Carmelo Mazzaglia: accettare la sofferenza come un dono di Dio

In vista della giornata mondiale del malato, pubblichiamo alcuni passaggi del libro “Il dono più grande”: una splendida meditazione sul senso della vita, dell’amore e del dolore.

di Carmelo Mazzaglia

Non è facile trovare un senso alla propria esistenza quando si vive nella mia condizione, specialmente quando si pensa di essere soli: io ho scoperto di non esserlo e quando ho compreso che accanto a me c’era Dio, tutto ha acquistato significato.

Lentamente è maturato in me il bisogno di condividere con gli altri questa mia esperienza di fede per dare una speranza a chi crede di non avere più nulla per cui valga la pena di vivere e per raccontare a chi ha voglia di ascoltarmi come la disabilità non rappresenti la fine di una vita ma solo una modalità diversa di vivere, altrettanto ricca e completa.

In questo libro affronto tre argomenti di grande importanza: l’amore che ci circonda in ogni istante e non ci abbandona mai, quello di Dio e degli uomini; la vita, dono di Dio, grazie alla quale possiamo sperimentare la forza di questo amore; la salute e la malattia che non rappresentano solo due stati di essere del corpo ma soprattutto due condizioni dell’anima che determinano il nostro modo di vivere.

Nell’ultima parte mi rivolgo ai disabili come me e a chi sta loro intorno per raccontare come ho vissuto e sto vivendo la mia battaglia contro la malattia, affinché i primi comprendano che la loro vita può essere piena come quella degli altri e che anche loro possono dare tanto e perché  gli altri imparino  che la diversità non è qualcosa di cui avere paura ma una fonte inesauribile di scoperte e di ricchezza.

La malattia certamente ti cambia la vita, ma la direzione che vuoi dare ad essa, dipende da te! Accettare la sofferenza come un dono di Dio e cercare attraverso la sua parola di volgere in bene tutto il dolore, ha riempito la mia vita di significato e mi è servito a comprendere che si può essere utili agli altri anche quando si è nella mia condizione.

2 febbraio – Festa della Presentazione del Signore al Tempio

Accogliamo la luce viva ed eterna che illumina ogni uomo

dai «Discorsi» di san Sofronio, vescovo

 Noi tutti che celebriamo e veneriamo con intima partecipazione il mistero dell’incontro del Signore, corriamo e muoviamoci insieme in fervore di spirito incontro a lui. Nessuno si rifiuti di portare la sua fiaccola. Accresciamo anzi lo splendore dei ceri per significare il divino fulgore di lui che si sta avvicinando e grazie al quale ogni cosa risplende, dopo che l’abbondanza della luce eterna ha dissipato le tenebre della caligine. Ma le nostre lampade esprimano soprattutto la luminosità dell’anima, con la quale dobbiamo andare incontro a Cristo. Come infatti la Madre di Dio e Vergine intatta portò sulle braccia la vera luce e si avvicinò a coloro che giacevano nelle tenebre, così anche noi, illuminati dal suo chiarore e stringendo tra le mani la luce che risplende dinanzi a tutti, dobbiamo affrettarci verso colui che è la vera luce.

La luce venne nel mondo (cfr. Gv 1,9) e, dissipate le tenebre che lo avvolgevano, lo illuminò. Ci visitò colui che sorge dall’alto (cfr. Lc 1,78) e rifulse a quanti giacevano nelle tenebre. Per questo anche noi dobbiamo ora camminare stringendo le fiaccole e correre portando le luci. Così indicheremo che a noi rifulse la luce, e rappresenteremo lo splendore divino di cui siamo messaggeri. Per questo corriamo tutti incontro a Dio. Ecco il significato del mistero odierno.

La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1,9) è venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.

E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene.

Parole di Don Bosco

Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dei “Ricordi di don Bosco”, esortazioni spirituali e insegnamenti da lui rivolte ai suoi figli.

Figliuoli, voi già sapete che per vivere quieti, contenti, ed allegri, fa d’uopo prima di tutto essere in grazia di Dio. Bisogna però convincerci per tempo che noi abbiamo dei potenti nemici, i quali tentano continuamente di rapirci questo preziosissimo tesoro della grazia di Dio. Questi sono il mondo, il demonio e noi stessi, cioè le nostre disordinate passioni. A questi ci è necessario mover guerra assidua da volerlo a non volerlo. Ma come mai potremo riportar vittoria colle nostre sole forze? Perciò, oltre le orazioni del mattino e della sera, vi raccomando di pregare sovente anche lungo la giornata, massime con giaculatorie: vi raccomando di leggere, quando potete, almeno alcune linee di qualche buon libro. Quando poi v’avviene d’esser più gagliardamente tentati, deh! allora più che mai ricorrete subito a Dio ed ai Santi col maggior fervore possibile. Dico subito, e voglio dire, tosto che v’accorgete della tentazione.

 Figliuoli cari, corriamo tempi cattivi. Si sentono ogni giorno massime e dottrine perverse, perfino contrarie a quel che di più caro e più prezioso noi possiamo avere, voglio dire, contrarie alla nostra santa fede. Si odono discorsi e nere calunnie contro i ministri del Signore, non eccettuato il Vicario stesso di Gesù Cristo in terra, il sommo Pontefice; e ciò tutto, affinché non venendo più ascoltate colla debita riverenza le verità da essi predicate, possano gli empi con maggiore facilità e sicurezza rapirci il preziosissimo, l’inestimabile dono della fede. Infame e veramente diabolica malizia …! Perciò, abbiamo ora uno strettissimo bisogno d’accostarci spesso e bene ai santi Sacramenti della Confessione e della Comunione per corroborarci e stabilirci sempre di più nella virtù, per non rimaner ingannati, per non cader vittima delle arti maligne de’ nostri più fieri nemici, per liberarci in una parola dalla morte eterna. (…)  Il vostro coraggio e buon esempio sarà eziandio di forte stimolo per altri più deboli a mettersi per la medesima via a gloria di Dio ed a vostro immenso vantaggio.

Figliuoli carissimi in Gesù Cristo, siate sinceramente divoti di Maria Santissima. Eleggetela per vostra madre, pregatela con fervore e perseveranza ad accettarvi per suo figlio. Siccome fra tante preghiere le è specialmente gradito il Rosario, perciò, per quanto v’è possibile, recitatene almeno la terza parte ogni giorno e divotamente. Invocatela massime nelle tentazioni e negli altri vostri bisogni spirituali e temporali. Quoeramus gratiam, et per Mariam quoeramus, ci dice S. Bernardo. Nihil enim nos Deus habere voluit quod per manus Mariae non transiret. Cerchiamo grazie e cerchiamole da Maria. Imperocchè Iddio nulla volle farci avere, se non per mano di Maria. Siate anche particolarmente divoti di S. Giuseppe sposo di Maria, special protettore de’ moribondi; siate divoti del vostro Angelo Custode, e de’ santi di cui portate il nome e protettori della vostra Diocesi e Parrocchia. Onorateli con mortificazioni e preghiere principalmente nelle loro novene, coll’accostarvi degnamente ai santi Sacramenti ne’ giorni delle loro feste, e quel che è più collo sforzarvi di seguire i loro esempi; nel che è proprio riposta la sostanza della vera divozione.

 Vi prego per ultimo di leggere frequentemente questi brevi ricordi, sebbene li sapeste già a memoria, e dire un’Ave Maria per chi li ha scritti.

Io pregherò in modo speciale per tutti coloro che li leggeranno e che procureranno che siano letti da altri, affinchè tutti possiamo un giorno goderne il frutto nella beata eternità, per il quale unico fine vennero dettati e messi in luce. Così sia.

Preghiera per l'unità dei cristiani intorno a Pietro

Dal 18 al 25 gennaio di ogni anno la Chiesa propone ai cristiani una settimana di preghiera più intensa con l’auspicio che favorisca il dialogo e la riconciliazione. Riportiamo di seguito alcune riflessioni di San Josemaria Escriva in merito al dialogo ecumenico, con alcuni spunti per la preghiera personale.

8 giorni = 8 preghiere per l’unità
Fammi tutti i giorni una preghiera per questa intenzione: che tutti noi cattolici siamo fedeli, che ci decidiamo a lottare per essere santi.
— È logico!, che altro possiamo desiderare per coloro che amiamo, per coloro che sono legati a noi con il forte legame della fede?
(Forgia, 925)

Un cuore solo e un’anima sola
Chiedi a Dio che nella Santa Chiesa, nostra Madre, i cuori di tutti siano, come nella primitiva cristianità, un solo cuore, perché fino alla fine dei secoli si compiano davvero le parole della Scrittura: “Multitudinis autem credentium erat cor unum et anima una” — la moltitudine dei fedeli aveva un cuore solo e un’anima sola. Che per causa tua non venga lesa questa santa unità. Portalo alla tua orazione!
(Forgia, 632)

Perché tutti ha amato per primo 
Io venero con tutte le mie forze la Roma di Pietro e di Paolo, bagnata dal sangue dei martiri, centro di espansione per tanti che hanno propagato nel mondo intero la parola salvifica di Cristo. Essere romano non racchiude nessun significato di particolarismo, bensì di ecumenismo autentico; presuppone il desiderio di allargare il cuore, di aprirlo a tutti con l’ansia redentrice di Cristo, che tutti cerca e tutti accoglie, perché tutti ha amato per primo.
(Amare la Chiesa, 28)

L’unità del padre del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
Vorrei ricordarvi, per cominciare, queste parole di san Cipriano: «La Chiesa universale ci appare come un popolo che fonda la sua unità nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» [SAN CIPRIANO, De oratione dominica, 23; PL 4, 553].
(La Chiesa Nostra Madre, 1)

Comunione dei Santi
Ti sarà più facile compiere il tuo dovere se pensi all’aiuto che ti prestano i tuoi fratelli e all’aiuto che tu smetti di dar loro se non sei fedele.
(Cammino, 549)

Per tanti momenti della storia, che il diavolo si premura di ripetere, mi è sembrata una considerazione molto azzeccata quella che hai scritto sulla lealtà: «Porto tutto il giorno nel cuore, nella testa e sulle labbra una giaculatoria: Roma!».
(Solco, 344)

Unità e varietà
Ti stupivi perché approvavo la mancanza di “uniformità” nell’apostolato in cui lavori. E ti ho detto:
Unità e varietà. — Dovete essere diversi come diversi sono i santi nel cielo, ognuno dei quali ha le sue proprie note personali e specialissime. E, anche, dovete assomigliare gli uni agli altri come i santi, che non sarebbero santi se ognuno di loro non si fosse identificato con Cristo.
(Cammino, 947)

L’unione al Papa è unione a Pietro
La Chiesa è Apostolica per costituzione: «Colei che è veramente e si chiama Cattolica, deve assieme brillare per la prerogativa dell’unità, della santità e della successione apostolica. Così, la Chiesa è Una, con l’unità chiara e perfetta di tutta la terra e di tutte le nazioni, con l’unità della quale è principio, radice e origine indefettibile la suprema autorità e l’eccellente primato del beato Pietro, principe degli Apostoli, e dei suoi successori sulla cattedra romana. E non esiste un’altra Chiesa Cattolica, diversa da quella che, edificata sull’unico Pietro, si innalza per l’unità della fede e per la carità in un solo corpo coerente e compatto» 
(PIO IX, Lettera del S. Ufficio ai vescovi inglesi, DS 2888 (1686)). Contribuiamo a rendere più evidente agli occhi di tutti questa apostolicità, manifestando con squisita fedeltà l’unione al Papa, che è unione a Pietro. L’amore al Romano Pontefice deve essere in noi vibrante e appassionato, perché in lui vediamo Cristo. Se parliamo col Signore nella preghiera, acquisteremo uno sguardo limpido, che ci farà distinguere, anche negli avvenimenti che a volte non capiamo e che ci causano lacrime e dolore, l’azione dello Spirito Santo.
(La Chiesa Nostra Madre, 30)

Senza di me non potete far nulla
Con che meravigliosi accenti il Signore ha esposto questa dottrina! Moltiplica le parole e le immagini affinché possiamo comprenderlo, perché resti ben impressa nella nostra anima questa passione per l’unità: «Io sono la vera vite, e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie via; e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché frutti di più … Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può recare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» [Gv 15, 1-5].
(La Chiesa Nostra Madre, 20)

E non son più solo

Pubblichiamo di seguito alcuni versi che esprimono con la profondità della poesia la bellezza di ritrovarsi davanti al Santissimo Sacramento.

Entrar in chiese

con altari lucenti

degli sfarzi celesti

riccamente adornati.

 

Rimirar teca raggiante

su caldi lini poggiata

bianca ostia di pane

all’interno recante.

 

Nell’anima interiore

sentir, non pane,

ma vita pulsare

e l’amore parlare;

 

e salire, soffocata dai pensieri,

lenta preghiera impetuosa

che spezza d’un colpo

paura di vita affannosa.

 

Inondato da luce sublime

scoprire un Dio pieno d’amore

che mi chiama figlio…

e non son più solo.

(a.s.)

La divina e verginale maternità di Maria

Evento e segno nella storia e nell’anima

di Inos Biffi

La fede cristiana riflessa nei vangeli di Matteo e di Luca professa la divina e verginale maternità di Maria. Ignoriamo per quali vie storiche essa sia stata conosciuta, ma è indubbio che dagli inizi la Chiesa abbia la certezza che Gesù è stato concepito nel grembo della madre, senza che questa conoscesse uomo, ossia, secondo le parole dell’angelo a Giuseppe: «Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Matteo, 1, 20). Maria concepirà un figlio — «il Figlio dell’Altissimo», con la prerogativa di una signoria e di una regalità intramontabile — ma non sarà in virtù del «volere di carne, o del volere di uomo» (cfr. Giovanni, 1, 13); sarà invece Dio stesso a generarlo, grazie alla discesa in lei dello Spirito e alla potenza dell’Altissimo, che l’avvolgerà della sua ombra, a segnalare e garantire la sua presenza — come già la colonna di nube indicava la presenza e la gloria divina agli Ebrei nel deserto (cfr. Esodo, 13, 22).
Senza dubbio, la verginità di Maria è — per usare la distinzione di Agostino (In Ioannis Evangelium, 49, 2) — insieme un evento e un segno. Un evento, anzitutto, dalla consistenza reale. Solo una prevenzione ideologica lo potrebbe risolvere a pura finalità didascalica: prevenzione che porterebbe fatalmente al dissolvimento storico di Gesù stesso, riducibile alle dimensioni di una semplice figura umana decorata e addobbata dal mito. Privato della consistenza dell’evento il segno medesimo si dissolverebbe, per convertirsi in una fantasiosa invenzione.
D’altronde, non si comprenderebbe il valore della concezione verginale del Verbo di Dio, se non apparissero il suo senso teologico e la sua intenzione nel disegno salvifico.
Quanto avviene in Maria risale unicamente alla possibilità di Dio, a cui appartiene non solo di far germogliare la sterilità, ma di rendere feconda la verginità. Il grembo di Sara, arido e avvizzito, si ravviva e la sterile diviene fertile. Essa ride alla promessa che potrà partorire nella sua vecchiaia, ma Dio dice ad Abramo: «C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore?» (Genesi, 18, 11-14). Il caso si ripete per Elisabetta, la parente di Maria: «era detta sterile» e «nella sua vecchiaia ha concepito un figlio», sempre per la ragione che «nulla è impossibile a Dio» (Luca, 1, 36-37). La verginità di Maria è tutta relativa a Gesù: essa è l’epifania che egli è la Grazia; che l’uomo non concorre alla sua apparizione, ma lo ritrova come puro Dono di Dio. Così come assolutamente dono è il favore di Maria presso Dio, il suo essere voluta da sempre piena di grazia.
Di fronte al “consiglio” divino inatteso, ideato su di lei dall’Altissimo, Maria dichiara la sua totale disponibilità, professandosi la «Serva del Signore», nella linea del servizio reso all’Alleanza da Abramo, da Mosè, e dal Servo paziente di Isaia. La sua verginità sarà dedicata al compimento del mistero di Gesù Cristo, raggiungendo in tal modo una forma singolare di fecondità. Essa otterrà una soprannaturale pienezza, impossibile a una verginità naturale: toccata dall’energia della grazia, la verginità di Maria maturerà il Frutto benedetto.
Come, per altro, avviene di ogni verginità scelta per il Regno dei cieli (cfr. Matteo, 19, 12).
Non vi è nulla che induca a pensare a un voto di verginità da parte di Maria. Né la prospettiva verginale di Maria è quella che noi diremmo della consacrazione religiosa. Questo in certo modo è incluso.
La Parola di Dio annunziata dall’Angelo scombina, si direbbe, i propositi della vergine di Nazaret fidanzata a Giuseppe: Maria non si ritrae, ma pronunzia il «Sì» irrevocabile, che la associa al destino stesso di Cristo. Tutto, ormai, per lei avverrà secondo la Parola e quindi in relazione e comunione con la sorte del Figlio, accolta dalla fede della Madre.
Quindi l’onnipotenza di Dio, da un lato, e, dall’altro, l’affidamento di Maria, che non vedeva il progetto celeste ma lo credeva e lo accettava, avvolto nell’oscurità dell’improbabile secondo la natura, e, pure, saldamente fondato sulla certezza della promessa divina.
Elisabetta saluta Maria come Madre del suo Signore — per lei nel grembo della Vergine già abita Gesù nella sua signoria di Risorto glorioso e Figlio di Dio: «Signore mio e Dio mio», lo professerà l’apostolo Tommaso, reduce dalla sua incredulità (Giovanni, 20) — e la proclama beata perché ha creduto alla Parola della Promessa. Con particolare compiacenza sant’Ambrogio mette in luce il rifrangersi e il rinnovarsi mistico e quindi reale della concezione verginale di Gesù nella Chiesa e nelle «singole anime». Maria è considerata «il tipo della Chiesa» che come la Madre del Verbo è «immacolata e sposa» (Super evangelium secundum Lucam, ii).
Ma anche l’anima in cui viva lo spirito di Maria riceve e concepisce il Verbo di Dio. Infatti, «se una sola è stata la madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede tutti lo producono come frutto»; se l’anima, immacolata e immune dalle colpe, conserva la castità con «intemerato pudore» (ibidem).