Nuova missione pastorale per don Ambrogio Monforte

Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” – Biancavilla

Presidenza SME

Il Presidente,
il Consiglio Direttivo
e tutti i membri dell’Associazione mariana,

esprimono al carissimo Socio Don Ambrogio Monforte, le loro felicitazioni e il loro migliore augurio per la nuova missione pastorale affidatagli da S. E. Mons. Arcivescovo quale Vicario Parrocchiale della popolosa Parrocchia di San Leone Vescovo in Catania, mentre lo sostengono con la loro preghiera affidandolo alla perenne protezione della Vergine SS.ma Madre di Misericordia.

Annuntio vobis gaudium magnum

Lunedì prossimo Benedetto XVI festeggerà il compleanno, giovedì 19 aprile i sette anni di pontificato.

Redazione SME

Il Santo Padre è rientrato oggi in Vaticano dalla residenza di Castelgandolfo, dove ha trascorso alcuni giorni di riposo dopo i riti pasquali. Era partito per la residenza estiva dei papi domenica pomeriggio, con una parentesi in Vaticano mercoledì, per l’udienza generale in piazza San Pietro.
Benedetto XVI ha anticipato il rientro a Roma per accogliere il fratello, mons. Georg Ratzinger, giunto in Italia per partecipare ai festeggiamenti per l’85.mo compleanno del fratello Papa, che cade lunedì prossimo, 16 aprile.
Lunedì il Pontefice celebrerà la messa privatamente nella Cappella Paolina con ospiti dalla Baviera e con vescovi tedeschi. Alle 11 riceverà gli auguri, sempre in forma privata, mentre alle 12 ci sarà una udienza pubblica alla delegazione della Baviera, nella Sala Clementina.

Giovedì 19, invece, cade il settimo anniversario dell’elezione di Joseph Ratzinger al soglio di Pietro. Al momento non sono previsti particolari festeggiamenti. Le due ricorrenze, compleanno e anniversario del pontificato saranno poi celebrate venerdì 20 con un concerto offerto a papa Ratzinger dall’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia. Il concerto, in calendario alle ore 18 nell’aula Paolo VI in Vaticano, ha in programma la Sinfonia n.2 in Si bemolle maggiore op. 52 «Lobgesang» per solisti e coro e Orchestradi Felix Mendelssohn.

habemus Papam:
Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,
Dominum Josephum
Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Ratzinger
qui sibi nomen imposuit Benedictum XVI

Nella felice occasione di queste due ricorrenze, noi membri dell’Associazione “Maria SS. dell’Elemosina” desideriamo unirci alle migliaia di cori che dalla terra si elevano al cielo per ringraziare la Provvidenza divina che ha voluto donarci il Papa Benedetto XVI, assicuriamo per lui la nostra preghiera, la fedeltà di figli devoti e il nostro grazie.

Oremus pro Pontifice nostro Benedicto
Dominus conservet eum et vivificet eum et
beatum faciat eum in terra et non tradat eum
in animam inimicorum eius.

Giovanni Paolo II e l'imprescindibile primato petrino

di Alessandro Scaccianoce

La sensazione che pervase tutti noi, all’annuncio della morte di Giovanni Paolo II, in quella sera del 2 aprile 2005, fu quella di sentirci più soli. Veniva a mancare il punto di riferimento dell’intera Chiesa Cattolica, il segno vero ed efficace della nostra unità. Non erano chiacchiere – mi resi conto – quelle sul ruolo di Pietro, sul suo primato nella carità. Che ne sarebbe stato della Chiesa? Per molti di noi si trattava del primo evento di questo tipo: la morte del Papa. Un uomo che aveva accompagnato tutta la nostra vita fino a quel momento. Era uno di famiglia. Come immaginarsi senza?

Quell’evento mi fece comprendere l’imprescindibile ruolo del successore di Pietro, che nessun altro organismo può rivestire o ricoprire. Non ci sono creazioni collegiali che possano sostituire il suo ruolo di custode della fede e di garante dell’unità della Chiesa, colui che conferma la fede di noi tutti. Non si tratta di nostalgie monarchiche, perché è nella parole di Gesù che trova fondamento il suo ruolo: “pasci le mie pecorelle!”. Non un primato politico, coercitivo o repressivo, ma un primato di servizio, che illumina, incoraggia e sostiene, rimandando continuamente al Signore.

Alla preghiera di suffragio per il grande dono ricevuto di Papa Giovanni Paolo II,  si aggiungeva, pertanto, in quei giorni l’ansia per un successore che potesse ricoprire altrettanto degnamente il ruolo di “Vicario di Cristo”.

Lo Spirito Santo non ha abbandonato la Chiesa, con il dono di Papa Benedetto XVI, continuatore e perfezionatore dell’opera del suo predecessore. E mentre la gente, dopo il primo discorso del neo-eletto Pontefice, si affrettava a fare i primi paragoni, dalle differenze fisiche, agli aspetti caratteriali, il cuore si acquietava al pensiero di avere un nuovo Padre Santo. Il Signore  aveva mantenuto fede alla sua promessa: “sono con voi tutti i giorni”. Giovanni Paolo II aveva concluso la sua esperienza terrena. Era il momento di riprendere in mano i suoi insegnamenti, troppe volte dimenticati da chi ne aveva fatto un simbolo di buonismo e di pacifismo, banalizzandone il carattere profetico e cercando di tenere in sordina i suoi richiami alla verità del Vangelo e alle esigenze morali che ne derivano. “Le porte degli inferi non prevarranno”, aveva detto Gesù a Pietro, precisando che sulla sua roccia si sarebbe fondata quella comunità di credenti che nasceva dal suo seno. Perché, se è vero che “dove due o tre sono riuniti nel suo nome” Cristo è in mezzo a loro, è anche vero che “ubi Petrus ibi Ecclesia” e – aggiungiamo in climax ascendente, con tutta la Tradizione vivente della Chiesa: “ubi Petrus ibi Christus, ubi Christus ibi Pax, ubi Christus ibi omnia”.

Ricordando Giovanni Paolo II "Il Grande"

Il 2 aprile 2005 si spegneva il grande timoniere della chiesa, oggi beato. La Redazione del Sito SME, lo ricorda con particolare affetto. 

di Luca Rolandi

Sono trascorsi sette anni dl giorno in cui si spense Giovanni Paolo II. Una lunga agonia che il mondo seguì con ansia e grande partecipazione emotiva e spirituale. Una morte che colpì tutti: credenti e non credenti, cattolici e laici. Era un sabato, l’orologio segnava le 21.37. In quel momento si certificò il passaggio di Karol Wojtyla. Alle 22 la notizia era comunicata da monsignor Leonardo Sandri: “Il Papa è tornato nella casa del Padre” fu l’annuncio in una piazza San Pietro gremita che accompagnò l’annuncio con un unico lunghissimo applauso, pianti e preghiere. In molti restarono in silenzio piangendo, altri continuarono a guardare la finestra al terzo piano del palazzo apostolico con le luci accese. Suonarono le campane in piazza San Pietro. Gli oltre 60mila fedeli riuniti in piazza San Pietro recitarono “l’Eterno riposo”.

Scriveva sull’Osservatore Romano del 2 aprile 2011 Konrad Krajewski “Stavamo in ginocchio attorno al letto di Giovanni Paolo II. Il Papa giaceva in penombra. La luce discreta della lampada illuminava la parete, ma lui era ben visibile.
Quando è arrivata l’ora di cui, pochi istanti dopo, tutto il mondo avrebbe saputo, improvvisamente l’arcivescovo Dziwisz si è alzato. Ha acceso la luce della stanza, interrompendo così il silenzio della morte di Giovanni Paolo II. Con voce commossa, ma sorprendentemente ferma, con il tipico accento montanaro, allungando una delle sillabe, ha cominciato a cantare: “Noi ti lodiamo, Dio, ti proclamiamo Signore”.

I solenni funerali di papa Wojtyla sono presieduti dal cardinale Ratzinger. Dal 2 all’8 aprile arrivano a Roma tre milioni di pellegrini. In quei giorni, 21 mila persone entrano ogni ora nella basilica vaticana, 350 al minuto. La media di tempo necessaria per vedere i resti mortali del Papa è di 13 ore, mentre il tempo massimo di attesa è di 24 ore. La fila arriva a una lunghezza di cinque chilometri. Il giorno dei funerali 500 mila fedeli seguono le esequie in piazza San Pietro e in via della Conciliazione, mentre 600 mila da altri luoghi di Roma attraverso dei maxischermi. Grandi cartelli in mezzo alla folla dei fedeli invocano «Santo subito». Sei anni dopo il 1 maggio 2011 Karol Woytila era proclamato beato dal suo successore Benedetto XVI.

Nel quarto anniversario della morte papa Ratzinger, il 2 aprile 2009, ricordava così Giovanni Paolo II: “…Come padre affettuoso e attento educatore, indicava sicuri e saldi punti di riferimento indispensabili per tutti, in special modo per la gioventù. E nell’ora dell’agonia e della morte, questa nuova generazione volle manifestargli di aver compreso i suoi ammaestramenti, raccogliendosi silenziosamente in preghiera in Piazza San Pietro e in tanti altri luoghi del mondo. Sentivano, i giovani, che la sua scomparsa costituiva una perdita: moriva il “loro” Papa, che consideravano “loro padre” nella fede. Avvertivano al tempo stesso che lasciava loro in eredità il suo coraggio e la coerenza della sua testimonianza. Non aveva egli sottolineato più volte il bisogno di una radicale adesione al Vangelo, esortando adulti e giovani a prendere sul serio questa comune responsabilità educativa?…”

Attenti a quei predicatori… lupi vestiti da agnelli, con il beneplacito di certa gerarchia

Riteniamo molto utile per i nostri affezionati lettori richiamare questo puntuale articolo di Mons. Livi in merito a certi personaggi mediatici, spacciati troppo spesso per profeti. Enzo Bianchi è uno di questi personaggi, che una certa gerarchia continua ad accreditare, seminando confusione nel popolo di Dio. Da alcuni anni, ad esempio, viene invitato a Milano  in una parrocchia del centro per il quaresimale. In uno di questi incontri gli abbiamo sentito negare l’inferno e la giustizia di Dio (che a suo avviso sarebbe “solo” misericordia). Presso la sua comunità molti preti vanno per gli esercizi spirituali…
Fratel Enzo si è ritagliato un ruolo  da “anti-Papa”, ponendosi in opposizione frontale con il Magistero di Benedetto XVI e la Tradizione. Ha contestato il celibato sacerdotale, la dichiarazione Dominus Jesus (dell’allora card. Ratzinger) e ha ritenuto di dire la sua (a che titolo?) anche sul motu proprio Summorum Pontificum, e perfino sulla Madonna di Fatima la quale condannando, tra le ideologie moderne, solo il comunismo (ideologia con cui solitamente simpatizzano modernisti e semi-modernisti), non sarebbe credibile!! 
Eppure, una stampa sedicente “cristiana”, continua a reclamizzare i suoi libri. Basta passare davanti ad una libreria dei Paolini.
 
di Antonio Livi
Priore di Bose
Enzo Bianchi si presenta come il priore della Comunità di Bose, che i cattolici ritengono essere un nuovo ordine monastico, mentre canonicamente non lo è, perché non rispetta le leggi della Chiesa sulla vita comune religiosa. I cattolici lo ritengono un maestro di spiritualità, un novello san Francesco d’Assisi capace di riproporre ai cristiani di oggi il Vangelo sine glossa, ma nei suoi discorsi la Scrittura non è la Parola di Dio custodita e interpretata dalla Chiesa ma solo un espediente retorico per la sua propaganda a favore di un umanesimo che nominalmente è cristiano ma sostanzialmente è ateo.Ecco, ad esempio, come Enzo Bianchi commentava il racconto evangelico delle tentazioni di Gesù nel deserto: «Gesù non si sottrae ai limiti della propria corporeità e non piega le Scritture all’affermazione di sé; al contrario, egli persevera nella radicale obbedienza a Dio e al proprio essere creatura, custodendo con sobrietà e saldezza la propria umanità» (Avvenire, 4 marzo 2012). Insomma, un’esplicita negazione della divinità di Cristo, il quale è ridotto a simbolo dell’etica sociale politically correct, l’etica dell’uomo che – come scriveva Bianchi poco più sopra – deve «avere il cuore e le mani libere per dire all’altro uomo: “Mai senza di te”» (ibidem).Grazie al non disinteressato aiuto dei media anticattolici, Enzo Bianchi ha saputo gestire molto bene la propria immagine pubblica: quando si rivolge a quanti si professano cattolici, Enzo Bianchi veste i panni del “profeta” che lotta per l’avvento di un cristianesimo nuovo (un cristianesimo che deve essere moderno, aperto, non gerarchico e non dogmatico, cioè, in sostanza, non cattolico); quando invece si rivolge ai cosiddetti “laici” (ossia a coloro che hanno smesso di professarsi cattolici oppure non lo sono mai stati ma desiderano tanto vedere morire una buona volta il cattolicesimo), Enzo Bianchi si presenta simpaticamente come loro alleato, come una quinta colonna all’interno della Chiesa cattolica (se non piace la metafora di “quinta colonna” posso ricorrere alla metafora, ideata da Dietrich von Hildebrand, di “cavallo di Troia nella Città di Dio”).Ora, che i media anticattolici (il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa, L’Espresso) ospitino volentieri i sermoni del profeta della fine del cattolicesimo (così come ospitano i sermoni di tutti i piccoli e grandi intellettuali, cattolici e non, che auspicano una Chiesa cattolica senza più dogma, senza morale, senza sacramenti, senza autorità pastorale) non desta meraviglia, visto che si tratta di gente che porta acqua al loro mulino; invece, che i media ufficialmente cattolici si prestino (da almeno dieci anni!) a operazioni del genere fa comprendere fino a qual punto di confusione dottrinale e di insensibilità pastorale si sia arrivati nella Chiesa, almeno in Italia (anche se forse negli altri Paesi di antica tradizione cristiana le cosa stanno pure peggio).

Ho parlato di “insensibilità pastorale”, perché è evidente che organi di informazione che sono istituzionalmente al servizio della pastorale (penso a Famiglia Cristiana, che fu fondata da chi voleva promuove l’apostolato della “buona stampa” e che per decenni è stata diffusa soprattutto nelle chiese; penso ad Avvenire, quotidiano voluto da Paolo VI e gestito dalla Conferenza episcopale) non dovrebbero contribuire alla diffusione di ideologie che sono per l’appunto l’ostacolo massimo che oggi la pastorale si trova davanti. La pastorale infatti è costituita essenzialmente dalla catechesi e dall’evangelizzazione, ossia dall’offerta della verità e della grazia di Cristo a chi già crede e a chi ancora deve arrivare alla fede. Come si fa a portare la verità e la grazia di Cristo agli uomini (quelli di oggi, non diversamente da quelli di ieri) se si nasconde loro che Cristo è il Salvatore, cioè Dio stesso fatto Uomo per redimerci dal peccato e assicurarci la salvezza eterna? Come si fa ad avvicinare gli uomini all’Eucaristia, fonte della vita soprannaturale, se agli uomini di oggi si nasconde il mistero della Presenza reale, se non li si educa allo spirito di adorazione, se si annulla la differenza tra l’umano e il divino, se la “comunione” di cui si parla non è principalmente con Dio ma esclusivamente con gli altri uomini (e “comunione” vuol dire solo solidarietà, accoglienza, “fare comunità”)?

Come si fa a far amare la Chiesa di Cristo, «colonna e fondamento della verità», se viene messo in ombra il carisma dell’infallibilità del magistero ecclesiastico, se viene esaltato lo spirito di disobbedienza e la critica demolitrice della legittima autorità stabilita da Cristo stesso? Insomma, non è certo segno di sensibilità pastorale orientare il criterio dottrinale dei propri lettori (per definizione si suppone che siano cattolici) con i discorsi bonariamente eretici di Enzo Bianchi. Il quale, peraltro, non fa mistero della sua piena condivisione delle proposte riformatrici di Hans Küng, che con il linguaggio tecnico della teologia dogmatica ha enunciato e continua a enunciare le medesime eresie che Bianchi enuncia con il linguaggio retorico della saggistica letteraria. Nessuno si è sorpreso infatti leggendo sulla Stampa di Torino un recente articolo di Enzo Bianchi (13 marzo 2012) nel quale il priore di Bose ribadisce il suo sostegno alle tesi di Hans Küng, prendendo occasione da una nuova edizione italiana del suo Essere cristiani.

Hans Küng, che è il più famoso (meglio si direbbe famigerato) di tutti i falsi teologi che hanno diffuso nella Chiesa cattolica, a partire dalla seconda metà del Novecento, le ideologie secolaristiche che oggi costituiscono quell’ostacolo alla pastorale del quale parlavo. Lo esalta presentandolo come una specie di “dottore della Chiesa” ingiustamente inascoltato, guardandosi bene dal ricordare (ma lo sanno persino molti lettori della Stampa) che il professore svizzero ha sempre negato la verità dei dogmi della Chiesa e il fondamento teologico della morale cattolica, disconoscendo sempre la funzione del magistero ecclesiastico (a partire dal libro intitolato Infallibile?). Küng non è stato scomunicato né è stato messo a tacere (peraltro, tutti gli editori più importanti dell’Occidente scristianizzato hanno pubblicato e diffuso le sue opere), e non c’è ragione alcuna per la quale egli debba presentarsi ed essere presentato come una vittima della repressione da parte della gerarchia ecclesiastica.

Per disegnargli intorno alla testa l’aureola della santità, Enzo Bianchi parla di Küng come di un protagonista del Vaticano II, facendo finta di ignorare che un concilio ecumenico è un’espressone solenne del magistero ecclesiastico (protagonisti ne sono soltanto i vescovi, e i documenti approvati al termine dei lavori hanno un eminente valore per la dottrina della fede in quanto convocato, presieduto e convalidato dai Papi) e non un convegno internazionale di teologi (Hans Küng, come “perito”, non ha avuto nel Concilio né voce né voto). Insomma, Enzo Bianchi vorrebbe far credere che Küng, malgrado i suoi meriti teologici, non avrebbe ottenuto dall’autorità ecclesiastica la benevolenza e i riconoscimenti che gli spettavano; addirittura, insinua Bianchi, alla Chiesa conveniva mettere Küng, piuttosto che il suo collega Ratzinger, a capo della congregazione per la Dottrina della fede.

Sono assurdità che possono andar bene solo per i lettori della Stampa (quotidiano di collaudata tradizione massonica), ai quali non importa nulla della fede cristiana ma sono ben contenti di vedere la Chiesa cattolica in preda a una profonda crisi dottrinale e disciplinare, sperando che tutto ciò affretti la sua definitiva scomparsa dalla scena sociale e politica. Ma Bianchi è ospitato anche dalla stampa cattolica, e in quella sede l’assurdità di cui parlavo dovrebbe essere percepita da qualcuno.

Qualcuno dovrebbe rinfacciare a Bianchi l’ipocrisia di presentare come vittima del potere ecclesiastico senza dire che il teologo svizzero non ha mai voluto riconoscere la legittimità (cioè l’origine divina) di questo potere, che ad altro non serve se non alla custodia fedele e alla interpretazione infallibile della verità che salva. Bianchi si guarda bene dal riferire tutte le contumelie e gli insulti che Hans Küng è solito scrivere (anche in italiano, sul Corriere della Sera) contro quei papi (soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II) che non gli hanno dato ragione (e come avrebbero potuto?).

 
tratto da: La Bussola quotidiana
 

Bianchi appartiene, se si vuole, all’ultima generazione del neo-modernismo post-conciliare, in compagnia di vari teologi e intellettuali cattolici che si caratterizzano da un lato per l’eterodossia (ovvero l’eresia) delle posizioni (tutti gli autori censurati dal Magistero negli ultimi anni, da Küng a padre Sobrino, sono di questa corrente spuria) e dall’altro per l’enorme presenza sui media, purtroppo anche cattolici (“Avvenire” e “Famiglia Cristiana” in primis).

Cristiani perseguitati per la fede: una donna condannata per un sorso d'acqua…

Cristiani perseguitati e uccisi in Pakistan. Questa è la storia di Asia Bibi, una povera donna cristiana condannata per aver bevuto un sorso d’acqua da un pozzo riservato ai musulmani. Ma le violenze continuano. Lo scorso 28 febbraio un’altra giovane donna cristiana è stata accusata di blasfemia, Shamim, 26 anni, madre di una bambina di cinque mesi, per “insulti al profeta Maometto”. Secondo la famiglia, Shamim è stata accusata perché avrebbe rifiutato di convertirsi all’islam. La resistenza opposta ha spinto un gruppo di parenti – che di recente hanno abbracciato la fede di Maometto – a denunciarla in base alla “legge nera”.

di Domenico Bonvegna

Da tempo è calata l’attenzione sulla povera donna pakistana Asia Bibi condannata a morte per blasfemia e da oltre due anni prigioniera in una cella del carcere di Sheikhupura in Pakistan. Naturalmente questo non fa onore al nostro Occidente, in particolare a noi cristiani. Del resto non è una novità, nonostante Benedetto XVI spesso lanci appelli in difesa dei cristiani perseguitati, l’apatia cronica dei cristiani è ancora troppo forte di fronte a questo grave problema.

Asia Bibi vive con il marito Ashiq e i cinque figli in un piccolo villaggio del Punjab, una ragione del Pakistan orientale. E’ analfabeta e per dare un futuro migliore ai propri figli, accetta di svolgere lavori umili e pesanti, come custodire il bestiame di ricchi possidenti o partecipare a raccolte stagionali nei campi. Proprio qui accade l’episodio che sconvolgerà la propria esistenza e quella della sua famiglia. In un pomeriggio, sotto un sole rovente, Asia beve un bicchiere d’acqua proveniente da un pozzo dove bevevano anche le sue compagne musulmane, lei cristiana, ha contaminato l’acqua che spetta di diritto alle donne musulmane che per questo si scatenano contro. Le donne l’hanno denunciata alle autorità musulmane e così all’improvviso Asia Bibi diventa Blasfema, per aver offeso la religione musulmana. In Pakistan questa accusa significa morte certa. Così la povera donna il 14 giugno 2009 viene buttata in una cella senza finestre, dove non può vedere né il sole, né le stelle, una vera e propria tomba, “qua dentro ho imparato a morire restando viva”. Dopo un mese Asia Bibi viene condannata dal tribunale all’impiccagione per aver offeso il profeta Maometto. Nello stesso tempo anche la sua stessa famiglia, minacciata dai fondamentalisti, è costretta a lasciare il villaggio.

Asia Bibi attraverso un libro che in questi giorni mi è capitato leggere ha voluto spiegare “gridare la verità, oggi sono in condizione di scrivervi, dalla cella in cui mi hanno sepolta viva. Lo faccio per chiedervi di aiutarmi, di non abbandonarmi”. E così è nato libro curato da Anne-Isabelle Tollet, corrispondente di France 24 in Pakistan. Il libro è uscito prima dell’estate del 2011 pubblicato da Mondadori, Blasfema. Condannata a morte per un sorso d’acqua. Il testo racconta la morte terribilmente lenta di Asia Bibi. “Sono vittima di una crudele ingiustizia collettiva. Incarcerata, legata, incatenata da due anni, esiliata dal mondo, in attesa della morte (…) Condannata a morte perché avevo sete”. Continua Asia: “voglio che la mia povera voce, che da questa lurida prigione denuncia tanta ingiustizia e tanta barbarie, trovi ascolto”. In attesa dell’appello, dopo la condanna a morte, Asia Bibi rischia ogni giorno la vita in carcere. Per evitare avvelenamenti si cucina da sola; la sua cella è umida e fredda, così piccola che stendendo le braccia si tocca la parete contraria. Dappertutto c’è odore di grasso, sudore, urina, insopportabile anche per una donna cresciuta in campagna. Asia Bibi confessa ad Anne-Isabelle Tollet, che ha raccolto la sua testimonianza parlando con il marito e l’avvocato – gli unici ammessi a incontrarla – di aver pensato al suicidio, per salvare i suoi figli dalla vendetta. La sola cosa che mi permette di resistere – conclude la martire pachistana – malgrado tutte le privazioni, le vessazioni e questa angoscia che non mi da tregua, è la certezza della mia innocenza. La certezza di essere vittima di una ingiustizia. E la volontà di testimoniare, di fare in modo che la mia lotta possa aiutare altre persone. Vorrei tanto che i miei aguzzini aprissero gli occhi, che la situazione del mio paese cambiasse… fatelo sapere. credo che sia la mia unica speranza di non morire in fondo a questa fossa”. Asia Bibi è stata sostenuta coraggiosamente dal governatore del Punjab, Salman Taseer e dal ministro cristiano per le Minoranze, Shahbaz Bhatti, che sono andati in carcere a visitarla. Entrambi si sono opposti pubblicamente alla legge antiquata della blasfemia, una legge che in sé è una bestemmia, visto che semina oppressione e morte in nome di Dio. Per aver denunciato tanta ingiustizia sia Taseer che Bhatti, due uomini coraggiosi, uno musulmano, l’altro cristiano, sono stati brutalmente assassinati in mezzo alla strada. “Tutti e due sapevano che stavano rischiando la vita, perché i fanatici religiosi avevano minacciato di ucciderli. Malgrado ciò, questi uomini pieni di virtù e di umanità non hanno rinunciato a battersi per la libertà religiosa, affinché in terra islamica cristiani, musulmani e indù possano vivere in pace, mano nella mano”. Come ha potuto Famiglia Cristiana proporre il presidente Napolitano uomo dell’anno, di fronte a due campioni di eroicità, strenui difensori dei diritti umani e morti proprio per questo, come questi due politici pakistani. “Un musulmano e un cristiano che versano il loro sangue per la stessa causa: forse in questo c’è un messaggio di speranza”. Il libro della Mondadori vuole proporre questo messaggio di speranza, attraverso la storia di Asia Bibi, un simbolo, non solo per il Pakistan, ma per tutto il mondo intero, per tutti quelli che lottano contro la violenza esercitata in nome della religione.