E' possibile un carnevale cristiano?

Un excursus sul Carnevale: da festa pagana a rito pre-quaresimale. La gioia e l’allegria non hanno nulla di disdicevole per il cristiano. Purché si tenga sempre presente il più grande rispetto per la dignità di ogni uomo. Questa festa nasconde un desiderio di gioia e di liberazione che tuttavia non può soddisfare. E, soprattutto, il Carnevale non deve diventare uno stile di vita… l’antico motto recita infatti: Semel in anno… licet insanire!

Redazione SME

“A Carnevale ogni scherzo vale”. Dietro questa manifestazione popolare si nasconde una tradizione molto antica, collegata addirittura a riti pagani. Le origini del Carnevale risalgono infatti ai riti di fertilità con cui i popoli antichi del Medio Oriente (Egiziani, Ittiti) cercavano di onorare i propri dèi. Nella Grecia antica in onore di Dioniso (il dio delle forze fruttifere della terra, della vegetazione e della vinificazione) veniva celebrata una grande festa religiosa (i Baccanali) che comprendeva balli osceni, riti orgiastici, un’esecuzione di brani burleschi e una processione mascherata, preceduta da un carro con sopra un gruppo in costume. Dato comune era l’uscir di senno, l’oblio della ragione e delle convenzioni sociali. Indossare maschere era un modo per negare sè stessi, la propria identità, uscire da sè stessi per essere altro, nella più assoluta libertà da imposizioni morali. Nell’antica Roma si celebrava una festa simile (i Saturnali) in onore di Saturno, dio del grano, della vegetazione e del vino. L’idea generale della festa era quella di invertire i ruoli sociali e di classe: i ricchi e i poveri potevano mangiare insieme, gli schiavi e i padroni festeggiavano nello stesso banchetto e, per non rovinare l’allegria, tutti nascondevano il volto dietro maschere. Alla fine dei Saturnali (che di solito duravano una settimana) si sceglieva uno pseudo-re, detto “il principe del Carnevale”, che veniva messo alla gogna e schernito in pubblico, sopra un carro decorato con immagini di divinità, statue e leggiadre presenze femminili. Per un cristiano era impensabile prendere parte a simili cerimonie. Le cronache narrano ad esempio che un legionario romano di nome Antonino, soldato al tempo di Diocleziano, attorno all’anno 303, pagò con il martirio il rifiuto di essere eletto “principe del Carnevale”.

Quando, sotto l’imperatore Costantino, il cristianesimo fu dichiarato religione di stato, si bandì il carnevale in quanto ritenuto una festa pagana. Tuttavia, a poco a poco, le usanze carnevalesche cominciarono a riemergere. La Chiesa Cattolica dichiarò che poteva partecipare al Carnevale chi fosse poi disposto ad osservare un periodo di digiuno di quaranta giorni prima di Pasqua. Da qui il termine “carnevale” o “carnem levare”, cioè dire addio alla carne nel periodo della Quaresima. Ma non mancarono eccessi. Si arrivò a celebrare messe e culti di Carnevale. Si riportano alcuni avvenimenti carnevaleschi dove al popolo era permesso fare di tutto a scapito di ogni elementare regola di civiltà e di buon gusto. Atteggiamenti grossolani e volgari, sbeffeggi alle autorità, profanazione di chiese ed ogni sorta di scurrilità venivano tollerate in nome del carnevale. Tanto che papa Carlo V nell’anno 1525 e Filippo V nell’anno 1916, allarmati dalla violenza di alcuni uomini, proibirono la celebrazione del carnevale.

Senza voler fare moralismo spicciolo o, peggio ancora, voler essere dei fustigatori di costumi fuori dal tempo, ci sembra  tuttavia opportuno richiamare   la distinzione tra la gioia cristiana (che nessuno può togliere, secondo la promessa di Gesù) e la gioia del mondo (effimera e illusoria). Resta sempre possibile, però pensare al Carnevale come ad un’occasione in cui si manifesta tutta la creatività umana, in grado di regalare anche un po’ di sana spensieratezza.

Celentano dal pulpito di Sanremo: "preti e frati parlano poco di Dio e del Paradiso"

di Alessandro Scaccianoce

In queste ore si sprecano fiumi di inchiostro sulla prima puntata del Festival di Sanremo, edizione 2012, che è stata caratterizzata da un’ora di telepredicazione del noto catautore Adriano Celentano. In questa sede non ci interessano le polemiche sul suo ingaggio – che non è certamente né il primo, né il più alto di quelli del settore (basti pensare al compenso previsto per il presentatore di turno, per l’ospite straniero, ecc.) -, non ci interessano le questioni politiche più o meno esplicite sottese al suo discorso, nè se abbia fatto bene al Festival o non lo abbia piuttosto danneggiato, trasformandolo in uno spettacolo che con la musica ha poco a che fare. Nel contesto di questo blog vogliamo sviluppare una riflessione a partire da alcune sue affermazioni riferite alle caratteristiche dell’annuncio cristiano. Celentano, senza mezza termini, e con toni forse da qualunquista, ha accusato preti e frati di non parlare a sufficienza di Dio e del Paradiso. Ha parlato espressamente di “preti incapaci di parlare ai poveri” (ma io dico a tutti) “e di far intravedere loro ciò per cui siamo nati, il traguardo ultimo: il Paradiso” e devo dire che ha una parte di ragione. Forse non era quello che ci si aspettava da lui, né Sanremo era l’occasione più adatta per dire queste cose. Tuttavia, si tratta di un richiamo importante, che non può essere trascurato. E’ un appello che scuote e interroga la pastorale delle nostra parrocchie. Di cosa parliamo quando facciamo catechesi? A cosa servono documenti pastorali, lettere, incontri, riunioni? Di cosa parlano certe, molte, tante omelie domenicali?  Occorre ritornare al centro dell’annuncio cristiano. E’ quanto il Santo Padre Benedetto XVI sta ripetendo sin dall’inizio del suo Pontificato. Non a caso la sua prima enciclica è risuonata quasi strana: “Deus caritas est!”. Dio è amore! Un verità tanto semplice che non è mai detta abbastanza. L’uomo ha bisogno di sentirsi ripetere queste cose; ha bisogno di sentirsi annunciare il senso della sua esistenza, che vive inserito in un progetto di amore che lo precede; ha bisogno di sentirsi dire che la vita è un dono e che siamo fatti per una realtà immensamente più grande. Se tutta la nostra vita fosse qui, come ha detto Celentano, allora sarebbe veramente tutto molto triste. Qualche benpensante, probabilmente, si sarà sentito disturbato da questo rimprovero di Celentano. A me, questo rimprovero è sembrato piuttosto un grido di aiuto!  Tornare all’annuncio non vuol dire rinunciare all’impegno nell’oggi per un mondo più giusto, come alcuni osservatori hanno cercato di dire per difendere una supposta offesa alla Chiesa. Un quotidiano di sinistra oggi titola: “L’ira della Chiesa contro Celentano”. Vorrei dire, piuttosto, che da queste parole la Chiesa non è stata affatto offesa. Anzi! Personalmente ringrazio Celentano per aver richiamato l’importanza di ridire ancora oggi all’uomo che Dio si è fatto uomo per salvarci, per liberarci dalla morte e dal peccato. Che è risorto e che ci chiama ad una vita nuova da risorti con Lui. Mi ha fatto davvero uno strano effetto  ascoltare da un cantante l’annuncio cristiano, in manirea imprecisa, ma certo appassionata. E’ stato un segno di grande speranza.

A margine delle sue “esternazioni” c’è anche la polemica sui giornali cattolici, Avvenire e Famiglia Cristiana, che secondo il nostro “dovrebbero essere chiusi” perché fanno politica e parlano poco di Dio. Ovviamente non vi è nessuna ragione per cui un giornale cattolico non possa parlare di politica… e un cantante invece sì… La questione, piuttosto, è che da un giornale cattolico ci si aspetterebbe che anche il discorso politico fosse inserito nel contesto di un più grande annuncio di fede. Altrimenti, come afferma con odio anticattolico il solito Odifreddi, si finisce per ridurre queste testate a strumenti per inseguire le accuse di turno, nel tentativo di arginare scandali e polemiche più o meno fondate. E, a dire il vero, l’impressione è che in alcuni casi certa stampa sedicente “cristiana”  sia stata animata  da sentimenti di “lotta ideologico-politica” piuttosto che dal sacro fuoco per la promozione e la difesa dei valori cristiani.

“Noi preti non parliamo più della vita eterna!"

Sanremo 2012 – da un messaggio di don Antonio Ucciardo, docente di Teologia all’I.S.S.R. “S. Luca” – Catania

Un invito alla riflessione

Redazione SME

“Noi preti non parliamo più della vita eterna! E’ vero. E doveva dircelo, in diretta, Adriano Celentano. In un discorso populista, ora sessantottino ora naif, e a momenti degno di un avanspettacolo  di bassa lega, con tanto di elogio ad un prete che avrebbe voluto cantare l’Internazionale al Festival (e che contraddice le sue parole!) Ed ha parlato di un paradiso che sembra una balera estiva. Non potevamo aspettarci di più dal molleggiato nazionale, preceduto dalle polemiche sul compenso. Ma ha parlato del giudizio, ha parlato della polvere, ha parlato della Risurrezione. Ed ha detto una verità tremenda: che noi preti non parliamo più della vita eterna!”

Adsense

Archivio

Traduci