo “dottori” a basso prezzo, l’Italia dovrebbe pensare a percorsi di istruzione professionale collegati all’Università, come si fa in tanti altri Paesi europei».

Il Governo intende rilanciare l’economia con le liberalizzazioni. Una di queste riguarda gli orari dei negozi: non sarà la fine del riposo in famiglia e del concetto di festa?
«Partirei dalla triade saggiamente proposta nel titolo del VII Incontro mondiale delle famiglie: affetti, lavoro, festa-riposo. L’io ha bisogno di fare un’esperienza di unità per poter stringere buone relazioni. L’equilibrio psichico di una persona che affronta le fatiche del lavoro ha bisogno di vivere gli affetti e la dimensione gratuita del riposo, che ha nella festa il suo culmine. È il cosiddetto “tempo vibrato”, come lo definiva Roland Barthes, richiamandosi al benedettino “Ora et labora”. Disgregare questi tre fattori espone la società al rischio di situazioni patologiche. Se il padre riposa la domenica, la madre il lunedì e il figlio il giovedì, non avranno la possibilità di ritrovarsi insieme. Viene a mancare la dimensione del tempo condiviso, che è tempo per la relazione con Dio e con gli altri. Creando condizioni per cui il riposo festivo diventa individualistico, frammentato, abolendo di fatto il senso della domenica, noi annulliamo l’efficacia stessa del riposo. Perciò, senza demonizzare i grandi centri commerciali, mi chiedo: serve davvero trasformare la domenica in giorno feriale? Ne guadagneremo qualcosa? ».

tratto dal sito: www.angeloscola.it

 

La lettera del Card. Scola a tutti i fedeli, in preparazione alla Giornata Mondiale delle Famiglie, sul significato della visita del Papa e del suo ministero petrino.

Carissimi,

nell’imminenza del VII Incontro Mondiale delle Famiglie voglio rivolgermi a ciascuno di Voi per richiamare ancora una volta il significato di questo decisivo evento ecclesiale.

Nel contesto sociale e culturale attuale, l’Incontro Mondiale delle Famiglie è per le nostre comunità e per tutti noi un’occasione unica e preziosa per riconoscere e rendere una chiara testimonianza del valore ecclesiale e sociale della famiglia.

La famiglia è la via maestra e la prima, insostituibile “scuola” di comunione, la cui legge è il dono totale di sé. I cristiani, proponendola in tutta la sua bellezza, al di là delle loro fragilità, intendono testimoniare agli uomini e alle donne del nostro tempo, qualunque sia la loro visione della vita, che l’oggettivo desiderio di infinito che sta al cuore di ogni esperienza di amore si può realizzare. La famiglia così concepita è un patrimonio prezioso per l’intera società.

La presenza del Santo Padre tra noi, presenza che egli ha voluto personalmente rendere particolarmente prolungata e intensa, è una chiara espressione di attenzione e affetto perla nostra Diocesi e per tutta la società civile della città e del territorio. Saranno diversi gli eventi che egli vivrà qui a Milano prima della Festa delle Testimonianze e della grande Santa Messa di domenica mattina: il saluto alla città in Piazza Duomo venerdì 1 giugno pomeriggio; il concerto alla Scala con le autorità civili e con le delegazioni delle Conferenze Episcopali del mondo presenti all’incontro mondiale la sera dello stesso giorno; la celebrazione, in Duomo, dell’Ora media con i sacerdoti, i religiosi e le religiose e l’incontro con i cresimandi allo stadio Meazza del giorno 2.

Vi esorto ad accogliere Benedetto XVI come il successore di Pietro, riscoprendo il senso autentico del ministero del Papa nella Chiesa di Dio: il Papa viene a noi «per confermare la nostra fede» (cf. Lc 22,32). Questo è il suo ministero proprio. Come ricordai all’inizio dell’Anno Pastorale, la Chiesa particolare non esisterebbe in forma piena senza questo riferimento diretto ed immediato alla figura di Pietro. La Sua presenza fisica sarà straordinaria perché sarà espressione privilegiata della sua presenza ordinaria.

Per rispondere a questo grande dono di Benedetto XVI è importante che ciascuno di noi intervenga di persona soprattutto partecipando alla celebrazione dell’Eucaristia del 3 giugno presso l’aeroporto di Bresso, dove il Santo Padre concluderà il VII Incontro Mondiale delle Famiglie.

Dal punto di vista operativo chiedo a tutte le comunità cristiane della Diocesi:

–        che in tutto il territorio della Diocesi non siano celebrate Sante Messe nella mattinata del 3 giugno. Per i fedeli impossibilitati a prendere parte di persona all’Eucaristia presieduta dal Santo Padre, si celebrino altre Sante Messe oltre quelle abituali nei pomeriggi del sabato 2 e della domenica 3;

–        che si intensifichi la preghiera personale e comunitaria, soprattutto attraverso il Santo Rosario, perché il VII Incontro Mondiale delle Famiglie dia i frutti sperati;

–        che due rappresentanti di ogni parrocchia e aggregazione di fedeli partecipino al Congresso Teologico-Pastorale che si svolgerà nei giorni 30 maggio-1 giugno, in modo da poter comunicare, nei dovuti modi, a tutti i membri della loro comunità il ricco contributo di riflessione e testimonianza che emergerà da questo Convegno internazionale.

Voglio, infine, cogliere l’occasione di questa mia lettera per ringraziare tutti coloro, e sono assai numerosi, che sostengono personalmente l’Incontro Mondiale e che, con intelligenza e generosità, lo stanno rendendo possibile. Mi riferisco in particolare ai membri e ai collaboratori della Fondazione Milano Family 2012, alle parrocchie e alle aggregazioni dei fedeli, e a tutti coloro che si sono resi disponibili nelle diverse forme di volontariato.

Con vivo affetto vi benedico nel Signore

+ Angelo card. Scola, Arcivescovo

 

 

Dono del Padre alla nostra Chiesa

La Visita Pastorale dell’Arcivescovo, S. E. Mons. Salvatore Gristina alla Comunità diocesana di Catania.

A colloquio con Monsignor Gristina.

Sappiamo che è già in pieno ritmo la Visita Pastorale: può parlarcene?
“E’ l’impegno principale che viviamo nella Diocesi. Abbiamo scelto di presentarla come dono del Padre per la nostra Chiesa. Questa visita nelle parrocchie diocesane serve, oltreché per farci conoscere meglio il territorio, per cercare di fare il punto della situazione. Proprio su questo concetto stiamo insistendo molto: visita e verifica pastorale. Io sono qui a Catania da otto anni e pertanto anche per me è importante verificare come abbiamo camminato in questo tempo. La visita, anzitutto, è un evento ecclesiale e come tale è legato alla chiesa, al territorio e alla popolazione. Tra l’altro dire che il vescovo visita le parrocchie, dimostra proprio questa forte attenzione verso il territorio. L’etimologia della parola parrocchia è, infatti, vicino le case, vicino le abitazioni, dal greco parà e oikeo”.

E come è suddiviso il territorio diocesano?
“La Diocesi è divisa in quindici vicariati, cioè raggruppamenti di parrocchie. Ho iniziato col primo e il secondo vicariato, quindi l’area vicino la cattedrale e poi la zona di San Cristoforo. Successivamente ho vistato l’ottavo vicariato, Misterbianco e Motta. Adesso sto iniziando a visitare il decimo, Belpasso, San Pietro Clarenza e Mascalucia; a questo seguiranno secondo programma altri due vicariati in centro città. Essendo quindici e avendone fatte tre in un anno, posso ipotizzare che impiegherò un totale di cinque anni per visitare tutte le parrocchie, che sono circa centosessanta. Il fine di tutto ciò è la creazione di quel senso di comunione necessario all’interno della Diocesi”.

Come sono organizzate le sue visite?
“Abbiamo impostate queste visite con modalità univoche, per poter sottolineare alcuni elementi chiave. Il primo è il coinvolgimento degli organismi di partecipazione a livello parrocchiale e a livello vicariale. Ogni parrocchia, infatti, ha il Consiglio pastorale parrocchiale, così come in ogni vicariato c’è un Consiglio pastorale del vicariato. Questi organismi, coinvolti pienamente nella visita pastorale, sono composti fondamentalmente da laici, con il parroco responsabile. Poi c’è il Consiglio per gli affari economici. La preparazione della visita, dunque, non viene organizzata dal parroco in prima persona, ma è il Consiglio pastorale che prepara un programma”.

In questa maniera conosce direttamente ogni singola realtà parrocchiale?
“Durante l’anno capita di visitare alcune parrocchie per vivere momenti particolari. Tuttavia la visita pastorale è cosa ben diversa: la mia presenza dura più a lungo, parlo con i fedeli, mi metto a disposizione per le confessioni. Tutto questo viene molto apprezzato dalle persone, così come per me rappresenta l’opportunità di conoscere maggiormente la comunità. C’è, inoltre, un questionario che il Consiglio pastorale parrocchiale deve compilare per dare un quadro generale della singola realtà. Sempre in quest’ottica, prima della mia visita, si svolge la cosiddetta visita reale: gli uffici di Curia coordinati dal Vicario generale e dal Vicario per l’amministrazione fanno una accertamento amministrativo e poi mettono per iscritto il risultato. Un altro obbligo che hanno le parrocchie riguarda il Consiglio per gli affari economici, questo deve rilasciare il parere sulle scelte riguardanti le spese di manutenzione, ordinaria e straordinaria”.

Come affrontate la tematica della comunicazione? Esiste un indirizzo per guidare i sacerdoti nel dialogo con i fedeli?
“Ci possono essere tantissimi mezzi, ma bisogna chiedersi quanta comunicazione effettiva c’è. Uno degli impegni che stiamo cercando di promuovere è quello della lectio divina, per creare un reale contatto tra i fedeli e il vangelo. La traduzione del testo biblico, benché aggiornata continuamente, contiene un linguaggio diverso perché si rivolge tendenzialmente ad un mondo contadino. Il linguaggio di Gesù era qualcosa di straordinario, infatti, tutte le parabole riescono ed essere immediate. Nel decennio scorso si è portato avanti il programma denominato Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, che significa: il Vangelo è sempre lì, conserva la sua attualità, ma bisogna fare in modo che questo venga percepito”.

L’attuale crisi educativa riguarda anche gli adulti. Quali problematiche le sembrano urgenti in questo momento nel nostro territorio?
“Vi porto un esempio. Sono stato a San Cristoforo, ne sentivo parlare, qualche volta lo avevo visitato superficialmente, tuttavia nei giorni della visita pastorale, guidato dal parroco, ho avuto la possibilità di conoscere la zona più in dettaglio. L’idea precisa di come vivono molte persone in queste aree difficili, non puoi averla se non la vedi. Il punto è che girando per le parrocchie emergono sempre le tematiche sociali che preoccupano maggiormente le famiglie. Molti temi legati ai giovani, le droghe, lo spaccio, la violenza, tutte realtà che la visita pastorale permette di affrontare con più elementi. Un altro problema rilevante è la solitudine: quante persone anziane, sole, sono costrette in condizioni di ristrettezza? Perciò, stiamo cercando di coinvolgere sempre più volontari in questo tipo di servizio. Ed è una delle realtà nella quale i ragazzi potrebbero essere coinvolti, perché offrire ai giovani la possibilità di un impegno è un dovere che noi adulti abbiamo. Le parrocchie, in questo senso, possono fare ancor di più: offriamo qualcosa a questi ragazzi. E non è vero che i giovani non si fanno coinvolgere, dobbiamo pero saperlo fare. Si parla della crisi educativa dei giovani, ma la crisi educativa riguarda innanzitutto noi adulti. Quali modelli diamo alle nuove generazioni? Quale testimonianza? La Conferenza episcopale italiana, in questo decennio ha preso un impegno educativo e c’è, a questo proposito, un documento: Educare alla vita buona del Vangelo. Certamente dobbiamo continuare a lavorare in questo senso. Il primo passo è offrire il nostro esempio”.