Segni visibili

Tre nuovi santi nella Giornata missionaria mondiale

Radio Vaticana – Redazione SME

La Chiesa oggi ha due motivi di ringraziamento e di supplica a Dio: la celebrazione della Giornata missionaria mondiale e la canonizzazione di tre nuovi santi. Lo ha ricordato, stamattina, Benedetto XVI, nella messa nella quale sono stati elevati agli onori degli altari il vescovo Guido Maria Conforti, il sacerdote Luigi Guanella e la religiosa Bonifacia Rodríguez de Castro. All’Angelus, poi, ha ricordato la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, che si celebra il prossimo giovedì ad Assisi.

Modello per tutti i credenti. Commentando il Vangelo odierno, il Papa ha osservato: “Gesù lascia intendere che la carità verso il prossimo è importante quanto l’amore a Dio. Infatti, il segno visibile che il cristiano può mostrare per testimoniare al mondo l’amore di Dio è l’amore ai fratelli”. “Quanto provvidenziale risulta allora il fatto che proprio oggi la Chiesa – ha aggiunto – indichi a tutti i suoi membri tre nuovi santi che si sono lasciati trasformare dalla carità divina e ad essa hanno improntato l’intera loro esistenza. In diverse situazioni e con diversi carismi, essi hanno amato il Signore con tutto il cuore e il prossimo come se stessi ‘così da diventare modello per tutti i credenti’”.

Fare la volontà di Dio. San Guido Maria Conforti, già da fanciullo, “diede prova di un carattere fermo nel seguire la volontà di Dio, nel corrispondere in tutto a quella caritas Christi che, nella contemplazione del Crocifisso, lo attraeva a sé. Egli sentì forte l’urgenza di annunciare questo amore a quanti non ne avevano ancora ricevuto l’annuncio, e il motto ‘Caritas Christi urget nos’ sintetizza il programma dell’Istituto missionario a cui egli, appena trentenne, diede vita: una famiglia religiosa posta interamente a servizio dell’evangelizzazione, sotto il patrocinio del grande apostolo dell’Oriente san Francesco Saverio”. Vescovo prima a Ravenna e poi a Parma, “egli seppe accettare ogni situazione con docilità, accogliendola come indicazione del cammino tracciato per lui dalla provvidenza divina; in ogni circostanza, anche nelle sconfitte più mortificanti, seppe riconoscere il disegno di Dio, che lo guidava ad edificare il suo Regno soprattutto nella rinuncia a sé stesso e nell’accettazione quotidiana della sua volontà”. Egli “per primo sperimentò e testimoniò quello che insegnava ai suoi missionari, che cioè la perfezione consiste nel fare la volontà di Dio, sul modello di Gesù Crocifisso”.

Profeta di carità. “La testimonianza umana e spirituale di san Luigi Guanella è per tutta la Chiesa – ha dichiarato il Pontefice – un particolare dono di grazia. Durante la sua esistenza terrena egli ha vissuto con coraggio e determinazione il Vangelo della Carità”. Grazie alla “profonda e continua unione con Cristo, nella contemplazione del suo amore”, don Guanella, guidato dalla Provvidenza divina, “è diventato compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli. L’amore di Dio animava in lui il desiderio del bene per le persone che gli erano affidate, nella concretezza del vivere quotidiano. Premurosa attenzione poneva al cammino di ognuno”. Di qui la lode al Signore “perché in san Luigi Guanella ci ha dato un profeta e un apostolo della carità”. Questo nuovo Santo della carità sia per tutti “modello di profonda e feconda sintesi tra contemplazione e azione”. “San Luigi Guanella – ha detto il Santo Padre – ci ottenga di crescere nell’amicizia con il Signore per essere nel nostro tempo portatori della pienezza dell’amore di Dio, per promuovere la vita in ogni sua manifestazione e condizione, e far sì che la società umana diventi sempre più la famiglia dei figli di Dio”.

Semplicità evangelica. Santa Bonifacia Rodríguez de Castro dall’inizio mise insieme la sua scelta di seguire Cristo con il diligente lavoro quotidiano. “Lavorare, come aveva fatto sin da bambina, non era solo un modo per non pesare a nessuno, ma anche perché riteneva di avere la libertà di realizzare la sua vocazione, e le dava al tempo stesso la possibilità di attrarre e formare altre donne, che in officina possono incontrare Dio e ascoltare la sua chiamata amorevole”, ha affermato Benedetto XVI. Così nascono “le Serve di San Giuseppe, nell’umiltà e semplicità evangelica, che nella casa di Nazaret si presenta come scuola di vita cristiana”. Madre Bonifacia, che “si consacra con impegno all’apostolato e comincia a ottenere i primi frutti del suo lavoro”, vive anche l’“esperienza dell’abbandono, del rifiuto proprio dalle sue discepole e in quello apprende una nuova dimensione della sequela di Cristo: la Croce”. Con l’intercessione della nuova santa, il Papa ha pregato Dio “per tutti i lavoratori, soprattutto per quelli impegnati nei lavori più modesti”.

Angelus. All’Angelus Benedetto XVI, dopo aver rivolto un “pensiero di speciale affetto e incoraggiamento” per i membri degli Istituti fondati da San Guido Maria Conforti e San Luigi Guanella – i Missionari Saveriani, le Figlie di Santa Maria della Provvidenza e i Servi della Carità -, ha osservato: “Ancora una volta l’Italia ha offerto alla Chiesa e al mondo luminosi testimoni del Vangelo; rendiamone lode a Dio e preghiamo perché in questa nazione la fede non cessi di rinnovarsi e di produrre buoni frutti”. Così si è rivolto anche alle Serve di San Giuseppe, fondate da Bonifacia Rodríguez de Castro: “Che l’esempio e l’intercessione di queste illustri figure per la Chiesa spingano tutti a rinnovare il loro impegno di vivere di tutto cuore la loro fede in Cristo e di testimoniarlo nei diversi ambiti della società”, è stato l’auspicio. Salutando i pellegrini polacchi, ha ricordato che “ieri, insieme alla diocesi di Roma e alla Chiesa in Polonia abbiamo commemorato nella liturgia il beato Giovanni Paolo II, e oggi voi avete voluto partecipare alla canonizzazione dei tre nuovi Santi. Alla loro protezione affido voi e le vostre famiglie”. In italiano ha affidato all’intercessione della Vergine Maria “la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo: un pellegrinaggio ad Assisi, a 25 anni da quello convocato dal beato Giovanni Paolo II”.

Totus tuus, per sempre

Nella memoria liturgica del Beato Giovanni Paolo II

di P. Mario Piatti icms

Giovanni Paolo II è stato un Papa santo non per l’impatto mediatico o per la sua straordinaria capacità di comunicazione, ma per il mistero avvenuto, di giorno in giorno, nel suo cuore, trasformato nel Cuore di Gesù e di Maria Santissima. Santo, non per aver conquistato la simpatia della gente, ma essersi lasciato conquistare da Cristo.

Nelle vivaci discussioni, che si intrecciano tra Gesù e i suoi interlocutori – così come sono riportate, in particolare, nel Vangelo di Giovanni – si delinea, con crescente chiarezza, la reale identità del Signore. Egli è vero uomo, del tutto “imparentato” con noi, in tutta la fragilità della nostra condizione (escluso il peccato, come preciserà la Lettera agli Ebrei); e, d’altra parte, appartiene totalmente al mondo di Dio: parla del Padre con una familiarità che sconcerta i suoi avversari; compie “segni” e prodigi attribuibili soltanto a Dio. Con sottile ironia, nel quarto Vangelo, proprio gli oppositori più tenaci e accaniti, con le loro provocatorie domande e con le loro contestazioni, contribuiscono a farci conoscere la persona di Gesù, rivelandone la identità, di vero Uomo e di vero Dio. “Chi sei tu? Che dici di te stesso?” domandano al Signore. “Quali sono le tue origini? Con quale autorità operi?”.

Noi pure siamo invitati a riflettere e a interrogarci sulla nostra “ascendenza”, sul “ceppo santo” da cui proveniamo. C’è qualcosa, infatti, anche nella nostra vita, che non è quantificabile secondo i criteri e i parametri umani e terreni; qualcosa, cioè, che non si può circoscrivere dentro i limiti della nostra intelligenza e che sfugge alle indagini più accurate, né si può ricondurre semplicemente ai nostri genitori o agli scarni dati registrati all’anagrafe. Si tratta di quella scintilla, unica e irripetibile, di Provvidenza e di Amore, che ci ha generati, per la quale siamo quello che siamo, al di là – o meglio attraverso – l’intreccio della nostra umanità, fatta di ossa, muscoli, fasci di desideri, di pulsioni e di passioni, che segnano e condizionano indiscutibilmente il nostro essere, ma non riescono a imprigionarlo né a esaurirlo. Il cammino della nostra esistenza è come un progressivo ritorno alla sorgente, da cui siamo scaturiti. È la riscoperta delle nostre radici, è un “reditus”, cioè un ritorno, al seno di Colui che ci ha creati e che ci attende nella eternità.

Giovanni Paolo II, ormai dichiarato beato, volle apporre l’espressione “Totus tuus” sul proprio stemma pontificio: Totus tuus, cioè tutto della Vergine, possesso di quel Cuore benedetto e Immacolato, che è stato tutto di Dio e che, perciò, si è totalmente donato anche ai suoi figli. Quella è la “ascendenza” più vera, più umana, più santa: la Vergine Maria. Quella è la beata radice che ci ha generati, ai piedi dell’albero della Croce, e che continua a germinare nella storia, visitandoci come Grazia e come luce di cristiana speranza.

“Chi vede me vede il Padre”, aveva detto Gesù ai suoi discepoli. Nei tratti di quel Papa indimenticabile si potevano scorgere i lineamenti propri della nostra Madre celeste: la sua ineffabile bontà, la sua dolcezza, il suo limpido candore, la sua sublime carità. “Totus tuus”: tanto da farsi piccolo con i più piccoli, teneramente amati e ricercati sempre, paternamente; “totus tuus”, per essere solidale con i poveri, con gli ammalati, con le vittime della violenza, della guerra, delle sciagure naturali; “totus tuus”, per rendersi “compagno di viaggio” dei giovani, ai quali il Papa dedicò ampio spazio di tempo e le sue migliori energie e con i quali condivise straordinarie esperienze, in tutti i continenti. “Totus tuus” per camminare, fianco a fianco, con le famiglie della odierna società, spesso in crisi e bisognose di riferimenti certi e di guide sagge e illuminate.

Il Cuore di Cristo e il Cuore di sua Madre sono il solo criterio di lettura credibile per provare a comprendere la vita di Giovanni Paolo II. La santità è un mistero inafferrabile agli occhi del mondo: qualcosa si percepisce all’esterno, se ne colgono i frutti, ma è infinitamente di più quanto resta nascosto, come radici di amore che affondano nel buon terreno della Grazia. È stato un Papa santo non per l’impatto mediatico, per la sua straordinaria capacità di comunicazione, ma per il mistero avvenuto di giorno in giorno nel suo cuore, trasformato nel Cuore di Gesù. Santo, non per aver conquistato la simpatia della gente, ma essersi lasciato conquistare da Cristo.

In un mondo che si emoziona facilmente, ma che dimentica in fretta, è quanto mai necessario imparare la lezione di vita e di fede di Papa Wojtyla. La risposta più bella, alla travolgente onda di amore che egli ha prodotto nella storia, è il rinnovato impegno della nostra vita. Se anche noi ci lasciamo conquistare da Cristo; se, come quel Vescovo, venuto nel 1978 “da un paese lontano”, anche ciascuno di noi – per quanto peccatore – può dire “Totus tuus” alla Vergine Maria, allora siamo sulla buona strada e l’esempio, il sacrificio eroico, il servizio instancabile alla Chiesa e al mondo di Giovanni Paolo II non saranno stati vani.

La Libia dimentica la morte e celebra la speranza

di Simone Chiappetta

Senza scandalizzarsi è gioia, poco più a sud dell’Italia, per la cattura e uccisione di Mu’ammar Gheddafi

Clacson che suonano a festa, centralini telefonici impazziti, gente per strada con bandiere e striscioni. Non è la festa per una partita di calcio, ma l’entusiasmo per la fine di una dittatura.
Certo, suona strano lo schiamazzo di gioia accanto ai primi fermo-immagine che girano in rete del volto insanguinato di Mu’ammar Gheddafi, poco prima della sua morte. Suona strana l’esultanza libica, quasi ignara degli interessi “stretti” nel gemellaggio occidentale, ma suona ugualmente strano non immaginarsi cosa voglia dire per un popolo “schiavizzato” all’obbedienza del regime, respirare aria di libertà, cominciare a sperare in un futuro diverso.
La stessa sensazione è leggibile nelle parole dei cattolici di Tripoli: «è la fine di un incubo – racconta al SIR padre Alan Archebuche, direttore di Caritas Libia – Da più di un’ora la gente esulta per le strade, ci sono caroselli di gioia, spari in aria. Anche qui arrivano notizie contrastanti, alcuni dicono che è stato ferito alle gambe, altri che è stato ucciso, ma la gente sta festeggiando. Se la notizia è vera è molto positiva, perché aiuterà a normalizzare la situazione e a cominciare una nuova vita, a stabilire un nuovo governo democratico, che non sarebbe stato possibile prima, senza la cattura di Gheddafi».
Nessuna parola di misericordia, nessuna battuta di tristezza, ma solo la nota positiva di una storia così triste che non ha più lacrime per la morte, che non ha più pietà per il dolore. Una storia che ha cancellato per un momento la tristezza per le perdite e celebra la gioia della “risurrezione”. Sembra di sentire le parole evangeliche delle donne che tornano dal sepolcro quando padre Archebuche continua affermando: «sono molto contento, ora speriamo di poter cominciare una nuova vita».
Niente scandali, niente volti infastiditi dai sorrisi, niente ipocrisie cristiane. Non siamo in Libia e abbiamo solo immaginato la carica disumanizzante di una tirannia. E la distanza da quello“Yawp” – direbbe il protagonista dell’Attimo Fuggente – dal quel grido interiore singolare la fa proprio la geografia. «Di fronte alla morte di un uomo – precisa quasi a dimostrazione delle mie sensazioni monsignor Tommaso Caputo, nunzio apostolico in Libia, ma che libico evidentemente non è – debbono sempre prevalere i sentimenti di pietà cristiana, oltre che umana. Non si può quindi gioire per un epilogo, la morte del colonnello Gheddafi, che s’inquadra ancora nel segno di un conflitto protrattosi per un lungo periodo e che ha causato il sacrificio di molte vite umane. Nel momento in cui si pone mano alla ricostruzione del Paese, a tutti i livelli – prosegue -, a cominciare dall’assetto statale, l’obiettivo di una riconciliazione nazionale appare come la possibilità alla quale legare l’esigenza di una giustizia sociale e del rispetto della dignità di ogni persona, come premesse essenziali per un ordinato ed equo sviluppo sociale».

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