Povertà e ricchezza nella Chiesa

Di fronte alla profetica testimonianza di Papa Francesco, che sin dalla prima ora del suo Pontificato ha richiamato tutta la Chiesa e tutto il mondo al valore della povertà e dell’essenzialità, pubblichiamo questa preziosa riflessione per cercare di evitare alcune derive pauperiste e iconoclaste che stanno caratterizzando alcuni commentatori.  

“Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici di venerare sopra ogni cosa il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo e i santi nomi e le parole di lui scritte che consacrano il corpo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere PREZIOSI. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo PREZIOSO, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione”.

San Francesco d’Assisi, Prima Lettera ai Custodi
(Fonti Francescane, 240-244)

di Corrado Gnerre

Perché la Chiesa che predica la povertà è tanto “ricca”? Ci sono almeno 4 considerazioni che si possono portare a chi muove ai cattolici questa critica, riflettendo su quel che veramente significano nella Chiesa “povertà” e “ricchezza”.

Una delle questioni che più frequentemente vengono proposte nelle ore di religione cattolica o negli incontri di catechesi è quella riguardante la cosiddetta “ricchezza” della Chiesa. Ma è mai possibile – si chiede solitamente – che la Chiesa possegga tanta ricchezza pur predicando la povertà?
E allora è bene chiarire alcuni punti per saper rispondere a questo interrogativo, che – come abbiamo già detto – è molto diffuso.
Divideremo il discorso in quattro punti:
1) la povertà non va confusa con il pauperismo;
2) la Verità non può essere separata dalla bellezza;
3) la ricchezza della Chiesa… non è della Chiesa;
4) la Chiesa non è del mondo, ma è nel mondo.

La povertà non va confusa con il pauperismo

Iniziamo con il primo punto. Prima di tutto va detto che la povertà non può essere confusa con il pauperismo. La povertà è un valore che deve essere tenuto in considerazione da tutti i cristiani. Tutti sono tenuti ad essere “poveri”, perché la povertà è rapportarsi nel modo corretto ai beni materiali, nel senso che questi beni non possono e non devono essere considerati “fini”, ma solo “mezzi”. Nelle Beatitudini (cf Lc 6) Gesù chiama i poveri «beati», mentre dice: «Guai a voi, ricchi». Ebbene, quella povertà e quella ricchezza non devono essere pensate in senso economico. Il “povero”, evangelicamente, non è colui che non possiede nulla, quanto colui che, pur possedendo, sa che quella ricchezza va considerata solo come mezzo per praticare il bene e avvicinarsi a Dio. Invece il “ricco”, in senso evangelico, non è colui che necessariamente possiede, bensì colui che è tanto pieno di sé da non saper far posto a Dio nella sua vita. Paradossalmente, se uno ha in tasca diecimila euro, ma fa di questa cifra non il fine della sua vita, ma un mezzo per praticare il bene, costui non è un ricco ma un povero. Se invece uno ha in tasca solo un euro, ma fa di questo misero euro il fine della sua vita, addirittura dichiarandosi disposto a calpestare anche la Legge di Dio pur di aumentare la sua “ricchezza”, costui non è un povero ma un ricco. Certo, è indubbio che chi possiede molto, più facilmente sarà tentato nell’orgoglio e nella presunzione; chi invece possiede di meno, più facilmente sceglierà l’umiltà e la semplicità; ma di qui a rilevare un automatismo ce ne corre.
Inoltre, come abbiamo accennato prima, va detto che non si può confondere la povertà con il pauperismo. Quest’ultimo è la povertà economica a tutti i costi. Ma ciò è lontano da una corretta prospettiva cristiana. Prendiamo san Francesco d’Assisi, prototipo della vera povertà. Questo grande Santo ci teneva a far capire ai suoi frati che la strada della loro povertà doveva essere considerata come una delle tante per arrivare in Paradiso, ma non l’unica strada. La necessaria strada per chi sceglieva la loro vita, ma non per gli altri. Tanto è vero che chi, tra i francescani, la pensò in maniera difforme dal Serafico Fondatore, finì con l’uscire dalla Chiesa e morire eretico.

La Verità non può essere separata dalla bellezza

Citiamo nuovamente san Francesco d’Assisi. Questo grande Santo pretendeva la massima povertà per i suoi frati, ma il massimo splendore per gli edifici ecclesiastici. Egli diceva che le chiese dovrebbero essere adornate di oro e di argento tanto è la Grandezza che contengono, ovvero il Santissimo Sacramento. I paramenti liturgici, che le clarisse del tempo di san Francesco cucivano, erano adornati di oro zecchino, perché così voleva il Serafico Padre. La bellezza, infatti, deve significare la Verità: “La povertà si ferma ai piedi dell’altare” (San Francesco d’Assisi). La Verità deve essere significata dalla bellezza. E la bellezza è anche maestosità, è anche “ricchezza”.
Nel Vangelo di San Giovanni (capitolo 12) vi è un episodio che per questa questione dice tutto: «Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: “Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?”». L’Evangelista aggiunge che Giuda disse così non perché gli interessassero i poveri, ma perché era ladro e voleva frodare ciò che vi era in cassa. La risposta di Gesù è chiara: «Lasciala fare […]. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Dunque, ci sono dei momenti in cui bisogna donare agli altri, ma ci sono anche dei momenti in cui bisogna sottolineare con la ricchezza la grandezza del divino.
La bellezza ingentilisce gli animi, aprendoli anche alla sensibilità e quindi alla comprensione verso il prossimo. Creare bellezza è un atto di amore doveroso nei confronti di Dio. Voglio rendere partecipi i lettori di una considerazione che un grande storico cattolico, il compianto professor Marco Tangheroni (pisano doc), fece anni fa ad alcuni di noi. Egli ci raccontò che a Pisa, prima che costruissero la celeberrima Piazza dei Miracoli con il Duomo, il Battistero e il famosissimo Campanile (che poi è diventato la conosciutissima Torre Pendente) mancavano le fogne. Il popolo pisano, però, preferì costruire prima la Cattedrale e poi eventualmente pensare alle fogne. La scelta fu certamente imprudente… ma di grande generosità verso Dio. Verrebbe da pensare: ma che forse la Provvidenza abbia voluto ripagare la grande generosità dei Pisani del tempo? D’altronde, a differenza di altre città toscane, a Pisa se si toglie la Torre Pendente e Piazza dei Miracoli non rimane granché. Quella città è divenuta famosa in tutto il mondo per un fatto misterioso: il cedimento del terreno che ha permesso al Campanile non di schiantarsi al suolo, ma di rimanere sorprendentemente inclinato. E si badi: allora i sondaggi geologici li sapevano fare eccome… se è vero, come è vero, che tutto ciò che di grande costruivano è giunto intatto fino a noi malgrado molteplici terremoti.

La ricchezza della Chiesa… non è della Chiesa

In realtà la ricchezza della Chiesa non è della Chiesa. La ricchezza della Chiesa consiste soprattutto nelle opere d’arte, che, non solo non sono alienabili (nel senso che sono invendibili), ma che esistono grazie soprattutto alla generosità dei fedeli. Proprio dalle colonne di questo Settimanale lessi di un episodio capitato nell’Emilia del dopoguerra, gli anni del grande scontro fra cattolici e comunisti. Ebbene, in una cittadina del cuore dell’Emilia vi fu un convegno organizzato dall’allora partito comunista. Tra i relatori vi era un professore (ovviamente comunista) che iniziò ad attaccare la Chiesa soprattutto per una sua presunta ricchezza tenuta per sé senza darla ai poveri. Tra il pubblico vi erano due colti sacerdoti che cercarono di prendere la parola per fare da contraddittori, ma aggravarono la situazione perché intervennero utilizzando un linguaggio troppo teorico e teologico, così la gente che assisteva, semplice ed ignorante, non riuscì a capire. Provvidenza volle però che prendesse la parola anche un semplice parroco, che in dialetto parlò ai presenti. Egli si limitò a raccontare agli abitanti di quella cittadina un fatto accaduto anni fa e che tutti ricordavano molto bene. Si trattava di un operaio comunista, ateo, al quale si ammalò gravemente l’unica figliola. La moglie, ch’era credente, decise di chiedere alla Vergine, a cui era dedicato un famoso Santuario del posto, la grazia della guarigione. Il miracolo ci fu: la bambina guarì. L’operaio, allora, volle andare dal miglior gioielliere della città per far realizzare un bellissimo ex-voto d’oro. Il lavoro fu eseguito e l’uomo lo portò al rettore del Santuario. Però, dopo pochi giorni, l’operaio, passando dinanzi alla gioielleria, vide esposto in vetrina l’oggetto che aveva commissionato e consegnato al Santuario. Impazientito, chiese spiegazioni. Gli fu detto che il rettore lo aveva messo in vendita per costruire un oratorio per i fanciulli. L’uomo, giustamente, andò su tutte le furie: «Ecco, noi regaliamo alla Madonna… e i preti rivendono ciò che regaliamo!». E aveva ragione. Per quanto fosse buona l’intenzione del sacerdote, egli non poteva rivendere ciò che un fedele aveva regalato direttamente alla Vergine. Bastò il ricordo di questo episodio, perché tutti i presenti capissero il vero significato delle tante ricchezze della Chiesa.

La Chiesa non è del mondo, ma è nel mondo

È vero che il cassiere era Giuda Iscariota (perché evidentemente una certa inclinazione la doveva avere), ma Gesù stesso volle che gli Apostoli avessero una cassa. E ciò perché l’evangelizzazione, pur non essendo del mondo, avviene nel mondo. Se la Chiesa non avesse un’autonomia economica, dovrebbe dipendere da qualche realtà mondana. Ma, se così fosse, non sarebbe più libera nei suoi giudizi. Un piccolo esempio: un conto è se si ha un proprio stipendio, altro se si dipende totalmente da qualcuno che dà da mangiare e da bere. Nel secondo caso, se ci si dovesse accorgere che colui da cui si dipende è un poco di buono, potrebbe subentrare facilmente la tentazione di chiudere entrambi gli occhi convincendosi: se chi mi dà da vivere andrà in galera, chi mi sosterrà? Penso che come esempio sia abbastanza convincente.

articolo pubblicato su “Il Settimanale di Padre Pio”

EXTRA OMNES

di Alessandro Scaccianoce

Ci siamo.

E’ il momento di mettere a tacere le voci, le chiacchiere, le previsioni, le opinioni e i sondaggi. Fuori tutti e tutto. E’ il momento della coscienza. Con l’avvio del Conclave i Cardinali si ritrovano in un contesto isolato e schermato, che mantiene ben lontane le voci del mondo, per poter esprimere la propria preferenza in piena coscienza. Nessun altro tra loro e Dio. La claustrazione vuole salvaguardare la loro indipendenza: nessuna influenza o interferenza. Perché la loro responsabilità è gravissima!

Extra omnes! La plurisecolare sapienza della Chiesa, infatti, ha compreso bene che l’elezione del Vicario di Cristo non può che essere compiuta in un contesto di clausura, in cui non si dimenticano per questo le necessità del momento presente, ma si vivono con un ragionevole distacco che consente di analizzare e valutare ciò che davvero è prioritario.

Extra omnes! Nel silenzio della coscienza riecheggiano nella Cappella Sistina le attese e le speranze della Chiesa e dell’umanità intera. A porte chiuse, al riparo dal mondo, per una decisione che sia per il bene del mondo. Ci consola sapere che tanto chiacchiericcio adesso si mette a tacere. Le discussioni e i dibatiti non servono più. L’opinione pubblica, mediatica, non ha più alcun valore. Ci sono decisioni, come questa, che vanno assunte con meditazione da una coscienza pura e purificata. Anche Gesù, prima di scegliere i suoi collaboratori, si ritirò sul monte in disparte a pregare. Non fece un sondaggio.

Extra omnes! Anche per noi, che ci siamo appassionati in questi giorni alle previsioni, indagando sui profili biografici dei papabili, è il momento di lasciare tutto fuori… di fare spazio al silenzio. E alla preghiera. Perché non c’è niente di meglio da fare, per preparasi ad accogliere il nuovo Papa che tra poche ore si affaccerà dalla Loggia centrale della Basilica Petrina.

Non sappiamo chi sarà e come sarà il nuovo Papa, anche se  conoscessimo fino in fondo le pieghe della sua biografia. Non dovrà compiacere il mondo, ma continuare a mostrare la bellezza di Cristo e del Vangelo. Sappiamo che da quel momento si inizierà a scrivere una nuova storia. Per lui e per la Chiesa.

Solo a quel punto si riapriranno le porte. Sarà il tempo della Pentecoste.

 

 

Riflessioni sulla Sede vacante… il Sabato Santo della storia

di Alessandro Scaccianoce

Una finestra chiusa. Un portone, più grande, chiuso. L’altoparlante di piazza San Pietro non riecheggia più la sua voce. Il Papa non c’è. Nella Messa il suo nome non risuona più. La Sede è vacante, ci spiegano tutti i media.

Cosa significa per la comunità cristiana che la Sede è “vacante”, vuota? L’immagine utilizzata solitamente è quella della “Nave senza nocchiero”. Ma la sensazione che suscita quest’atmosfera può essere paragonata anche a quelle quaranta ore vissute dalla comunità degli Apostoli dopo la morte del Signore Gesù

“Credevamo fosse lui il salvatore d’Israele” (Lc 24,21), commentavano i due discepoli che da Gerusalemme facevano ritorno ad Emmaus, dopo la festa di Pasqua. Speranze disattese, desiderio di libertà e di verità frustrato. Tra le difficoltà che la Chiesa vive in questo momento è facile intuire i sentimenti che furono di quei due discepoli. Perché – potremmo chiederci sulla scia di quegli uomini profondamente rammaricati per l’atroce dramma consumato sul Calvario – il Papa non è rimasto al suo posto a risolvere i problemi della Chiesa? Credevamo fosse lui l’uomo giusto per rimettere tutto a posto…

Ma in questo panorama, che dal nostro punto di vista può apparire umanamente desolante, si innesta la speranza di un grande e profondo rinnovamento. In quest’ora di silenzio e di attesa, come nel Sabato Santo, possiamo stare a rimuginare sui nostri calcoli disattesi, o su quale sarebbe stata la scelta migliore. Oppure possiamo vivere la certezza fiduciosa con cui la Vergine Maria visse quelle ore

Il Risorto è alla porta. Entrerà a porte chiuse, ma spalancherà le finestre. E’ il modo sorprendente di agire di Dio.

Il Papa non abbandona la Chiesa, segue Cristo

Giovedì prossimo in Basilica Santuario si terrà la Veglia di preghiera per la Chiesa e per il Papa: “NON PREVALEBUNT”. Una celebrazione solenne che ripercorrerà i più grandi insegnamenti di Benedetto XVI, a partire dalle sue tre grandi lettere encicliche, scandita dalle invocazioni alla Madonna scritte dal Papa, e che culminerà in una grande preghiera di intercessione.  

Per chi fosse interessato, è possibile richiedere il testo della Veglia scrivendo alla nostra Redazione.

Di seguito alcune riflessioni sul Papa, a partire dal grande omaggio che gli è stato tributato dai fedeli domenica scorsa in piazza San Pietro per l’ultimo Angelus pubblico.

di Alessandro Scaccianoce

L’ultimo Angelus di Benedetto XVI ha toccato il cuore dei credenti. Poche parole, ma incisive, gesti semplici. Con la sua mitezza e il tono delicato Papa Ratzinger ha infine fatto breccia tra i fedeli, che si sono affezionati a lui. Non sembra essersi curato molto delle molte cattiverie dette al suo riguardo sin dal giorno della sua elezione al soglio di Pietro: è stato dipinto come il “Pastore tedesco”, il Papa nazista, ultraconservatore, retrogrado. Critiche pesanti anche sul suo Magistero: dal discorso di Ratisbona alla questione sull’uso del profilattico per la prevenzione del’AIDS. Temi sui quali ha dimostrato sempre di avere detto solo e soltanto parole di verità. Anche sul tema dello scandalo-pedofilia qualcuno ha voluto ipotizzare una sua responsabilità, imbastendo congetture. Qualche giornalista avrebbe voluto arrivare a colpire persino l’onorabilità del fratello del Papa, andando a rimestare fatti relativi al coro diretto da Georg Ratzinger.

Per non dire delle critiche più inconsistenti di chi ha immaginato che il Papa vestisse scarpe Prada… La potente lobby gay in questi 8 anni di Pontificato di Benedetto XVI ha manifestato pesanti critiche, contestando l’insegnamento del Papa in materia di famiglia naturale.

Un fuoco incrociato che tuttavia non sembra aver sfiorato il Santo Padre. Lo abbiamo visto, domenica scorsa all’Angelus, sorridente, sereno. E’ la roccia che non crolla, perchè fondata sulla pietrà angolare, Cristo. In quel volto pacato e sereno abbiamo visto il compimento della profezia indicata dal salmo 90:

Non temerai il terrore della notte
né la freccia che vola di giorno,
la peste che vaga nelle tenebre,
lo sterminio che devasta a mezzogiorno.

Mille cadranno al tuo fianco
e diecimila alla tua destra,
ma nulla ti potrà colpire.

Ci sono voluti 8 anni perché la gente pian piano imparasse ad apprezzare il suo stile e il suo insegnamento. Non si è mai curato delle logiche del mondo, non ha mai cercato successi e consenso facile. Ha perseguito la verità.

E la verità vince sempre. Perchè è la realtà della Fede. Se ne sono accorti in tanti. Adesso. Benedetto XVI ha servito la Chiesa, come ha saputo, come ha potuto. Obbedendo solo e soltanto al Signore. Questa obbedienza si è manifestata fino a questa decisione radicale, sconvolgente.

Non è lui che lascia. E’ il Signore che gli ha chiesto di servire la Chiesa in modo diverso, salendo sul monte della trasfigurazione. Ancora una volta, non il primato dei calcoli umani, ma il primato di Dio, che parla alla coscienza.

In questa sua OBBEDIENZA al Signore è possibile comprendere come il suo gesto non sia antitetico rispetto alla scelta di Giovanni Paolo II, che rimase sul soglio di Pietro fino alla morte. Il criterio per valutare e giudicare i nostri amati Pontefici, infatti, non è la rispondenza ai nostri criteri e alle nostre valutazioni, ma la loro OBBEDIENZA a Cristo.

La nostra gratitudine per questa straordinaria testimonianza umana e di fede in queste ore è segnata anche dall’umana  tristezza perché in ogni caso, per quanto il suo successore proseguirà nel cammino intrapreso, certamente ci mancherà la sua umanità, la sua mitezza, il suo insegnamento mite e forte, l’esemplarità del suo amore alla liturgia in cui ha reso evidente tutta la sua vita spirituale. Uomo di ragione e di fede.

Benedetto XVI non abbandona la Chiesa. Lo ha detto puramente e semplicemente, domenica scorsa, spazzando via in un un attimo tutti i pettegolezzi e le recriminiazioni degli osservatori e degli opinionisti di turno.

Per noi la consolazione di sapere che ancora una volta la Chiesa è nelle mani del Signore.

Con la folla di piazza San Pietro anche noi ripetiamo:

Grazie, Santo Padre, ci mancherai!

 

Auguri… con uno sguardo positivo sulla realtà!

Pubblichiamo di seguito l’omelia di un nostro caro amico sacerdote per l’inizio del nuovo Anno Civile. In poche parole, a tratti anche poetiche, Don Giacomo ci invita a sperare, a riaccendere in noi il desiderio di progredire e di crescere in umanità.

di Don Giacomo Pezzuto

DB-f37v-mTe Deum Laudamus … ti lodiamo Signore, perché questo è il momento delle lodi. E’ il momento dei ringraziamenti … ma cosa ci sarà da ringraziare? I media ci educano ad immagini catastrofiche, sciagure, guerre, tanto sospetto e tanta diffidenza.

Ma come si fa a guardare al futuro della vita se tutti ci dicono, che dalla vita non abbiamo più nulla da aspettarci?

Una vita fatta di rassegnazione, noia e cinismo!

Come bloccati da ganasce che ci stritolano e ci asfissiano, finiamo per considerare normale non attendere nulla, non sperare niente, non alzare lo sguardo… per serrare il passo e guadagnare la vetta tanto anelata.

Come compressi in un cappio che stringe la presa ad ogni tentativo di libertà, finiamo per irridere e sospettare di ogni voce ottimista.

Ma a noi… tagliole e cappi non fanno paura, perché sappiamo che lamadre-di-dio-in-trono-r struttura originaria del nostro “essere” è il desiderio, è l’attesa … la nostra disposizione è il cambiamento… siamo fatti per migliorare, siamo fatti per le cose grandi, siamo creati per l’infinito!

E questa verità nessuno può strapparcela di dosso!

 In questi giorni la Chiesa non smette di accompagnarci ad uno sguardo positivo sul reale, sulla nostra vita e sulla vera identità dell’uomo.

Perché l’annuncio di letizia e di speranza che continua a risuonare nel Natale parla ad ognuno di noi, si rivolge al nostro “io” e desidera ridestare tutta la nostra umanità, sfidando ogni scetticismo ed ogni sfiducia.

Tutte le circostanze: favorevoli o sfavorevoli; tutti i rapporti: difficoltosi o lieti, hanno la capacità di riaccendere la grandezza che c’è in ogni uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio, nel quale alberga quella scintilla di divino, che si risveglia ogni qualvolta apriamo il cuore a Cristo.

Quella scintilla di divino, che si risveglia ogni qualvolta apriamo il cuore a quell’Infinito che, desiderato da ogni uomo, si è fatto “finito” perché ogni uomo potesse farne esperienza.

Ecco perché ancora celebriamo il Natale: perché si rinnovi in ognuno di noi quell’abbraccio che compie ogni nostra attesa e che, ultimativamente, tutti desideriamo e riveliamo in ogni progetto ed in ogni opera della nostra quotidianità.

Te_Deum_laudamusEcco perché nella ultima celebrazione dell’anno tutti i cristiani recitano il “Te Deum”: per ringraziare di ogni istante vissuto, nel quale: lieto o triste, quella presenza di Cristo si è resa viva.

Viva come duemila anni fa, ancora oggi, nel nostro tempo e nel nostro spazio.    

Ecco perché nella celebrazione del primo giorno dell’anno recitiamo la preghiera del “Veni Creator Spiritus”: Vieni Spirito Creatore … perché riconosciamo che solo la Grazia che ci ha creato è all’altezza di sostenere tutta la sfida di un futuro… forse, umanamente incerto, ma in grado di far vibrare ogni battito del nostro cuore.

Per questo motivo, oggi a maggior ragione, le più belle parole per augurarvi buon anno sono proprio quelle che terminiamo ogni omelia:

Sia lodato Gesù Cristo!

Maria Immacolata, Madre di Misericordia!

Nel contesto del Novenario all’Immacolata 2012, Padre Apollonio dei Francescani dell’Immacolata spiega che non c’è giustizia senza Misericordia e perché Maria è Avvocata e Rifugio di tutti i peccatori.

virgin+doves-immaculate+conceptiondi P. Alessandro M. Apollonio, FI

San Massimiliano Maria Kolbe, come sant’Alfonso Maria de’ Liguori e tanti altri Santi, non esitava ad affermare che Gesù ha riservato a sé la Giustizia ed ha affidato a Maria l’intera economia della Misericordia.
Suor Faustina Kowalska, contemporanea di san Massimiliano, con le sublimi rivelazioni dell’amore misericordioso di Cristo, ci aiuta ad interpretare bene tale espressione dei Santi, e a rimuovere definitivamente dal nostro immaginario l’idea distorta di un Gesù “implacabile giustiziere”.
In verità, Giustizia e Misericordia sono perfezioni che competono in massimo grado a Cristo Signore, il quale, nella sua infinita sapienza, ha stabilito di esercitare sia la giustizia, sia la misericordia attraverso dei mediatori a lui subordinati. La giustizia è esercitata, sulla terra, tramite il potere delle Chiavi che Cristo ha affidato a san Pietro (Mt 16, 19), ai suoi successori canonicamente eletti ed ai Vescovi in comunione con essi.
La misericordia, d’altra parte, non discende sul Corpo Mistico di Cristo se non per la mediazione di Maria, la Madre di Cristo e del suo Corpo Mistico, che è la Chiesa. Poiché il potere delle Chiavi, non è solo di “legare” ma anche e soprattutto di “sciogliere” (cfr Mt 18, 18), anch’esso è intriso di Misericordia e, dunque, partecipato dalla madre della Misericordia.
La dimensione mariana precede, nella Chiesa, quella petrina, anche per quanto concerne il potere delle Chiavi, perché la facoltà di “rimettere i peccati” (cfr Gv 20, 19-22), in cui si risolve l’aspetto misericordioso di detto potere, è dono di Cristo, per la mediazione dei Colei che è senza peccato.
Non c’è Misericordia, infatti, nella presente economia della salvezza, se non attraverso il sacramento del perdono, per mediazione di Maria. Quando però il peccatore non si pente, e rifiuta così la Misericordia di Dio, gli rimane da scontare le esigenze della giustizia. Anche il sacramento della riconciliazione, dato da Cristo per il perdono, di fronte al peccatore impenitente, non può concludersi se non con la negazione del perdono stesso.
La negazione del perdono è un atto di giustizia, esercitato dal sacerdote sull’autorità conferitagli da Cristo, e consegue sempre al rifiuto della Misericordia da parte del peccatore impenitente. Ma rifiutare la Misericordia è rifiutare la Madre della Misericordia, la Vergine Maria, la quale viene ad essere perciò esclusa dal giudizio di condanna. Se rifiutiamo la Madre della Misericordia, come potremmo ottenere Misericordia?
Se non accettiamo la sua mediazione di Misericordia, chi ci salverà, visto che Cristo, Giudice giusto e misericordioso, a Lei ha voluto affidare l’intera economia della Salvezza? Non si tratta di andare da Maria perché Gesù è più severo di Lei. Si tratta, invece, di affidarsi a Maria perché Gesù misericordioso l’ha costituita Avvocata e Rifugio di tutti i peccatori, e solo se si rifiuta questo grande dono di Misericordia, egli può diventare giudice severo.
Per qualcuno potrebbe sembrare contraddittorio assommare nella stessa persona di Cristo la massima giustizia e la massima Misericordia. In verità le due perfezioni sono perfettamente compatibili ed armoniche (cfr Giovanni Paolo II, Dives in misericordia), perché la Misericordia dev’essere concepita come il perfezionamento della stessa giustizia.
Se la giustizia è dare a ciascuno ciò che gli è dovuto, ossia premiare i buoni e castigare i cattivi, secondo i loro meriti, la Misericordia fa sì che prima del castigo degli empi si dia loro la possibilità del pentimento e della riparazione, a cui consegue il perdono della colpa e la remissione della pena.
Si potrebbe dire che la Misericordia è il modo paziente e longanime di esercitare la giustizia, e che la stessa giustizia è finalizzata alla Misericordia, perché Dio non gode per la rovina dei, viventi (cfr Sap 1, 13); Dio stesso, per mezzo del profeta Ezechiele, ci rivela: Forse che io ho piacere della morte del malvagio dice il Signore Dio o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? (Ez 18, 23).
Se, dunque, la giustizia è premiare i buoni e punire i cattivi in base alle loro opere, la Misericordia dà la possibilità anche ai cattivi di compiere delle opere buone, ossia di pentirsi e riparare, e così meritare in qualche modo il perdono e la remissione. La Misericordia sarebbe contro la giustizia se fosse perdonata la colpa del peccatore impenitente, e condonata la pena senza richiedere l’impegno a riparare il danno compiuto.
Ma non è questa la Misericordia di Dio. La Misericordia, infatti, richiede il pentimento del peccatore, senza del quale non ci può essere la remissione della colpa: Se non farete penitenza perirete tutti allo stesso modo (Lc 13, 5); richiede anche la riparazione del danno, senza della quale non ci può essere la remissione della pena temporale: altrimenti si paga fino all’ultimo spicciolo (cfr Lc 12, 59).
In conclusione, visto che siamo tutti peccatori davanti a Dio, e non c’è giustizia su questa terra senza la sua Misericordia, invochiamo con fiducia la nostra Mater Misericordiae, affinché possiamo sempre trovar misericordia presso il Giusto Giudice, e poter entrare grazie all’intercessione di Lei nella vita beata del nuovo cielo e della nuova terra.