Novena dell'Immacolata: 2° giorno

Il Signore è con te

«Non temere, Maria, il Signore è con te»

È consuetudine, nella Bibbia, ritrovare questa espressione quando Dio chiama qualcuno per affidargli un compito. La persona interpellata, chiamata, risponde quasi sempre con un’obiezione di questo tipo: “non ne sono capace, non ne ho la forza”. Il Signore non demorde dal suo intento e ribatte all’obiezione: “Io sono con te, non aver paura”. Con ciò Egli garantisce una forza supplementare alle capacità umane, un’assistenza interiore che non lascia sola la persona dandole la certezza che si può arrivare in fondo e raggiungere l’obiettivo anche se molto alto. Dinanzi a questa garanzia offerta, chi è chiamato non può rifiutare. Nella coscienza di Maria c’è il senso di inadeguatezza a questo grande disegno: “come è possibile che avrò un figlio, addirittura il Figlio di Dio?”. L’Angelo la rassicura e le spiega il disegno di Dio: il Signore, lo Spirito Santo è con Lei, la feconderà e la guiderà.

Le nostre relazioni dicono molto di noi stessi (un antico proverbio dice: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei): proprio le tipologie di persone con cui abbiamo a che fare e che abbiamo scelto come amici dicono chi siamo noi.

Gli amici di Dio hanno la possibilità di crescere e migliorarsi. Molti pensano che avere Dio con sé sia garanzia di successo nelle cose che si fanno o che si desiderano, quasi come un talismano o un portafortuna; poi le cose non vanno come si pensavano e si abbandona la vita di fede. Oppure si evita Dio e tutto ciò che lo riguarda perché è visto come Colui che vuole togliere la libertà, privarci della gioia di vivere. Avere il Signore con sé significa essere noi dalla Sua parte, sapendo che Lui ha scelto per primo di essere al nostro fianco: per crescere come veri uomini e vere donne perché Dio è più grande di noi. Chi è con Dio non ha garanzie di successo nelle cose che compie… ma avrà la gioia vera, la pace del cuore, la certezza di non vivere a vuoto. Così è stato per Maria.

Dio è con te, ma tu sei con Dio?

Impegno:

– nella mia giornata mi fermerò alcuni istanti e, rientrando in me stesso, dirò a Dio: Sii con me, Signore, stai al mio fianco. Fammi capire cosa è giusto fare e dammi la forza di compierlo.

Novena dell'Immacolata: 1° giorno

Ave Maria, piena di grazia
 
 
 «Rallégrati, piena di grazia»
 
Siamo all’inizio del Vangelo di Luca e nelle parole rivolte dall’Angelo a Maria troviamo le prime parole dell’Ave Maria. Rallegrati, le dice (tradotto nella preghiera con Ave). Maria è invitata ad essere nella gioia perché il Signore l’ha guardata, l’ha pensata da sempre per un grande progetto. In quel «rallegrati» i nostri occhi sono aperti alla conoscenza di Maria come creatura singola vergine amata e costituita senza macchia, in maniera unica per concepire il Messia-Figlio di Dio, nostra pace. Avrà avuto 15-16 anni, già donna per quei tempi, e farà un’esperienza così unica che resterà per sempre nella storia e nell’eternità: sarà fecondata dallo Spirito di Dio, concepirà Gesù. Non ha compreso molto Maria, di sicuro, ma la grande disponibilità del suo cuore alla voce di Dio le ha permesso di acconsentire, di dire di sì.
 
Anche noi siamo scelti dall’eternità, chiamati alla vita: nessuno di noi è venuto al mondo per caso: certamente c’è stato il concorso dei genitori ma la persona, chi siamo noi interiormente, è stata una scelta di Dio a volerla: ognuno di noi è unico al mondo. La gioia che viene annunciata a Maria viene annunciata anche a ciascuno di noi. Ripetendo oggi “Ave Maria, piena di grazia” proviamo a sentire nel nostro cuore queste parole, come se ci fossero rivolte direttamente dall’Angelo: «Rallegrati, perché sei amato, sei amata da Dio. Non guardare i tuoi limiti, le tue incapacità, i tuoi sbagli; guarda ciò che Dio può compiere nella tua vita se tu gli dici di sì, se ti rendi disponibile a collaborare al suo progetto di pace e di amore. Se vuoi, puoi sempre ricominciare. Anche tu puoi essere pieno/a di grazia, perché la grazia è lo Spirito Santo che ti è stato già dato in dono nel battesimo e che è nel tuo cuore, ti dà forza e ti dice: fa il bene, evita il male, ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze, ama il prossimo tuo come te stesso».
 
Impegno:
–          penserò allo sguardo bello che Dio ha su di me: mi ama!

Tempo di Avvento: celebrazione di Cristo che viene

Tra il “già” e il “non ancora”,

ogni giorno possiamo incontrare il Signore

di Alessandro Scaccianoce

Con la Prima Domenica di Avvento si apre per la Chiesa un nuovo anno liturgico, nell’arco del quale si rivive il mistero di Cristo e della Sua Chiesa.

Il clima spirituale che caratterizza il tempo dell’Avvento ruota attorno a due prospettive principali. Da una parte con il termine “adventus” (= venuta, arrivo) si è indica il ricordo della prima venuta del Signore nell’umiltà della carne; d’altra,  l’Avvento è evocazione della seconda venuta gloriosa di Cristo, alla fine dei tempi.

Il Tempo di Avvento ha quindi una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si celebra la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, l’Incarnazione di Dio che entra nella storia per dare senso e compimento alle attese di ogni uomo di ogni tempo;  contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso la memoria del Natale, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. 

Vi è anche un terzo aspetto da valorizzare in questo tempo di grazia: è la celebrazione del tempo presente come occasione di incontro con il Signore Gesù. Egli, infatti, non soltanto è venuto 2000 anni fa e di nuovo tornerà come giusto giudice, ma egli è Colui che continuamente viene, nella vita di ogni uomo, nella nostra storia, ci incontra attraverso le vicende liete e tristi della nostra esistenza, che non sono mere casualità, ma eventi, epifanie di Lui che si fa presente nella nostra vita.

Auguriamo a tutti i nostri lettori un proficuo tempo di grazia per imparare a scoprire ogni giorno i segni della presenza del Signore.

Davanti a Cristo Re dell'Universo: giudicati dall'Amore

 

di Padre Angelo del Favero, carmelitano

“A te, mio gregge, così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri” (Ez 34,11-12.15-17).

Sono passate solo tre settimane dalla festa dei Santi ed eccoli nuovamente schierati davanti ai nostri occhi, alla destra del Re, nell’ultima domenica dell’anno liturgico, solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Sono tutti coloro che si sentiranno dire: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Un quadro grandioso e glorioso, dal quale il Creatore non vuole escludere nessuno:“Questa è l’adozione dei figli di Dio, i quali in verità diranno a Dio ciò che lo stesso Figlio dichiara, in san Giovanni, all’eterno Padre: “Tutte le cose mie sono tue, e tutte le cose tue sono mie” (Gv 17,10)”: così lo descrive san Giovanni della Croce, aggiungendo che l’anima fedele “parteciperà della stessa bellezza dello Sposo nel giorno del suo trionfo, quando vedrà Dio faccia a faccia” (Cantico Spirituale B, 36, 5). Oggi, però, il quadro comprende anche la schiera dei “dannati”. Sono coloro che, chiamati a realizzare la felicità della vita nel dono sincero di sé, vivono (per così dire) nel continuo “danno” di sé, poiché “fanno morta” la propria persona non volendo riconoscere né mettere in pratica il comandamento dell’amore: “tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non lo avete fatto a me” (Mt 25,45). Quella del Vangelo di oggi è una specie di immensa “fotografia di gruppo”, consegnata ad ognuno affinché scelga responsabilmente fin d’ora a quale delle due schiere del giudizio intende appartenere: quella degli eternamente vivi alla destra del Re, o quella dei morti per sempre alla sua sinistra. Perciò non illudiamoci: l’appartenenza benedetta delle pecore è un dono legato al compito quotidiano di una fedeltà chiamata a resistere “fino al sangue, nella lotta contro il peccato” (Eb 12,4), per la quale abbiamo “solo bisogno di perseveranza, perché, fatta la volontà di Dio, otteniamo ciò che è stato promesso” (Eb 10,36). Ma neppure disperiamoci: se riconosceremo pentiti il nostro cattivo odore di capri e cominceremo a fare le opere dell’amore, il “profumo di Cristo” (2 Cor 2,15) ci inebrierà per l’eternità. E tali opere le possiamo fare realmente poiché non ci manca l’aiuto determinante della divina Misericordia, la quale vuole: “che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Ma allora ci domandiamo: che significa vivere fin d’ora alla destra del Re? In altri termini: in cosa consiste essenzialmente la santità? La santità consiste nella perfezione dell’amore, ma l’amore può essere praticato in molti modi, secondo le varie personalità e circostanze. San Paolo lo afferma implicitamente quando, parlando della trasformazione totale dell’uomo nella risurrezione finale, dice che “ogni stella differisce da un’altra nello splendore” (1 Cor 15,41). Paolo intende qui una diversità permanente nello stato glorioso definitivo. Per questo, sebbene i martiri nei primi tempi della Chiesa fossero considerati come i veri cristiani e santi, si ammise poi che potevano esserci anche altri modi di “morire a se stessi”, che esigevano essenzialmente le stesse virtù ammirate nei martiri. E’ così che attraverso la contemplazione dell’opera salvifica di Cristo, personificata nei suoi santi, i credenti sono ricondotti al mistero fondamentale della santità cristiana, che è in persona lo stesso Signore Gesù Cristo. Ancora Paolo, infatti, rivela che: “E’ in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza” (Col 2,9). Con la loro morte, i martiri e tutti i santi testimoniano l’incredibile mistero della fede. In tal modo, nel Figlio incarnato quella santità che per gli ebrei solo Dio poteva possedere e comunicare, viene resa accessibile a tutti gli uomini, che ne vengono santificati. I cristiani sono “santi” per il loro rapporto con Colui che è il Santo per eccellenza, “dalla cui pienezza noi tutti abbiamo ricevuto” in dono e compito la santità battesimale (Gv 1,16). La vita dei santi è una dimostrazione continua della nostra collaborazione con la grazia divina. Spesso i biografi dimenticano che la santità è una conquista graduale, e omettono o riducono al minimo le testimonianze della lotta interiore sostenuta dalla debolezza dei santi, con le loro cadute e il loro continuo rialzarsi. In fondo, il primo di quelli alla sua destra a cui il Re dirà “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34), è il malfattore che fu crocifisso con Lui sul Calvario (Lc 23,33.43).