La Libia dimentica la morte e celebra la speranza

di Simone Chiappetta

Senza scandalizzarsi è gioia, poco più a sud dell’Italia, per la cattura e uccisione di Mu’ammar Gheddafi

Clacson che suonano a festa, centralini telefonici impazziti, gente per strada con bandiere e striscioni. Non è la festa per una partita di calcio, ma l’entusiasmo per la fine di una dittatura.
Certo, suona strano lo schiamazzo di gioia accanto ai primi fermo-immagine che girano in rete del volto insanguinato di Mu’ammar Gheddafi, poco prima della sua morte. Suona strana l’esultanza libica, quasi ignara degli interessi “stretti” nel gemellaggio occidentale, ma suona ugualmente strano non immaginarsi cosa voglia dire per un popolo “schiavizzato” all’obbedienza del regime, respirare aria di libertà, cominciare a sperare in un futuro diverso.
La stessa sensazione è leggibile nelle parole dei cattolici di Tripoli: «è la fine di un incubo – racconta al SIR padre Alan Archebuche, direttore di Caritas Libia – Da più di un’ora la gente esulta per le strade, ci sono caroselli di gioia, spari in aria. Anche qui arrivano notizie contrastanti, alcuni dicono che è stato ferito alle gambe, altri che è stato ucciso, ma la gente sta festeggiando. Se la notizia è vera è molto positiva, perché aiuterà a normalizzare la situazione e a cominciare una nuova vita, a stabilire un nuovo governo democratico, che non sarebbe stato possibile prima, senza la cattura di Gheddafi».
Nessuna parola di misericordia, nessuna battuta di tristezza, ma solo la nota positiva di una storia così triste che non ha più lacrime per la morte, che non ha più pietà per il dolore. Una storia che ha cancellato per un momento la tristezza per le perdite e celebra la gioia della “risurrezione”. Sembra di sentire le parole evangeliche delle donne che tornano dal sepolcro quando padre Archebuche continua affermando: «sono molto contento, ora speriamo di poter cominciare una nuova vita».
Niente scandali, niente volti infastiditi dai sorrisi, niente ipocrisie cristiane. Non siamo in Libia e abbiamo solo immaginato la carica disumanizzante di una tirannia. E la distanza da quello“Yawp” – direbbe il protagonista dell’Attimo Fuggente – dal quel grido interiore singolare la fa proprio la geografia. «Di fronte alla morte di un uomo – precisa quasi a dimostrazione delle mie sensazioni monsignor Tommaso Caputo, nunzio apostolico in Libia, ma che libico evidentemente non è – debbono sempre prevalere i sentimenti di pietà cristiana, oltre che umana. Non si può quindi gioire per un epilogo, la morte del colonnello Gheddafi, che s’inquadra ancora nel segno di un conflitto protrattosi per un lungo periodo e che ha causato il sacrificio di molte vite umane. Nel momento in cui si pone mano alla ricostruzione del Paese, a tutti i livelli – prosegue -, a cominciare dall’assetto statale, l’obiettivo di una riconciliazione nazionale appare come la possibilità alla quale legare l’esigenza di una giustizia sociale e del rispetto della dignità di ogni persona, come premesse essenziali per un ordinato ed equo sviluppo sociale».

Nella Diocesi di Catania in preghiera per la Pace sulle orme del Papa

Un impegno comune per la pace

Invitate le aggregazioni ecclesiali

Redazione SME

Si terrà a Catania il 26 ottobre prossimo  una Giornata di riflessione, dialogo e marcia per la pace nel mondo a 25 anni dall’ incontro di Giovanni Paolo II con i leader religiosi di tutto il mondo. Il programma sarà il seguente: Ore 20.00, Chiesa San Biagio – Piazza Stesicoro con intervento della Comunità di S.Egidio su “Lo Spirito di Assisi”. Riflessione di Fra’ Salvatore Frasca, Guardiano della Comunità dei Frati Minori di Catania, già frate della Comunità francescana di Biancavilla sul tema della giornata “Pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Ore 20.30: Inizio marcia silenziosa fino alla Chiesa Santuario San Francesco d’Assisi e lettura dell’ “Impegno comune per la pace”. Saranno presenti anche alcuni esponenti di religioni diverse.

Fedeltà di Dio in ogni tempo

Benedetto XVI all’udienza generale: l’uomo spesso dimentica la bontà di Dio, che invece resta fedele in ogni tempo.

Radio Vaticana – Redazione SME

Con una riflessione basata sul Salmo 136 e in più parti argomentata a braccio, Benedetto XVI si è rivolto alle crica 30 mila persone in Piazza San Pietro proponendo all’udienza generale un’ampia spiegazione del Salmo denominato “Grande Hallel”, che canta la bontà di Dio e i suoi prodigi nella storia del popolo d’Israele.

Notando come, in duemila anni, la bontà di Dio abbia sempre accompagnato anche la storia della Chiesa, il Papa ha sottolineato fra l’altro che una delle prerogative di Dio è quella di “donare”. Ed ha soggiunto: il Dio che ha creato i cieli e la terra e le grandi luci celesti è Colui che “colma l’universo con la sua presenza di bene prendendosi cura della vita e donando pane”. Quel “pane di vita”, l’Eucaristia, che ci accompagna nella nostra esistenza di credenti, “anticipando la gioia definitiva del banchetto messianico nel Cielo”.

Cristiani che si incontrano per ragionare sulla società

L’intervento del presidente della CEI, Card. Angelo Bagnasco al Forum di Todi

Redazione SME

nella foto: Giuseppe Santangelo, Card. Angelo Bagnasco, Don Ambrogio Monforte.

lunedì, 17 ottobre 2011. Il ruolo dei cristiani in politica e nella società è stato l’oggetto dell’intervento di apertura del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Angelo Bagnasco, in occasione del Forum del Mondo del Lavoro.
“Che dei cristiani si incontrino per ragionare insieme sulla società portando nel cuore la realtà della gente e i criteri della Dottrina sociale della Chiesa, è qualcosa di cui tutti dovrebbero semplicemente rallegrarsi”, ha esordito Bagnasco.
La Dottrina Sociale riporta i cristiani alle origini, ovvero alla vocazione di Pietro “chiamato ad attraversare il mare del tempo, a camminare sulle acque fidandosi di Cristo senza mai distogliere gli occhi da Lui”.
Parimenti i cattolici impegnati in politica al giorno d’oggi devono essere nel mondo ma non del mondo, altrimenti rimarranno “incapaci di servire gli uomini”.
“È la sapienza della croce – ha poi osservato il cardinale – che ha ispirato e sostenuto, nelle diverse epoche, la presenza dei cattolici nelle istituzioni pubbliche e nel tessuto sociale del Paese; che ha contribuito in modo determinante a costruire l’anima dell’Italia prima ancora che l’Italia politica”.
Ciò è avvenuto “dopo l’unificazione, a fronte di situazioni difficili e gravi”, durante “la ricostruzione del Paese, per l’elaborazione di un nuovo ordine costituzionale, per la promozione della libertà e lo sviluppo della società italiana” e non è mancato neppure il loro “convinto apporto per l’apertura verso un’Europa unita, e per la salvaguardia della pace nel mondo”. “Questa storia è nota a tutti – ha proseguito Bagnasco – e sarebbe ingiusto dimenticarla o sminuirla”.
“L’esperienza insegna da sempre – ha aggiunto il presidente della CEI – che, in ogni campo, non sono l’organizzazione efficiente o il coagulo di interessi materiali o ideologici che reggono gli urti della storia e degli egoismi di singoli o di parti, ma la consonanza delle anime e dei cuori, la verità e la forza degli ideali”.
La politica ha dunque, “la grande e difficile responsabilità di promuovere il bene comune” e in ciò la Chiesa la sostiene “riconoscendole la gravità del compito, le conquiste di volta in volta raggiunte per il bene della società, e sostenendo con la forza della preghiera coloro che hanno abbracciato questo servizio con onestà e impegno”.
“L’assenteismo sociale – ha proseguito Bagnasco – è un peccato di omissione”, se si considera che il riconoscimento di Gesù nell’Ostia Santa, comporta il riconoscimento “nel fratello che soffre, che ha fame e sete, che è forestiero, ignudo, malato, carcerato”, come quattro mesi fa aveva osservato papa Benedetto XVI (Omelia Corpus Domini, 23.6.2011).
Il bene dell’umanità è qualcosa che “è dato dalla fede, che si rivela pienamente in Gesù, ma che – in misura – è avvicinabile dalla ragione pensante e aperta”. Fermo restando “che non tutte le concezioni antropologiche sono equivalenti sotto il profilo morale; da umanesimi differenti discendono conseguenze opposte per la convivenza civile”, ha precisato Bagnasco.
“Se si concepisce l’uomo in modo individualistico – ha aggiunto – come oggi si tende, come si potrà costruire una comunità solidale dove si chiede il dono e il sacrificio di sé?”.
Il bene comune, ha osservato il capo dei vescovi italiani, “comporta tutte le dimensioni costitutive dell’uomo, quindi deve riconoscere anche la sua apertura a Dio, la sua dimensione religiosa”. Quindi la “la religione non è un problema per la società moderna ma, al contrario, una risorsa e una garanzia”.
La Chiesa, da parte sua, “non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma deve poter esercitare liberamente questa sua missione”.
Bagnasco ha poi chiarito il principio di laicità dello Stato, inteso “come autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica ma non da quella morale”. La laicità positiva è dunque qualcosa che “deve misurarsi con l’uomo per ciò che è in se stesso universalmente, cioè con la sua natura”.
Riguardo al momento politico ed economico attuale, “quanto più le difficoltà culturali e sociali sono gravi, i cristiani tanto più si sentono chiamati in causa per portare il loro contributo specifico, chiaro, e deciso, senza complessi di sorta e senza diluizioni ingiustificabili, poiché l’uomo non è un prodotto della cultura, come si vuole accreditare”.
In questo quadro, sul versante dell’etica sociale, la Chiesa Cattolica italiana offre una “sensibilità” e una “presenza costante” che è “sotto gli occhi di tutti e nessuno la può, nella sua millenaria storia, onestamente negare”.
I meriti della Chiesa in ambito sociale non devono però far perdere di vista quella che Bagnasco ha definito “una specie di metamorfosi antropologica”, ovvero la minaccia alle “sorgenti stesse dell’uomo: l’inizio e la fine della vita umana, il suo grembo naturale che è l’uomo e la donna nel matrimonio, la libertà religiosa ed educativa che è condizione indispensabile per porsi davanti al tempo e al destino”.
Se una società calpesta i principi non negoziabili “finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo”, ha detto Bagnasco citando la Caritas in Veritate di Benedetto XVI.
Al punto che “la nostra Europa, come l’intero Occidente segnato da una certa cultura radicale fortemente individualista, si trova da tempo sullo spartiacque tra l’umano e il suo contrario”.
Alle accuse di chi considera il cristianesimo una religione intollerante che vorrebbe “imporre, nella sfera politica e civile, in un contesto pluralistico e complesso, dei valori confessionali”, il cardinale Bagnasco, citando il recente discorso del Santo Padre al Parlamento tedesco, ha precisato che esso rimanda “alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto” e “all’armonia tra ragione oggettiva e soggettiva, un’armonia che però presuppone l’essere ambedue le sfere fondate nella Ragione creatrice di Dio”.
In conclusione Bagnasco ha sottolineato che il bene comune si realizza soltanto “nella verità e nella verità intera” senza compromessi e che i cristiani sono tenuti a portare a tutti il “bagaglio dottrinale, morale e sociale” che la loro fede ispira “con la coerenza della vita”, con un “entusiasmo” capace di “sprigionare quelle energie propositive che scopriamo con commozione nei loro cuori”.

Affidarsi a Maria Santissima

Dagli insegnamenti di Don Giuseppe Tomaselli SdB, biancavillese.

Uno degli affari più importanti della vita è la scelta dello stato. Guai a chi sba­glia la strada assegnata dalla Divina Prov­videnza! Chi si mette in uno stato contrario al volere di Dio, potrà salvarsi ancora, ma con molta difficoltà.

Negli anni giovanili, prima di scegliere uno stato si preghi molto la Madonna, per ottenere i lumi necessari, si facciano atti dï ossequio particolare e novene alla Madre del Buon Consiglio. Non manche­rà la Santissima Vergine di assistere, an­che prodigiosamente, – i suoi figli. devoti.

[…] Anche le grazie temporali si possono domandare alla Madonna, ma in seconda linea. D’ordinario, chi chiede degnamente i favori spirituali e vive nell’amicizia di Dio, ottiene facilmente anche le grazie temporali.

San Giovanni Bosco lavorava per la gloria di Dio; il suo sforzo quotidiano era di combattere il peccato e portare anime al Signore. Metteva ogni sua impresa nelle mani della Madonna, sicuro di non fal­lire. Nelle gravi necessità della vita, alza­va la mente ed il cuore alla Beata Vergine e ne esperimentava la materna protezione anche nei bisogni temporali.

Un giorno era a colloquio con una persona. Sopraggiunse un Superiore dell’O­ratorio.

– Don Bosco, il panettiere quest’oggi non vuole mandare il pane ai nostri rico­verati: Abbiamo con lui un debito di tren­ta mila lire. –

Don Bosco, devotissimo della Madon­na, non si turbò. Nel suo cuore nutriva la fiducia che Maria Ausiliatrice avrebbe pensato ai suoi figli. Intanto, dove piglia­re trenta mila lire? … In quei tempi questa somma era ingente!…

Qualche istante dopo si bussò alla por­ta ed entrò uno sconosciuto con una let­tera in mano. – Manda, disse questi, la presente lettera una signora, la quale non vuole essere conosciuta. –

Don Bosco aprì la lettera e vi trovò trenta mila lire con la seguente motiva­zione: Reverendo, faccia di questa som­ma ciò che vuole. –

Don Bosco si commosse e pianse, escla­mando: Oh, come è buona la Madon­na! … Ha pensato al pane dei suoi fi­gliuoli –

[Brano tratto da “Vera devozione a Maria”, di Don Giuseppe Tomaselli, Imprimatur Can. Carciotto Vic. Gen., Catania 13 maggio 1952].

Profanazione della dignità cristiana

Gettata in strada e calpestata l’immagine della Madre di Dio

di Daniele Fazio

Il centro di Roma, il 15 ottobre 2011, giorno della manifestazione internazionale dei cosiddetti Indignados è stato oggetto di una guerriglia urbana devastante, che ha lasciato danni ingentissimi agli arredi urbani, ai palazzi istituzionali e alle proprietà private dei malcapitati cittadini. Per puro caso fortuito non c’è scappato il morto, perchè  i manifestanti o quanto meno, come si dice le frange estremiste di essi, non si sono mostrati affatto tolleranti e miti nei confronti soprattutto delle forze dell’ordine. Ha molto impressionato, poi, la profanazione della parrocchia romana dei Santi Marcellino e Pietro con la distruzione di un Crocifisso e della statua della Madonna di Lourdes di via Labicana.

Sin dal momento in cui arrivavano  notizie e le prime cruente immagini delle manifestazione il coro del dissenso da parte degli italiani – dai politici ai singoli cittadini – è stato unanime. Ma indignarsi delle violenze degli Indignados non basta, né tantomeno superficialmente possiamo fermaci alla distinzione tra manifestanti pacifici e black bloc violenti. Questi ultimi cattivi che hanno rovinato una espressione di dissenso giusta e ammirevole. Approfondire la questione significa scoprire che i cosiddetti Indignados sono il frutto ultimo della disgregazione del tessuto sociale e culturale dell’Occidente che allontanandosi dalle sue radici – filosofia greca, diritto romano, cristianesimo –ha perso non solo la fede religiosa, ma anche il retto vivere civile e ora si vuole sempre più attestare su posizioni anarchiche e nichiliste di rifiuto di ogni e qualsiasi autorità legittima, dalla Chiesa alle autorità temporali.

Gli eventi, ma  ancora di più l’ideologia degli Indignados, illustrano bene quella che da diverso tempo viene definita catastrofe antropologica. Si è ad una svolta epocale. Siamo giunti alla fine di un percorso di dissolvimento che prevede il rifiuto della verità, la dittatura del relativismo e la guerra contro la distinzione tra bene e male. Ciò incide sul modo di concepire la natura dell’uomo, i suoli legami vitali, rendendolo animale impulsivo e irrazionale, sazio e disperato, tanto che da diverso tempo si parla di post-umano che ha nelle espressioni del mondo digitale il suo principale mezzo tecnico. Il movimento degli indignati, caotico e vuoto, ha come obbiettivo la protesta per la protesta, ragion per cui è facilmente infiltrabile da parte di agenti eversivi e criminali. Ma questo tipo di violenza viene chiamato e favorito proprio dalle idee di fondo che l’ “indignazionismo” presenta. Anche se non tutti gli Indignados sono violenti – ovviamente c’è sempre l’utile idiota e il cattolico confuso – l’ambiente che la loro ideologia genera è collaterale all’espressione della violenza. È nella banalità che il male trionfa.

Il nome Indignados trae spunto da un testo di un ex militante della Resistenza francese, Stéphane Hessel, tradotto in Italia con il titolo Indignatevi, (Add editore, Torino 2011). Il piccolo testo, scarno nelle argomentazioni lancia poche tesi. Innanzitutto, vengono attaccati politici, industriali e Chiesa, che vengono definite “caste”, poi induce a pensare che per superare la crisi economica non occorre far alcun sacrificio, basterebbe cambiare establisciment con uomini vagamente leali e generosi, che possano sostenere gli antichi valori della resistenza francese e soprattutto la battaglia per i nuovi diritti di femministe ed omosessuali.

La prima manifestazione di questo movimento si è avuta a partire dal 15 maggio 2011 in Spagna protraendosi nelle contestazioni al Papa e alla Giornata Mondiale della Gioventù tenutasi a Madrid. Rispetto al movimento no global è chiara la presenza in questa nuova espressione rivoluzionaria di una carica assolutamente anticristiana ed antisociale. Non si vuole alcun legame con la politica e i tentativi di riassorbimento da parte della sinistra di tale potenziale finora sono falliti. Ma ancora di più non si vuole alcun legame forte con nessuno, non si rivendica il diritto al pane – come nel fenomeno della “primavera araba”, – ma quello ad avere l’ultimo smartphone e soprattutto s’insiste sui cosiddetti “nuovi diritti” e sul fatto che gli Stati dovrebbero mantenere tutti coloro che non hanno un lavoro. Sono nemici degli Indignados tutti coloro che distinguono finanza buona da finanza cattiva, che richiamano alla responsabilità delle azioni dell’uomo e alla necessità di vivere con sobrietà e nella ricerca della verità per superare la crisi economica, la cui soluzione è etica e spirituale e non meramente materiale.  

Come sempre si è verificato nelle tappe della Rivoluzione in Occidente, i rivoluzionari prendono spunto da problemi reali a cui danno delle soluzioni che non risolvono, bensì aggravano ancora di più il problema. Non si vuol curare una febbriciattola con la giusta medicina, ma con un virus letale che elimini non la febbre, ma l’intero organismo. Se, dunque, il motivo principale della protesta indignazionista potrebbe avere un fondo di verità in quanto intercetta il disagio generato dalla crisi economica internazionale, i suoi presupposti e le sue pseudosoluzioni restano dei mali peggiori della stessa crisi.  

Che soluzioni possono essere prospettate? Innanzitutto gli autori materiali delle devastazioni devono esser punti con il carcere. Questo se funziona bene, ad esempio, in Inghilterra, in Italia proprio per il cortocircuito vigente nel sistema giudiziario tarda a trovar applicazione. I black bloc sanno benissimo che in Italia al massimo faranno due giorni di carcere e poi verranno rimessi con molta facilità in libertà. Se questa è una soluzione necessaria e immediata che grava sulla classe dirigente di un Paese, la vera risposta, però, sta, non in una retorica cieca, buonista e demagogica in cui si sono prodotti con le loro laiche benedizioni Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo, ma in una vera alternativa culturale ed educativa che rimetta al centro le priorità e i bisogni dell’uomo, spiegando che esiste un diritto naturale, che i diritti si coniugano con i doveri e che si può distinguere il bene dal male ed è realizzante optare per il primo ed evitare il secondo. Tutto questo per i cattolici ha un nome: nuova evangelizzazione. Solo con Cristo l’uomo diventa pienamente uomo.